Mi sono esposta a più di dieci ascolti (dieci. Ascolti.) del nuovo singolo di Rovazzi, “Tutto Molto Interessante” e presa dall’improvvisa voglia di capirci di più, sono andata a fondo, toccandolo, credo.
Ho un problema. Nella testa. Funziona bene, in realtà, ma ogni tanto parte una tendenza e che fa? Diventa virale, nambèr uàn, la discoteca inizia a pomparla, i cash sul conto del performer iniziano ad accumularsi, i numeretti delle views salgono, si grida alla viralità quale simbolo massimo di qualità estrema e, insomma, diventa tutto molto interessante per il mio lato polemico, perlomeno questa notte.
Fabio Rovazzi ha iniziato per caso, un po’ come tutti quando diventano famosi: scopri che quella cosetta che si è fatta, in realtà, non faceva poi così tanto cagare e ci si ritrova catapultati nel mondo dello show business, dove l’importante è che must go on, poco importa se non si hanno obiettivamente le capacità per farlo.
Un po’ come quella citazione che ormai ha fatto il suo tempo sulle bacheche di Facebook; infatti, la struttura di Rovazzi non dovrebbe permettergli di fare musica, ma J-Ax e Fedez lo sanno e lui la fa lo stesso.
Nulla di personale, ci mancherebbe: abbiamo tutti agitato compulsivamente le spalle quando il suo primo singolo gettava il basso ed eravamo tutti con i finestrini aperti in autostrada ad urlare “andiamo a comandare” pre e post discoteca quest’estate, nessun giudizio da parte mia, state tranquilli.
Non è nemmeno un personaggio negativo, un figlio di satana o, peggio, discendente diretto di Gigi D’Alessio, unica figura mitologica nel mondo dell’internet che mette d’accordo tutti poiché fa schifo ad ogni fazione di haters di cose, e quindi perché ritengo che il mondo (musicale) non abbia bisogno di lui?
Dopo la doverosa premessa*, è il momento di svelare tutto ciò che c’è di sbagliato nella musica di Rovazzi: il bisogno costante di attaccarsi al web, alle sue infrastrutture, alle sue mode, alle sue frasi, ai suoi personaggi di spicco del momento, alle sue mosse. Il copia-incolla di contenuto, assemblato in un pacchetto carino per consegnarlo ad un pubblico che ne decanta la sincerità, come se questa bastasse a giustificare la, senza giri di parole, musica di merda.
Cioè, immaginiamoci per un attimo Kurt Cobain, pace all’anima sua, negli anni ’90, quando ha dato la spinta definitiva al grunge e alla sua ascesa. Parliamo del brano dei Nirvana che conosce pure la casalinga di Valguarnera Caropepe, ossia Smells Like Teen Spirit; il titolo del brano porta con sé un riferimento alla moda dell’epoca, il Teen Spirit era un deodorante molto in voga ai tempi. Un po’ come dire, scusami Kurt, Smells Like BonBon di Malizia . Ma Cobain non si è sognato di cantare: “Load up your cone bra and bring your rollerblades, it’s all about girbaud and Spice Girls”, no, quel titolo è il simbolo di una serata in amicizia, il testo è un inno alla ribellione e alla libertà, come dimostra il testo praticamente quasi non-sense, senza regole come lo “spirito adolescenziale”.
Immaginiamoci Lucio Dalla, dai, che canta nel 1986: “qui dove il fluo luccica e tirano forte le bretelle, su una vecchia terrazza, col marsupio a Surriento”. No, Caruso è una storia, una sosta forzata a Sorrento, nell’albergo in cui soggiornò Enrico Caruso. I proprietari raccontarono a Dalla dell’amore che il tenore provava per una giovane donna ed ecco perché abbiamo tutti la possibilità di cantare al karaoke tentando il nostro acuto migliore “te voglio bene assaje”.
Artisti, che vivono o sentono storie, che le raccontano a loro volta, diventando brani che dedichiamo, balliamo, poghiamo, sui quali piangiamo, ci innamoriamo, ci facciamo l’amore, li ascoltiamo in radio.
Ok, forse prendere Cobain e Dalla come esempi da accostare a Rovazzi non va bene, allora esaminiamo la discografia di Katy Perry, fa musica pop disimpegnata, anche lei ha molta “visibilità” e le sue hits vanno forte in radio. Prendendo in analisi video e testi della Perry (chiedendomi anche perché io sia arrivata a questo punto da sobria), ci accorgiamo subito che hanno una trama e un significato, dalla giungla, dove prende consapevolezza della propria forza, di Roar (1 miliardo di visualizzazioni) a Part of Me, un cortometraggio dove mostra la rinascita dopo un tradimento, la voglia di andare avanti con determinazione anche oltre il cuore spezzato, a cambiare vita. Anche l’incredibilmente esplicita Peacock, dove invita il suo interlocutore a mostrarle la mercanzia utilizzando un gioco di parole che svela gli intenti sin dai primi secondi del brano, ha un senso logico, un prima e un dopo, un contesto: avrebbe potuto dire semplicemente #escilo, ma che gusto ci sarebbe stato, poi, a cantarla?
Ma non va bene nemmeno questo esempio, quindi poi ad un certo punto ho preso in analisi la “musica social” che sembra si stia affermando sempre più e che in Rovazzi trova il massimo esponente italiano. E ho contrapposto, tecnicamente, il gruppo milanese Il Pagante, nato a causa del bisogno di fare critica antropologica su determinati atteggiamenti dei milanesi iniziando come pagina Facebook ed affermatosi nel panorama musicale dopo un contratto con la Warner Music con successi come #Sbatti, La Shampista, Pettinero, Bomber e la più recente DAM.
Anche i tre giovani componenti de Il Pagante utilizzano modi di dire giovanili, personaggi storici dell’internet (Andrea Diprè) e copia-incollano canzoni storiche col benestare dell’autore (si ascolti La Shampista, che riprende La Regina del Celebrità con una pacca sulla spalla da parte di un Max Pezzali compiaciuto). Con la sola differenza che loro, pur utilizzando l’autotune, sanno cantare. E come se non bastasse, la loro musica è obiettivamente composta meglio, sia a livello di testi che melodicamente parlando. Ma anche loro, come autori delle loro musiche, hanno il duo Merk & Kremont. Credo questo dovrebbe bastare per capire di chi è il problema, oggettivamente. E invece proseguiamo.
Con “Tutto molto interessante”, in definitiva, è poco chiaro cosa dobbiamo farcene: è una canzone fatta da un non-cantante, un video di YouTube fatto da un non-youtuber, un prodotto commerciale fatto da un ragazzo con l’onestà di ammettere che non sa esattamente cosa sta facendo, che balliamo un po’, condividiamo molto, critichiamo un sacco e apprezziamo ancora di più perché “almeno è simpatico”. Senza dubbio, ma considerando che lo stesso Rovazzi ha le idee confuse riguardo al suo mestiere, proviamo ad analizzare le varie risposte date dal giovane milanese alla domanda: “ma tu cosa fai nella vita?”.
Rovazzi non è un cantante
Ma Anna, mi direte, ma Rovazzi lo san tutti che non è un’artista, non è un musicista e nemmeno un cantante: è un performer contemporaneo, un creatore di contenuti.
Lui si definisce così, la folla lo apprezza per la sua trasparenza e dunque i discorsi sul cantautorato o sulla musica non hanno senso contrapposti a lui proprio perché non si definisce, né il pubblico lo considera, appartenente all’industria discografica.
Ok, ho sbagliato, passo indietro.
È infatti un caso che il suo “contenuto” sia stato pubblicato da Universal Music e Newtopia (label indipendente fondata da J-Ax e Fedez) e abbia vinto il quadruplo disco di platino, che pronunci versi seguendo la melodia di una base musicale e che i suoi contenuti siano disponibili anche su Spotify.
Rovazzi non è un cantante, si capisce dal fatto che sia noto per i suoi video del 2014 su Facebook, ove ha iniziato “a farsi conoscere” (cit. Wikipedia) e successivamente sia inciampato su un rapper (Danti dei Two Fingerz), un paio di amici (il duo Merk & Kremont, compositori del pezzo) e sul meme “e si esce a comandare”, in cima ai social trend italiani dell’anno domini 2015. Il resto è solo sale e pepe quanto basta e in forno per tutto il 2016.
Rovazzi non è un cantante ma è ciò che fa. Non saremmo stati così indulgenti con un chirurgo che ammette apertamente di non esserlo.
Rovazzi si definisce un comico web
Prendendo i testi di entrambi i singoli/contenuti del giovane entertainer, si denota che no, non fanno ridere. Ma nemmeno un poco pochetto pochettino, proprio nemmeno se, mettiamo caso, ci si ritrovasse nella stessa stanza con una di quelle persone che hanno la risata contagiosa e per forza di cose ti viene da ridere.
Quindi risulta alquanto strano definirsi un comico (web) quando l’incontrollato successo lo si ottiene nelle vesti di cantante/rapper. Un po’ come definire ancora Hitler un pittore piuttosto che con la definizione per cui è conosciuto per davvero.
Rovazzi fa critica social(e)
Ma Anna, non capisci, lui in realtà prende in giro il sistema che ci vede schiavi di selfie, filtri di Snapchat, di ristoranti con le tipe, vuole farci riflettere sul fatto che la vita sia un insieme di cose strambe e meno strambe, come i trattori in tangenziale o l’uscire in ciabatte in un locale. Perché questi avvenimenti vengono definiti fuori dal comune, quando in realtà il mondo sta mutando per permettere a chiunque la massima libertà di espressione del proprio sé, della non omologazione, della trasgressione?
È questa la critica sociale del primo singolo: essere leader perché anticonformisti, fuori dalla massa. Con “Tutto Molto Interessante” il nichilismo invece fa da padrone: tutto quello a cui diamo molta importanza, forse anche troppa, in realtà non è utile, non importa. Tutto ciò che i nostri social ci propongono, attimi della vita di conoscenti che non vediamo da un secolo e che teniamo su Facebook solo per la convenzione sociale per cui se elimini una persona dal tuo feed significa gettare l’altra persona in un baratro di paranoia e perzone falze, in realtà sono solo un accumulo di dati su un server che non aiuta concretamente il nostro sé a raggiungere il perché ultimo della propria esistenza.
Rovazzi non dice le parolacce, è quindi il più amato dalle mamme
Ok.
Rovazzi è un creatore di contenuti
Giusto. Si occupa della regia, della sceneggiatura e del montaggio dei suoi video, dei testi. Ma quando si parla di “contenuto”, in realtà, chi sono i veri genitori delle hit di successo di Rovazzi? Il web, Fedez, J-Ax, in una sapiente (più o meno) opera di copia-incolla.
I testi sono terminologie standard della generazione odierna, meme mescolati a rime banali “Faccio cose / Vedo gente / Sembra / Molto / Divertente”, personaggi del momento come Enrico Papi, che per l’occasione censura la pericolosissima parola “cazzo” –per il perché, si veda sopra — e non lo fa con un MOOSECA, unica cosa che poteva salvare il brano, ma con una tromba (nel senso di strumento musicale) perché sì; strofe di successo, tratte dall’incredibile capolavoro Maria Salvador dell’ex Articolo 31 che quest’estate sparava un rap monosillabico a causa della troppa ganja ad otturare il processo creativo, riposizionate quest’inverno nella seconda parte di “Tutto Molto Interessante”.
E fin qui, perché lamentarsene, se in fondo viviamo nell’epoca share, in cui il copia-incolla di procedimenti viene incentivato, in cui i framework vengono riutilizzati, le idee condivise; perché non lasciarlo libero di definirsi con l’etichetta che ritiene più opportuna per racchiudere ciò che fa. Perché non aiutarlo nel processo che lo porterà a diventare ciò che è destinato a scoprire, prima o poi?
Rovazzi fa cacare
Ci ho provato. Ho ascoltato i suoi brani, fatto il balletto con le spalle™ (anch’esso copiato dagli ammerecani che salutiamo calorosamente), ma non capisco cosa farmene del suo brano: se devo usare “il ca… che me ne frega” in un contesto ove la citazione è necessaria canticchiando la sua canzone perché da grande vuole diventare un meme, se devo ballarla in discoteca facendo finta sia il pezzo della vita e non qualcosa dedicato alla fascia d’età per la quale è destinato il Sapientino della Clementoni; se paragonarlo a Katy Perry o, siccome lei sa cantare e lui ammette di non saperlo fare, definirlo un cantautore, salvo poi confrontarmi con una problematica assai più grave, ossia un’orda di gente che per dimenticare ciò che ho appena scritto mette Don Raffa è in loop e inizia a scrivere nei commenti che non capisco un c. Rovazzi, aiutami ad uscire dalla crisi dell’identificazione dei tuoi lavori: devo ignorarti anche se YouTube ti piazza su “Consigliati per te”, se la gente sui social apprezza la tua umiltà e la tua simpatia e la tua positività come personaggio nonostante sia palese a tutti che non puoi fare il cantante. Devo farlo, devo lasciare andare via l’idea di criticarti, altrimenti faccio la fine di quell’amica là che abbiamo tutti che rovina sempre la festa.
Io non voglio rovinare il tuo momento, è per questo che vorrei aiutarti, lasciandoti in suggerimento cosa NON puoi scrivere, né cantare nei tuoi prossimi singoli: “Può accompagnare solo”, “Kafféé?”, “E ____ Muto”, per iniziare, poi vediamo.
*Questa premessa è stata scritta affinché i commentatori dell’internet non si sentano in nessun modo offesi e/o turbati dalle opinioni di un estraneo che scrive cose che il lettore legge.