Il cinema gender e transgender, fanno parte del nostro cinema da decenni, e sempre più registi hanno cercato di analizzare la tematica attraverso differenti punti di vista, come per esempio quello più complesso e adolescenziale, analizzato recentemente da Gaby Dellal con la pellicola 3 Generations – Una famiglia quasi perfetta. Ma in quanti modi può essere declinata la transessualità al cinema?
Il 24 Novembre è uscito nella sale il bellissimo film di formazione e accettazione di Gaby Dellal, 3 Generations – Una Famiglia quasi perfetta, con protagoniste Elle Fanning, Naomi Watts e Susan Sarandon, presentato nella sezione autonoma Alice Nella Città alla scorsa XI Festa del Cinema di Roma.
3 Generations non è un semplice coming of age, ma è un film dalla tematica gender o, per meglio dire, transgender, portando gli spettatori nella difficile scelta dell’adolescente Ray (Elle Fanning), nato nel corpo di una ragazza, ma arrivato a specchiarsi e non riuscire a riconoscerci.
Dopo molte complicazioni con la propria famiglia, in particolar modo il rapporto con la madre Maggie (Naomi Watts), Ray inizia il lungo processo di transizione, il quale prima di iniziare attraverso la cura di testosterone e le eventuali operazioni, deve trovare un equilibrio che parta dalla mente e dall’anima e trovarlo anche con nei rapporti di chi gli sta intorno.
La tematica transgender, ancora oggi nella vita di tutti i giorni, non è sempre affrontata al meglio. Spesso è facile cadere negli stereotipi, nei luoghi comuni, e non comprendere il tipo di percorso che una persona deve affrontare per poter arrivare a sentirsi, e vedersi, finalmente se stessa.
Nel cinema, così come nella vita quotidiana, è “più semplice” immaginare il processo di passaggio da essere uomo a essere donna – ignorando ovviamente gli anni di terapia e cure a cui bisogna sottostare – molto più difficile, invece, è il processo contrario.
Nelle ultime stagioni cinematografiche le tematiche gender, nel generale, si sono fatte sentire – per fortuna – in modo molto più prepotente, portando sul grande schermo pellicole dalla forte emotività, volti a sensibilizzare e istruire il grande pubblico. Film passati per i grandi festival e, spesso, anche vincitori di premi e di riconoscimenti, grazie ai quali si sono fatti conoscere da un pubblico sempre più crescente.
I temi legati alla sessualità, come sappiamo, sono argomenti caldissimi nell’attualità di oggi. Se ne parla – sebbene spesso male – cercando di fare chiarezza, e comprendere al meglio ogni tipo di questione.
Troppo spesso oggi si continua a cadere nei luoghi comuni, senza comprendere alcune sottili differenze, che significano molto nei confronti delle persone.
Possiamo parlare di diritti umani, dovuti a qualsiasi persona in quanto tale – e non in base al proprio orientamento sessuale o genere sessuale; della differenza tra travestitismo e transessualità o intersessualità e l’ermafroditismo; tra religioni diverse e fanatismo razziale.
Lo spettro delle tematiche è veramente ampio, e io mi sono soffermata solo su alcune. Il cinema cerca di porsi sempre come una finestra aperta sul mondo, tentando di analizzare il micro e di trasmetterlo al suo spettatore attraverso il macro.
Lo fa aprendosi sempre di più a questo genere di tematiche. Senza essere banale, ma affrontando il tutto con ludicità razionale e oggettività, a volte anche attraverso la storia.
Basti pensare anche solo a Suffragette (2015) di Sarah Gavron, incentrato sul movimento suffragista femminile nel Regno Unito e la loro lotta per il diritto di voto, o Pride (2014) di Matthew Warchus, che tratta della vera storia dell’alleanza fra un gruppo di attivisti gay e un sindacato di minatori in Gran Bretagna per combattere il Governo della Thatcher e la volontà di chiudere le miniere di carbone, lasciando senza lavoro oltre ventimila persone.
Non è un caso se negli anni si sia creato un vero e proprio filone di studi scentifici i quali rappresentano un approccio interdisciplinare e multidisciplinare sul significato dell’identità di genere e sessualità in relazione alla società e alla cultura, ovvero i Gender Studies.
All’interno dello studio gender possiamo trovare delle intense analisi che trovano le proprie basi sul post-strutturalismo (tendenza dei filosofi francesi degli anni ’60/’70 volta al superamento della prospettiva strutturalista, psiconalitica, politica e sociologica) come sul decostruzionismo (trovare, attraverso il confronto tra differenti testi e autori della filosofia occidentale, i pregiudizi insiti nelle teorie, le contraddizioni della nostra cultura e linguaggio e i presupposti impliciti), che riguardano il femminismo, le minoranze etniche, il razzismo e, ovviamente, anche l’omosessualità.
Ovviamente i Gender Studies vengono applicati a qualsiasi cosa, oltre che al cinema, e usa strumenti differenti in base alla tematica trattata. Sicuramente una base fondamentale per i Gender Studies sono stati gli studi gay e lesbici, che ci portano a toccare la tematica fondamentale di questo articolo: l’identità sessuale nel cinema.
Fin dai suoi albori, il cinema e i suoi protagonisti hanno sempre giocato sull’ambiguità di genere introducendo, inconsapevolmente tematiche a sfondo gender o transgender. Basta anche solo pensare ad attrici del passato come Marlene Dietrich, la prima a indossare uno smoking e a giocare sulla bellezza androgina, o del presente come Tilda Swinton.
Nei primissimi film degli ultimi anni dell’ottocento, spesso si usavano uomini per i ruoli femminili o, più in lì, già verso gli anni 30 e con l’arrivo della commedia, il travestitismo veniva usato come forma caricaturale volta a suscitare riso e ilarità.
Il primo esempio di iconografia transgender lo abbiamo nel 1959, sempre con una forma di trasvestitismo ma dalla sottotrame più profonda, con il film di Billy Wilder A Qualcuno Piace Caldo, con la bellissima Marylin Monroe, Tony Curtis e Jack Lemmon, dove emblematica è la battuta Osgood Fielding (Joe R. Brown) quando Josephine (Tony Curtis) gli rivela essere un uomo:
Bhè… nessuno è perfetto!
Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, iniziano a comparire sullo schermo i primi film in cui si la figura del transessuale viene totalmente decaricaturizzata, cercando, invece, di scendere nelle profondità della persona, portando lo spettatore ad empatizzare con il personaggio e con il processo di transizione e individuazione sessuale.
Passiamo da personaggi più drammatici come Luis Molina – interpretato magistralmente dal premio Oscar William Hurt – nel film di Hector Babenco, Il Bacio Della Donna Ragno (1985) o come Dil – personaggio che consentì a Jaye Davidson di arrivare alla sua prima nomination all’Oscar proprio nel suo debutto al cinema – ne La Moglie del Soldato (1992) dell’irlandese Neil Jordan; a personaggi più ironici e iconici come Bernadette Bassenger (Terence Stamp) in Priscilla La Regina del Deserto (1994) di Stephan Elliot e l’eccetrica e irresistibile Agrado (Antonia San Juan) in Tutto Su Mia Madre (1999) di Pedro Almodóvar.
Non le sopporto le drag, sono delle svergognate, hanno confuso il circo col travestitismo, ma che dico circo: il mimo! Una donna è capelli, unghie lunghe, una bocca buona per spompinare o criticare, ma scherziamo? Dove si è mai vista una donna calva! Non le sopporto! Sono delle svergognatissime!
Con l’andare avanti degli anni, e la scoperta più approfondità della transessualità come condizione fisica e mentale di una persona che non sente la propria identità sessuale rispecchiata dal proprio aspetto esteriore, anche il cinema ha iniziato ad approfondire molto di più la questione, cercando di raccontare storie sempre più diverse e che più si concentrassero sull’aspetto psicologico e introspettivo.
Esempio è stato sicuramente Transamerica di Duncan Tucker, che parte già dal processo avviato di un uomo, Stanley, divenuto donna, Bree (Felicity Huffman), e che aspetta solo il momento per completare definitivamente la transizione con l’intervento di cambio sesso.
In Transamerica – come abbiamo visto nell’articolo precedente sul ruolo della famiglia nel cinema – confluiscono anche altre tematiche, come il rapporto genitori-figli e il viaggio di accettazione della propria identità da condividere.
La particolarità di questa pellicola, come nel caso di Agrado in Tutto Su Mia Madre, è l’aver definito il ruolo su un’attrice che ha dovuto lavorare sul proprio personaggio entrando nella mentalità di un uomo che vuole essere donna.
Partendo da questo spunto, la transizione nel cinema gender è stata analizzata in differenti maniere, cercando di svilupparla attraverso la percezione degli altri e della famiglia, attraverso il passaggio donna-uomo e anche attraverso le forme di travestitismo come trasgressione o l’accettazione di sè stessi nei casi di intersessualità.
Ecco dieci film che analizzano il processo.
Boys Don’t Cry (1999)
di Kimberly Peirce
Trampolino di lancio per Hilary Swank, Boys Don’t Cry è uno di quei film che ha fatto piangere generazioni intere (e che ancora ne farà piangere molte). Una pellicola intensa, feroce e brutale, basata sulla vita reale di Brandon Teena, transgender americano biologicamente donna.
Brandon si muove con facilità nei panni di un uomo, la sua vera natura. Non ha mai accettato il suo corpo da donna e con gli anni ha imparato a farsi conoscere come Brandon e non come Teena, riuscendo a tenere ben nascosto il suo segreto.
Quella di Brandon è una vita di continui segreti e sotterfugi, costretto da una società intollerante e ignorante, incapace di accettare persone come lui. La lunga rete di bugie di Brandon inizierà a traballare con la conoscenza di Lana Tisdel (Chloë Sevigny), ragazza di cui si innamorerà perdutamente.
Una storia drammatica. Una continua lotta all’accettazione di se stessi e al combattere contro il pregiudizio, cercando di farsi accetare. Un racconto di formazione ma anche di cronaca nera, con risvolti finali tristi e amari. Un film che scava molto bene nell’interiorità umana, soprattutto in una delle fasi più difficili della vita.
Hedwig and the Angry Inch (2001)
di John Cameron Mitchell
Registro totalmente differente per questo film, tratto da un musical rock del 1998 dello stesso regista.
Diretto e interpretato da John Cameron Mitchell, Hedwig and the Andry Inch fa parte di quel filone di film sul glamrock e sulle vite fatte di eccessi, promiscuità e ambiguità delle star di metà anni ’70/’80, come Velvet Goldmine di Todd Hynes.
Hedwig è una transgender tedesca, nata nel corpo di un uomo nella Berlino est della guerra fredda. Fin da bambino ha dovuto subire gli abusi del padre che, nel corso degli anni, si sono ripercorsi sulla sua fragile personalità.
Amante della filosofia greca, mitologia e musica, Hedwig trova sfogo soprattutto nel rock suonato con il suo gruppo, gli Angry Inch. Il nome del gruppo nasce proprio dall’operazione di cambio sesso di Hedwig, ad opera purtroppo di un macellaio che renderà il suo sesso ancora più incerto.
Il film è un continuo percorso all’interno della vita di Hedwig.
Ogni tassello costruito con fatica, ogni ostacolo superato, ogni complicazione con la quale doversi confrontare, costretta perennemente ad accontenarsi, viene accompagnato dalla musica della cantante, assieme alle scenografie scintillanti e vestiti attilati ed eccentrici.
Man mano che la pellicola va avanti, Hedwig sembra spogliarsi da ognuno di questi elementi che hanno ormai definito una sua corazza. Un piccolo rifugio, ma che non può reggere contro le continue pressioni emotive della vita.
Un denudarsi, abbracciando ogni sofferenza e imperfezione di quella vita e di quel corpo, lasciandosi finalmente tutto alle spalle.
Un viaggio doloroso ed emozionante all’interno della vita, personalità e musica di un personaggio sfaccettato e complesso. Una colonna sonora da sentire e risentire!
Normal (2003)
di Jane Anderson
Dopo due storie più estreme, con protagonisti che capiscono di essere all’interno di un corpo fisicamente sbagliato fin dall’infanzianza, passiamo a una storia molto differente.
La stessa storia che potremmo ripercorrere oggi nel caso shock dell’ex atleta Bruce Jenner – patrigno delle Kardashian e padre biologico di Kendall e Kylie Jenner – che, all’età di 66 anni, completa la sua transizione sessuale diventando Caitlyn Jenner.
Normal, il film per la tv prodotto da HBO, è incentrato sulla storia del padre di famiglia Ruth Applewood (Tom Wilkinson) che dopo 25 anni di matrimonio, annuncia la sua volontà di cambiare sesso.
Mentre tutto ciò provoca un profondo shock nella moglie Irma (Jessica Lange) e nel figlio Wayne (Joe Sikora), Ruth riesce a trovare un appoggio solo nella figlia Patty Ann (Hayden Panettiere).
Il film cerca di seguire non solo il percorso di Ruth stesso e la scelta difficile di rischiare di perdere la propria famiglia pur di sentirsi finalmente bene con se stesso, dopo aver vissuto una vita nei panni di un altro, ma anche il tipo di relazione e rapporto che si viene ad instaurare in una famiglia di fronte a una situazione del genere.
Normal affronta la tematica gender proprio dal punto di vista della famiglia, coinvolgendo tutti i membri come parte attiva della transizione.
Un passaggio che, inevitabilmente, cambierà tutto. Il fulcro è saper comprendere, accettare quel cambiamento come un passaggio naturale, sicuramente complicato ma che non cambierà mai l’interiorità di quella persona.
Transamerica (2005)
di Duncan Tucker
Come accennato prima, Transamerica è tra quei film cardine che hanno affrontato la transizione uomo-donna, affrontata già a uno degli stadi più avanzati: il cambio di sesso.
Quello di Bree è un processo che ormai ha raggiunto il suo apice, e la sicurezza della donna è ormai tale da non aver alcun dubbio. L’equilibrio di Bree viene però messo in discussione dall’arrivo di un ragazzo che si dichiara essere suo figlio, unica ancora con quel passato maschile che Bree ha cercato di cancellare in tutti i modi.
Transamerica non è solo un film di transizione, ma un film sui rapporti umani, sulle relazioni tra genitori e figli. Sulle scelte compiute nella vita e sulle conseguenze di ognuna di queste scelte. Un percorso molto intimo di un personaggio che vediamo già trasformato, ma che in realtà il suo processo di cambiamento è ancora in atto.
Un film bellissimo, grazie alla straordinaria performance di Felicity Huffman, vincitrice del Premio Oscar e Golden Globe come miglior attrice protagonista grazie al ruolo di Bree. Una trasformazione che inizia fin dalla sua interprete stessa, sviluppandosi per tutto il film.
Breakfast on Pluto (2005)
di Neil Jordan
Torniamo nuovamente sulle tinte più innocenti dell’adolescenza e della difficoltà di approcciarsi al cambiamento, ma lo facciamo in un modo del tutto atipico. Protagonista di questo bellissimo film di Neil Jordan, sullo sfondo della sanguinosa guerra civile irlandese, è Patrick “Kitten” Braden (Cillian Murphy), un ragazzo abbandonato appena nato alla porta del parroco di una piccola cittadina.
Fin da bambino attratto dal mondo femminile, Patrick capisce prestissimo che le gonne, i bustini e gli ombretti sgargianti fanno parte del suo essere. Subito dopo aver scoperto l’identità del padre, Kitten decide di partire per Londra alla ricerca della sua vera madre.
Kitten non passa di certo inosservato, e tra chi ne rimane affascinato e chi invece lo giudica con disgusto, il giovane riesce a mantenere, nonostante tutto, la sua tipica innocenza infantile, rendendolo quasi esotico, una visione mistica, dal sesso indefinito.
In parte un film di formazione, un percorso di crescità e di identità.
L’identità che però Patrick ricerca non è solo quella sessuale ma anche quella delle sue radici, della sua famiglia. Lo spasmodico bisogno di affetto e di amore, un bisogno che condurrà Patrick sempre al limite.
Un nuovo meraviglioso ritratto di un personaggio di Neil Jordan, dopo l’affascinante Dil di La Moglie del Soldato.
Tomboy (2011)
di Céline Sciamma
Tomboy è un racconto di formazione, ma anche una favola di trasformazione e di scoperta. L’accettazione della propria identità e il confronto col pregiudizio della società fin dalla tenera età.
Andiamo ad esplorare l’identità sessuale fin dai suoi albori, quando ingenuamente si iniziano a notare i primi segni di differenza tra gli altri. La scoperta di un mondo rispetto ad un altro. La visione del proprio corpo diverso rispetto a quella che ci immaginiamo.
Diversa da come ci sentiamo noi realmente, e questo è il caso della giovanissima Laure, una ragazzina di dieci anni appena trasferita in una nuova città.
Qui Laure fa la conoscenza di Lisa e di un gruppo di suoi coetanei che la scambiano per un ragazzo. A Laure il qui pro quo non dispiace e decide di farsi scambiare per Michael. ben presto la situazione diventa insostenibile per la ragazzina, rendendosi conto non solo di essere rimasta intrappolata nelle sue stesse bugie ma anche di essersi innamorata di Lisa.
La scoperta della sessualità di Laure è una scoperta infantile, ma non per questo meno intima. La protagonista si trova in bilico non solo con l’approccio al mondo maschile, ma anche, per la prima volta, a quello femminile.
Tomboy si pone moltissime domande su un percorso umano difficilissimo. La scoperta sessuale, precoce o tardiva che sia, il pregiudizio degli altri e, ancora più feroce, il giudizio di noi stessi.
Un film fatto di lunghi silenzi intimisti, ma anche di corse sfrenate e risate giocose che lasciano sorvolare su qualche piccola sbavatura di regia e di sceneggiatura .
Laurence Anyways (2012)
di Xavier Dolan
Il giovanissimo attore e regista Xavier Dolan è ormai un fervente esponente della cinematografia sull’identità di genere e sulle tematiche sociali più importanti, analizzate sempre con estrema maturità e sensibilità.
In Laurence Anyways, terzo lungometraggio del canadese, Dolan decide di esplorare il cambiamento, portando avanti – attraverso il suo protagonista – una rivoluzione interiore, ed esteriore, estrema.
Un Dolan che, come sempre, riesce a colpire nel profondo dello spettatore attraverso ritratti di personaggi del quotidiano accarezzati dalla macchina da presa. Inquadrature leggere, dominate dai colori fluo e dalla musica techno prepotente.
Laurence Anyways è la storia di una rivoluzione, dolorosa ma necessaria. Una storia che approfondisce il rapporto di coppia in una situazione simile, già affrontanto in Normal, anticipando la visione molto più estetica di Tom Hooper con The Danish Girl.
La fascinazione del femminile, già vista con Ozon, viene messa a fuoco dal punto di vista viscerale e cambiamento integrale di un uomo che ha bisogno di affrontare questo percorso accompagnato dalla donna principale della sua vita: la compagna Fred.
Fred, inizialmente, respinge questo bisogno dell’uomo, non comprendendo ciò che il compagno gli stia cercando di dire. Ma i sentimenti di Laurence per Fred non cambiano, non è il suo orientamento a voler cambiare, ma la sua sessualità.
Fred e Laurence iniziano ad affrontare questo percorso insieme. Un percorso fatto di molti ostacoli, di “no” che Laurence non tollerare e di spine e ferite che Fred non potrà più sopportare.
https://www.youtube.com/watch?v=Th-w3qSlzfI
Simbolico ed intimo. Un viaggio nella natura umana fatto di visioni. Il mondo di Dolan che prende forma nella sensualità femmiile e nello sfogo estremo di libertà, togliendo il peso di qualsiasi costrizione della forma, ma vivendo semplicemente della nostra più pura essenza.
Una nuova amica (2014)
di François Ozon
Assieme a François Ozon andiamo ad esplorare un aspetto ulteriormente diverso dell’identità sessuale. Il travestitismo come seduzione, libertà di espressione e del proprio essere.
Attraverso Una Nuova Amica scivolamio con disinvoltura ed eleganza all’interno di un mondo arcano e magico, dalle sfumature torbide e conturbati, che ricorda alcuni titoli del regista come 8 Femmes.
Attraverso lo sdoppiamento di Virginia e David, Ozon ci introduce in un film che va oltre le sfumature della perversione umana, ma attacca le sue radici più in un bisogno intimo e viscerale. La repressione della sensualità femminile, dell’essere donna espressa attraverso un personaggio semplice che trova la sua identità attraverso l’intimo pregiato e le calze a rete.
Un piccolo dramma borghese francese, che si tinge di quei colori e personaggi più tipici del morboso cinema spagnolo, di personaggi come Lola in Tutto su Mia Madre (1999) o Zahara ne La mala Educatión (2004), entrambi i titoli di Pedro Almdóvar.
Arianna (2015)
di Carlo Lavagna
Questa è una di quelle rare volte in cui anche il cinema italiano è più che degno di nota, mostrandosi con i talenti più giovani, attento alle tematiche della società odierna.
Questo è il caso di Carlo Lavagna che ci porta nel dramma adolescenziale e nella ricerca della propria identità, della scoperta e del dover convivere con un sesso incerto tra l’essere donna e l’essere uomo.
Arianna è una ragazza di dicianove anni. Gli occhi profondi come il mare e il corpo di una bellezza androgina. Un corpo che Arianna esplora, tocca, studia per ore allo specchio, cercando di comprendere cosa ci sia in lei che non vada.
Nel cuore di un’estate, tra i boschi che l’hanno vista crescere, Arianna scopre di avere una sindrome molto particolare. Una sindrome che la porta verso una dolorosa e silenziosa scoperta. In solitudine e con lentezza, priva dagli sguardi dei suoi cari, Arianna affronta un percorso di accettazione della propria identità sessuale.
Carlo Lavagna ci porta nel mondo delicato dell’intersessualità, conosciuta come Sindrome di Lubs o Reifenstein, una forma presente in quelle persone i cui cromosomi sessuali, i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non sono definibili come unicamente maschili o femminili, presentando spesso caratteristiche siamo femminili che maschili.
L’intersessualità è spesso confusa con l’ermafroditismo che, invece, è un fenomeno per cui un individuo di una determinta specie – quindi non per forza umana – produce sia gameti maschili che femminili. L’ermafroditismo, a differenza dell’intersessualità, può portare, nel corso della crescita, a un inversione sessuale dell’individuo.
La storia di Arianna è una storia comune, ma non troppo. Una storia che porta verso l’accettazione dell’individuo in sè per sè, muovendosi tra i silenzi della protagonista e il suo sguardo infantile, alla ricerca di una risposta all’interno di se stessa.
The Danish Girl (2015)
di Tom Hooper
Tom Hooper porta al cinema il ritratto di una donna vissuta oltre ottanta anni fa, Lili Elbe, prima transessuale della storia sottoposto a un’operazione di cambio sesso.
The Danish Girl traccia la reale storia della scoperta del corpo di un uomo che, dopo anni, si risveglia dal torpore e dall’illusione, ritrovando dentro di sè la sua vera natura femminile persa da tempo.
Il percorso di Einer – interpretato dal Premio Oscar Eddie Redmayne – è accompagnato da sua moglie Greta – ruolo che ha fatto conquistare all’attrice Alicia Vikander il suo primo Oscar – una donna dall’estrema sensibilità artistica e fascino.
Partendo dal gioco e dalla sensualità, Einer inizia a scoprire nei monenti intimi con sua moglie quella parte di sè stesso persa da tempo. Una rinascita interiore ed esteriore, contornata dalla sofferenza, dalle incomprensioni e dall’innocenza della scoperta.
Tom Hooper dipinge sulla pellicola questa struggente storia soprattutto attraverso i corpi dei suoi protagonisti, puntando la sua pellicola soprattutto sulla trasformazione esteriore dell’essere umano. Un estetismo molto raffinato, ma fin troppo prepotente all’interno della pellicola, facendo perdere alcuni degli elementi più profondi e mentali del passaggio da Einer a Lili.
The Danish Girl è una storia d’amore. Un racconto di relazioni e di rapporti che mutano, crescono e, a volte, si divino. Il film inquadra soprattutto la transizione affrontata dalla coppia, più che il cambiamento interiore vissuto unicamente dal protagonista.
Una pellicola dotata di un enorme sensibilità, che riporta al cinema una storia non conosciuta da tutti, andando ad affondare le radici proprio sul primo caso documenanto di transgender.
3 Generations – Una Famiglia Quasi Perfetta vi aspetta al cinema dal 24 Novembre .