In questo approfondimento ci occuperemo di analizzare la componente artistica di Ōkami, uno dei giochi più apprezzati di Hideki Kamiya.

Tutti gli appassionati di videogiochi di sicuro già conoscono Hideki Kamiya, autore di titoli del calibro di Devil May Cry, Viewtiful Joe e Bayonetta. Egli ha recentemente manifestato il desiderio di sviluppare un seguito per quello che, tra i suoi lavori, è probabilmente il gioco che più di tutti esalta una componente artistica: Ōkami.

In occasione dei 15 anni dall’uscita originale del titolo su PlayStation 2 e nella speranza che Capcom possa concedere un giorno il permesso a Kamiya (ora in forza a Platinum Games) di svilupparne un seguito, ripercorriamo le avventure della Dea Amaterasu, analizzandone in particolare la straordinaria profondità artistica.

 

 

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Eroi, demoni e Dei

In un indefinito periodo del medioevo giapponese, in un piccolo e tranquillo villaggio chiamato Kamiki, fa improvvisamente la sua comparsa il temibile Orochi, un imponente demone dalle otto teste di drago.
Lo spaventoso essere incombe sull’indifesa gente in tutta la sua maestosa ferocia e da quel preciso istante pretende, una volta ogni 100 anni, il sacrificio di una giovane vergine del luogo. Se tale richiesta verrà ignorata, il villaggio sarà raso al suolo.
Passano mille anni da quell’infausto giorno, e quando si avvicina il crudele destino della decima vittima, giunge inaspettatamente in soccorso al popolo del piccolo borgo un candido lupo dal soffice manto bianco, che gli uomini chiamarono Shiranui.

L’impavido canide arriva giusto in tempo per accorrere in soccorso e salvare miracolosamente la vita al prode guerriero Nagi, intento a combattere con tutte le sue forze il demone nel disperato tentativo di portare in salvo la promessa sposa Nami, prossima designata al sacrificio.

L’intervento del lupo però, si rivela doppiamente provvidenziale, permette anche all’uomo infatti di mettere in atto il proprio ingegnoso piano: ubriacare con l’inganno il mostro per poi distruggerlo sotto i colpi della spada Tsukuyomi.

Grazie allo stratagemma di Nagi, Orochi viene così infine sconfitto e per gli abitanti di Kabiki l’incubo durato mille anni arriva finalmente a una fine.

 

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A causa della feroce lotta tuttavia, Shiranui rimane gravemente ferito, purtroppo nulla può essere fatto per salvarlo e pochi istanti dopo infatti… perisce.

Cent’anni di pace accompagnano il villaggio a seguito dell’epico scontro mortale, fino a che un giorno, il discendente di Nagi, Susanoo, risveglia involontariamente il feroce demone, che fugge lontano inghiottendo questa volta l’intero mondo nelle tenebre e nel caos.

Sakuya, spirito della foresta e guardiano del villaggio, decide così di invocare Amaterasu, la Dea del Sole, che si manifesta proprio sotto forma di lupo bianco, come reincarnazione di Shiranui, calcando il suolo mortale con lo scopo di riportare la serenità sulla terra.
Qui ha inizio Ōkami, un gioco permeato da una profondità culturale, contenutistica e puramente artistica legata alla tradizione giapponese classica, che trova pochi eguali nella storia delle arti moderne.

Tutta la splendida, avvincente, profonda vicenda narrata nel titolo creato dal maestro Hideki Kamiya e dal suo Team, è infatti una strabiliante reinterpretazione in chiave moderna della mitologia giapponese, delle leggende che stanno alle fondamenta del credo Shintoista e della pittura tradizionale del periodo Edo.

Il solo incipit alle vicende narrate tinge a piene mani infatti da una delle opere più importanti della letteratura classica giapponese.

 

 

 

Kojiki The Game

Nel libro del Kojiki si narra di Susanoo, fratello della Dea del Sole Amaterasu e figlio di Izanagi il Dio Creatore. Quest’ultimo affidò il dominio dei mari e degli oceani alla giovane divinità, il cui carattere controverso e bellicoso però, lo portò in breve tempo a subire l’onta dell’esilio sulla terra, più precisamente nella regione di Izumo.

 

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A seguito di questi eventi, Susanoo cambia profondamente e diventa difensore dell’umanità. Il figlio di Izanagi  sconfigge quindi il terribile Yamata no Orochi, un demone a otto teste a cui venivano sacrificate periodicamente delle giovani vergini. La vittoria del Dio arriva grazie a un astuto stratagemma, egli riesce infatti a ubriacare di sake il tentacolare mostro fino a farlo svenire, per poi ucciderlo senza alcuna difficoltà.

Recidendo la coda dell’essere inoltre, Susanoo scopre che al suo interno vi è celata la leggendaria spada Kusanagi no Tsurugi, che ha il potere di trasportare la vittima colpita in una dimensione nella quale regna un’illusione eterna.

I nomi, la caratterizzazione, la storia stessa dei personaggi narrati nelle pagine del Kojiki sono ripresi e riadattati da Kamiya per dare vita al mondo di Ōkami. L’antico testo classico non è però certamente l’unico libro che l’autore trasforma magistralmente in opera interattiva, anche le fasi apparentemente più slegate e più stonanti col contesto e lo stile generale del titolo sono infatti in realtà figlie dello stesso trattamento.

 

 

 

Bambù Lunare

 

Nel corso dell’avventura, Amaterasu e il suo piccolo amico Issun s’imbattono nella bella Kaguya, una giovane donna imprigionata apparentemente senza motivo dall’imperatore.

La fanciulla dice di essere la nipote del vecchio Tagliabambù, un altro personaggio incontrato poco prima. Dopo essere stata liberata però, si scopre che la giovane non è realmente imparentata con l’anziano, ma che è stata trovata in tenera età da quest’ultimo all’interno di un metallico germoglio di bambù.

 

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Proseguendo con il gioco, a seguito di un minigame, Kaguya dissotterra poi un’enorme navicella spaziale, che userà in seguito per tornare nel suo vero luogo d’origine: la Luna.

Molti giornalisti specializzati criticarono questa sequenza futuristica per la poca coerenza con l’atmosfera folkloristica del titolo Clover, ma si tratta in realtà della rivisitazione di un altro classico racconto giapponese risalente al X° secolo, il Taketori Monogatari.

Il Taketori Monogatari racconta infatti la storia di un anziano tagliatore bambù, che trova un giorno all’interno di una luminosa canna della stessa pianta una minuscola bambina. L’uomo decide di portarla a casa con sé, le da il nome di Nayotake no Kaguya-hime (principessa splendente del bambù flessibile) e la cresce come fosse una loro figlia.

La bambina quindi cresce e diventa una splendida donna, talmente bella da attirare le attenzioni di ben 5 principi intenzionati a prenderla come sposa, in seguito inoltre, persino l’imperatore verrà folgorato dalla sua bellezza.

Kaguya è tuttavia decisa a respingere i principi e chiede così loro di completare delle prove evidentemente impossibili da portare a termine.

Neanche l’imperatore riesce nell’intento di conquistare la ragazza, che si trova in realtà costretta a negarsi ai propri nobili spasimanti.

La giovane infatti si scopre venire da un luogo lontano e di appartenere a una razza che non ha nulla a che vedere con quella terrestre.Kaguya proviene infatti dalla luna, luogo dove infine ritornerà, per poi dimenticarsi improvvisamente degli anni trascorsi sulla terra.

Anche in questo caso le similitudini tra l’opera classica e le vicende narrate nel gioco risultano evidenti, non è solo nei contenuti però che la vastissima arte di Ōkami si manifesta, il mondo di gioco stesso infatti è un vero e proprio quadro interattivo.

 

 

 

Pittura in movimento

 

Il tratto, l’atmosfera, i colori, ogni singolo elemento dell’opera interattiva dei Clover Studio è un adattamento al linguaggio videoludico dall’arte tipica del periodo Edo.

La grafica e la direzione artistica nella loro totalità, sono a tutti gli effetti una moderna espressione dell’antica Ukiyo-e, una delle più famose tecniche di pittura giapponese.

Artisti senza tempo quali Katsushika Hokusai con le sue Trentasei vedute del Monte Fuji, di cui fa parte la celeberrima Grande onda di Kanagawa, quali Utagawa Hiroshige autore de Le 100 vedute famose di Edo prendono magistralmente vita e diventano un ambiente interattivo da esplorare in tutti i suoi anfratti, reso ancor più magico dal filtro grafico in simil carta di riso che ci accompagna nel corso dell’intera avventura.

 

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L’Ukiyo-e non è però l’unica corrente artistica orientale presente nel titolo firmato Kamiya, anche un elemento portante del gameplay infatti è forgiato su di una tecnica di pittura ancora oggi largamente praticata nella terra del Sol Levante: lo Shodō, l’arte della scrittura giapponese.

Per attivare infatti i diversi poteri magici che le varie divinità presenti nel mondo di gioco ci insegneranno procedendo nella storia, il giocatore deve letteralmente disegnare a schermo dei determinati simboli con il pennello celestiale.

I simboli in questione ricordano spesso gli ideogrammi nipponici e la modalità di rappresentazione ricalca pienamente lo stile tipico dell’antica arte nipponica.

Se il disegno non è sufficientemente ben eseguito la magia inoltre non viene attivata e l’utente è quindi spinto ad impratichirsi e migliorare continuamente il proprio “tocco” nel corso dell’avventura, portandoci così col tempo a creare vere e proprie opere di Shodō.

Questo elemento di gameplay è ancor più coinvolgente nella versione Nintendo Wii del gioco, dove il pennello celestiale si controlla attraverso i movimenti del Wii-Mote.

 

 

 

Giocare la cultura del Giappone

 

In Ōkami, ogni personaggio, ambientazione, fase di gioco è un rimando a opere letterarie senza tempo come il Kojiki, il Nihon Shoki o il Taketori Monogatari.

L’arte, la poesia, la filosofia, il mito, la religione del Sol Levante permeano ogni singolo aspetto dell’esperienza di gioco e il vero piacere del titolo sta proprio nello scoprire istante dopo istante come la classicità e il folklore giapponese vengano riletti in chiave digitale.

 

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Anche a quindici anni di distanza dall’uscita dell’originale su PlayStation 2, la straordinaria arte di Ōkami incanta i giocatori di tutto il mondo e lasciandoci trasportare dalla sua magia, non ci resta che pregare la Dea Amaterasu che Capcom possa un giorno dare al maestro Hideki Kamiya il consenso a sviluppare un meraviglioso seguito di Ōkami.