Sono trascorsi tre anni da quando The Stanley Parable ha fatto la sua comparsa nella versione definitiva su Steam. Titolo indie dalle basilari meccaniche, si è ben presto imposto nel contesto videoludico per il suo porsi come non-gioco o meta-gioco.

Diamo nuovamente uno sguardo alla parabola del caro Stanley.

 

Il principio

Sì, è vero, sono passati tre anni dall’uscita di The Stanley Parable. Ciò non toglie che il sottoscritto abbia recuperato solo di recente questa piccola chicca, sfruttando uno dei tanti sconti offerti da Steam. Perché non approfittarne per rifletterci su ancora una volta?

Iniziamo dal principio.

The Stanley Parable nasce nell’ormai lontano 2011, quando l’aspirante programmatore ventiduenne Davey Wreden, si cimenta con il Source Engine di Valve, motore grafico circondato da tanta notorietà per aver dato vita ad Half Life 2 e Portal.

The Stanley Parable è sostanzialmente una mod di Half Life, e Davey si avvale della sola collaborazione di Kevan Brighting, il sensuale e profondo narratore che ci accompagnerà nel corso dell’avventura, per portare a termine il suo lavoro. Nelle intenzioni del ragazzo non vi era altro se non il voler creare un’esperienza che potesse essere appagante per i giocatori e magari portarli a riflettere su quel qualcosa di più. Scoprirà ben presto di aver creato una piccola perla.

Improvvisamente, la mod riscuote un incredibile successo tra il pubblico. Così, convinto Wreden a proseguire con il progetto, un piccolo team si riunisce per lavorare su di un restyling completo del gioco, che approderà nella sua versione definitiva sulla piattaforma digitale di Steam qualche tempo dopo, nell’ottobre del 2013.

Qual è il tema sul quale Davey Wreden vorrebbe portare i videogiocatori a riflettere? Quello della scelta.

Qual è il tema sul quale Davey Wreden vorrebbe portare i videogiocatori a riflettere? Quello della scelta all’interno dell’intrattenimento videoludico, della libertà alla base delle decisioni che, noi, prendiamo dopo esserci calati nei panni del protagonista.

Ma queste scelte sono davvero frutto della nostra immedesimazione? Siamo, noi, padroni del destino del nostro personaggio ed in grado di esercitare il libero arbitrio?

E la risposta che The Stanley Parable ci dà è negativa. Siamo solo attori di una parte ritagliataci addosso, e nel momento in cui cediamo all’immedesimazione rinunciamo al nostro essere soggetti unici e ci caliamo nei panni di una figura il cui destino è già stato tessuto.

 

 

In cosa consiste The Stanley Parable?

All’inizio del gioco l’unica cosa che sappiamo è che Stanley è un uomo felice. È felice della sua vita ed in particolare del suo lavoro, che lo tiene occupato dinanzi ad uno schermo, il quale, con regolarità, gli dice quali tasti premere sulla tastiera.

Stanley non ha la più pallida idea del perché debba ripetere quella particolare azione, ma a Stanley ciò non importa. Lui è un uomo sereno, per niente disturbato dal dover eseguire quegli ordini la cui origine è per lui impalpabile.

 

The Stanley Parable

 

Ad un certo punto, però, qualcosa cambia. Lo schermo smette di inviare input e nessun comando arriva più alla postazione di Stanley. L’uomo è così costretto ad alzare lo sguardo sul mondo che lo circonda e ciò che nota è ancor più disarmante. Tutti i suoi colleghi sono spariti, e gli uffici appaiono incredibilmente desolati.

A Stanley non resta altro da fare se non alzarsi dalla sua sedia ed andare alla ricerca dei colleghi svaniti. O almeno questo è ciò che dice il Narratore, che fino ad ora ci ha introdotto la figura dell’impiegato.

Ed è qui che l’avventura inizia, accompagnata dall’onnipresente ed intangibile figura del Narratore.

Il gameplay in sé, è di una incredibile semplicità. Potremo muoverci all’interno degli uffici e fare poco altro, se non limitarci ad una minima interazione con specifici oggetti dell’ambiente, ridotta all’osso.

Il vero cuore, che racchiude il nocciolo identificativo del titolo, si riconosce nel momento in cui, dopo aver percorso un paio di corridoi, giungiamo davanti a due porte aperte. Il Narratore non esiterà un attimo nell’indicarci quale delle due dovremo imboccare, ed è esattamente in questo momento che la vera natura di The Stanley Parable si rivela ai nostri occhi.

Il sipario si alza e lo spettacolo inizia, con la rappresentazione de “Le Scelte”.

Faber est suae quisque fortunae - The Stanley Parable

Noi sappiamo quale strada dobbiamo prendere, ma solo perché è il Narratore ad indicarcelo. E se… disobbedissimo, invece? Cosa accadrebbe?

E la questione è qui, in queste due semplici domande che poniamo a noi stessi. Riflettiamo su quale delle due alternative sia meglio percorrere, ma scopriremo ben presto che nessuna alternativa presenta una realtà più “giusta” dell’altra.

Il grande puzzle messo in scena si rivela tassello dopo tassello, portando a sviscerare la verità che si cela dietro le quinte e che conduce a quasi una ventina di finali differenti.

 

 

L’ambientazione

Il contesto nel quale ci si muove è funzionale allo scopo che il gioco vuole richiamare, caratterizzato da spazi spogli ed estremamente semplici. Corridoi stretti, bianchi, sui quali campeggiano, ogni tanto, fotografie dei più banali paesaggi possibili; scrivanie anonime, impersonali, dove solamente alcune essenziali strumentazioni d’ufficio sono poggiate. Le finestre in cui capita d’imbattersi emanano una luce abbagliante, chiara, che impedisce la visuale sull’ambiente esterno.

A condire il tutto vi sono dei cartelli ed insegne demotivazionali (“Do not lie. If you’re lying right now, stop”), affissi qua e là, che contribuiscono a delineare una abbozzata ed ironica critica al mondo aziendale.

E’ curioso notare che in un ambiente così asettico ed atemporale, dove ogni decisione appare sospesa come in una bolla, gli orologi appesi alle pareti dei desolanti uffici segnino davvero l’ora e le loro lancette scorrano inesorabilmente.

Per quanto si provi ad interagire con quei pochi elementi che caratterizzano lo scenario, non emerge nulla di interessante. Anzi, il Narratore non esiterà a commentare ogni nostra azione, deridendoci e punzecchiandoci in modo diretto e “bypassando” la figura di Stanley, spostando il focus della sua attenzione direttamente su di noi.

Faber est suae quisque fortunae - The Stanley Parable

Questa interattività davvero minima tenta di veicolare chi controlla i movimenti di uno Stanley sempre più marginale nella storia, al concentrarsi esclusivamente su quel percorso che il Narratore tenta di farci seguire.

Questi fattori tendono ad estraniarci man mano dalla realtà del videogioco, poiché non riusciamo a percepire Stanley come un personaggio attivo all’interno del contesto nel quale è stato posto. Il Narratore non si rapporta con lui, se non per necessità di facciata. Stanley è una figura virtuale senza anima, anch’essa funzionale al nostro permetterci di concentrarci sul tema del gioco e non sul gioco in se.

La voce della narrazione che ci accompagna durante tutta l’avventura prova più volte a soverchiare ed oltrepassare la cosiddetta “quarta parete“, surclassando il rapporto che lega narrazione-protagonista e cercando di tirarci dentro la questione. Così facendo ci spoglia di quella volontà di immedesimazione e ci fa sentire come un elemento estraneo in un ambiente non nostro.

Tutto questo accade perché non assume nessuna rilevanza il contesto videoludico, se non come mezzo espressivo per giungere in modo diretto alla critica che si muove nei confronti del concetto stesso di videogioco.

The Stanley Parable sarebbe potuto essere benissimo un’analisi scritta, ma non avrebbe richiamato con così tanta efficacia l’attenzione su di sé, perché la riflessione sarebbe arrivata da un elemento esterno la realtà che viene analizzata.

E’ nella forma stessa che si snocciola la chiave con la quale mettere a nudo la natura di quella dimensione fatta soggetto ed oggetto di critica. Ed è interessante notare che è proprio nell’evoluzione della capacità espressiva del linguaggio utilizzato che si racchiude il passo successivo sull’uso dello strumento videoludico messo in discussione.

 

 

In cosa consiste (davvero) The Stanley Parable?

Una delle più frequenti critiche mosse a The Stanley Parable è il fatto che, forse, troppo spesso, cerca di rivelarsi per ciò che è, probabilmente temendo che il concetto alla base del lavoro potesse non venir compreso. Una paura legittima, considerando la portata riflessiva del progetto.

Eppure l’opera colpisce perfettamente dove voleva andare a segno. Crea una sensazione di disturbo, di insofferenza nei confronti di quel Narratore che ad ogni costo deve tirarci in mezzo, impedendoci di vivere l’illusione del videogioco.

 

The Stanley Parable

 

Perché è proprio questo che un videogioco fa, crea in noi l’illusione. L’illusione della scelta, ma ancor prima della possibilità di essere protagonisti in un contesto che mai nella nostra realtà potremmo vivere.

The Stanley parable spezza questo sottile filo che lega noi alla capacità di immedesimazione, costringendoci a vedere quanto in realtà le nostre decisioni sono prive di un senso di fondo, poiché legate a scelte già prestabilite.

I concetti di “vittoria” e “sconfitta” vengono completamente rivalutati.

I concetti di “vittoria” e “sconfitta” vengono completamente rivalutati e assumono entrambi la stessa dimensione di insignificanza, prendendo atto della non-possibilità di poter scrivere un percorso che possa definirsi originale nella più pura accezione del termine.

In quanto videogiocatore, l’unico momento all’interno di The Stanley Parable nel quale possiamo ritenerci calati nella vacua figura del povero impiegato, è proprio quello che non viviamo. E’ il premere determinati tasti in seguito a determinati ordini che ci accomuna con Stanley, e la possibilità di entrare nei suoi panni ci è negata con l’inizio stesso del gioco.

The Stanley Parable

Come ci ricorda la voce di un Narratore, stavolta femminile, in uno dei tanti finali, la morte di Stanley, identificabile più concretamente con la morte del libero arbitrio nel videogiocatore, sopraggiunge nell’istante stesso in cui noi accettiamo di porci al tavolo del gioco. E’ la caduta delle scelte, è la rinuncia alla nostra individualità in favore di un fantoccio incatenato da intangibili righe di codice.

Il Narratore non è altro che la voce, lontana ed inafferrabile, dello sviluppatore. Ci ricorda, con la sua stucchevole onnipresenza, che è lui a decidere, a tessere le fila del povero Stanley, a tessere le nostre fila in quel contesto in cui non siamo altro che burattini.

Possiamo assecondarlo, silenziosamente, oppure possiamo disubbidirgli e tentare di percorrere strade alternative. Ma non è, forse, sempre lui ad aver creato quelle strade che noi riteniamo alternative?

Alla fine, si riduce tutto a due semplici e limpide scelte: pillola azzurra, accettare la fittizia realtà del velo illusorio, o pillola rossa, staccare lo spinotto e rifiutare il gioco.

 

The Stanley Parable

 

Si potrebbero scrivere interi papiri su The Stanley Parable, ma il tutto risulterebbe comunque limitante per le ragioni illustrate prima.

Per questo motivo, a chi non lo avesse già fatto, consiglio vivamente di recuperare e sperimentare sulla propria pelle questa piccola chicca, che oramai si può reperire per pochi spiccioli.

 

Faber est suae quisque fortunae.

Sallustio (attribuita)

 

(Pubblicato originariamente il 16/11/16 su Il Menterrante)