31 è il nome dell’ultima fatica del regista e cantante Rob Zombie, da anni impegnato a portare nelle sale americane un po’ di gore, bifolchi assassini e tette. Zombie ha esordito nel 2003 con La casa dei 1000 corpi, seguito da La casa del diavolo, per poi sbarcare in zona remake con Halloween e perdere completamente la bussola della sanità mentale con Le streghe di Salem. 31 è sicuramente un ritorno alle origini, quelle origini che ora appaiono decisamente sfuocate.
Dal retrogusto grindhouse e vintage, il cinema di Zombie predilige ambienti sporchi, persone viscide e una gran varietà di schizzi di sangue e pressione psicologica che male non farebbero al genere horror contemporaneo. Se non fosse che, spesso, la bussola della tecnica viene completamente smarrita.
Il regista sta facendo, o potrebbe fare, la fine di quelle menti che in età acerba producono film senza freni e soddisfacenti nella loro rozzezza e, una volta montati nell’ego, prendono il colpo della strega e non si raddrizzano più.
31 è un film piccolo, nel suo complesso.
Una caccia all’uomo vecchio stile, con ambientazioni e atmosfere sempre ben eseguiti, dall’aspetto malsano, malato e grottesco. Se c’è un gran merito che possiamo tranquillamente ammettere nei confronti di Rob Zombie è che la sua estetica è forte, non ha mezze misure, e ti si appiccica addosso come una coperta bagnata. L’horror ce l’ha nel sangue, lo adora, lo esplicita e ci sguazza dentro, e se la cosa si fermasse qui, magari con videoclip musicali, sarebbe l’uomo perfetto.
Rob Zombie sembra avere un grosso problema di ostentazione, non al pari di Quentin Tarantino ma poco ci manca, e quando vuole creare situazioni introspettive va tutto in malora. 31 non ha l’arroganza de Le streghe di Salem, ma ricorda molto un regista che si crogiola nel suo brodo, incapace di trasmettere realmente qualcosa.
Tornato in campi meno pretenziosi, cerca di riconnettersi con la gloria del passato, con trame semplici e concentrando tutte le sue energie sullo spessore dei personaggi.
C’è da dire che in effetti i protagonisti di 31 riusciamo a conoscerli da vicino, perfino troppo; tuttavia nessuno di loro provoca una realtà empatia o identificazione, anzi, quando vengono inseriti nel gioco al massacro inevitabilmente parteggiamo per i killer.
Questo fattore rende lo spettatore confuso: se non crei empatia e subito dopo antagonismo la pellicola ti scivola addosso senza lasciarti partecipare. Potrebbe perfino essere un fattore voluto, creare chiasso e disordine, dare spazio alle torbide interpretazioni degli attori.
Ma poi ci ritroviamo a fissare Sheri Moon per il 50% del tempo e forse forse l’amico Rob non si è ancora reso conto che l’attrice è tanto bella quanto incompetente. Ma va bene perfino questo, in un b-movie non puoi aspettarti che attori cani, quindi forza Sheri siamo tutti con te.
Il vero dramma di 31 è la scelta tecnica.
Se fosse grezza, perfino amatoriale, ci passeremmo tranquillamente sopra a piè pari, film d’exploitation e passa la paura. Purtroppo qui è palese che Zombie ci abbia ricamato sopra. Shaky-cam come piovesse, sicuramente per creare quella concitazione mista a terrore che in realtà si trasforma nel classico “sì ok, ma io vorrei anche vedere il film“. Stesso discorso per i primissimi piani che si rifanno al cinema western, solo che dall’altra parte della mdp non c’è Clint Eastwood ma, nuovamente Sheri Moon.
Se inoltre altri spunti della trama potevano essere colti ed amplificati, come ad esempio il sadico gioco dei tre milionari vestiti in abiti settecenteschi e capeggiati dal grande Malcom McDowell, sottolineandone il cinismo e la spietatezza delle loro scommesse, l’attenzione viene ceduta più facilmente al boss finale, il killer Doom Head (è anche l’attore che interpreta il capo dei White Walkers di Game of Thrones), il più disumano di tutti i clown.
E anche qui, è davvero così bestiale e sanguinario? Più che gore assomiglia ad un thriller. Mai un volta nello schermo si vedono morti raccapriccianti o splatter pesante. E non voglio dire che le secchiate di sangue siano d’obbligo, ma visto che tutto il resto prende il tempo che trova, perché non esagerare in quello che, teoricamente, Rob Zombie sa fare meglio?
Tornando all’estetica, invece, i personaggi dei clown sono effettivamente bellissimi e portano dietro tutto quel gusto secco e fangoso dell’horror dei rejetti perduti. Tra maschere, trucco pesante e atteggiamenti psicotici, ogni tanto qualche sorriso riescono perfino a strappartelo. Come ad esempio il geniale nano vestito da Hitler, alimentato da odio e serie malattie mentali. Gli ambienti della fabbrica abbandonata offrono spunti visivi davvero meravigliosi, come gli spazi dedicati alle presentazioni dei clown. Tra luci e oggetti di scena, sembra quasi di respirarne il fetore e la malattia.
E malgrado questo non basta, non è eccessivo, non è abbastanza acerbo, libero, non si svincola dall’automasturbazione. Il finale non è coraggioso, è incompleto, è un finale sciocco, molto sciocco.
31 resta in immenso wannabe, con scelte registiche poco azzeccate, con tempi contrastanti e manierismi abbandonati a sé stessi.
Battere Le streghe di Salem in bruttezza non è semplice, e grazie al cielo il tentativo di ritorno alle origini può aver fatto superare il periodo-boria di Rob Zombie, ma c’è ancora molta strada da fare, perché il potenziale c’è e a mio parere è immenso. Ed è possibile che un ipotetico film con lui alla sceneggiatura e un bravo regista dietro la macchina da presa, possa essere un lavoro che vale oro.
Ma la realtà, per ora è questa.