004563

Prostrato a quel modo, a toccare il pavimento con la squamosa e lurida fronte, la sudicia creatura avrebbe di sicuro insozzato il lucido marmo. Dalle enormi e slanciate finestre ai lati del salone, filtrava la fredda luce caratteristica del pianeta. Lo Yak, coperto da una grezza e logora tunica che un tempo doveva essere del colore dell’avorio, alzò il liquido sguardo.

Il volto dell’essere, vomitevolmente incrostato di sporco, era piegato in una ridicola smorfia di supplica.

«Perrr favorrro, o grrande e sssommo Messsia, il mio clan non potrrrrò soprrravviverre a lungo sensssso un vostrrrro aiuto!» disse l’indigeno, cercando di apparire disperato più di quanto quella strascicata parlata potesse, di fatto, permettergli.

Il Colono 004563, meglio noto come Grande Guida, trovava quella situazione tremendamente spassosa. Era sempre un gran divertimento quando gli indigeni del posto venivano a venerare le loro persone ed a chinarsi in supplica dinanzi ai fantocci di pietra che erano stati fatti scolpire in alcune celle della Sacra Sala. Oh, sì, un vero spasso! Quante grasse risate 004563 ed i suoi compagni profeti si erano fatti nelle sfarzose camere del piacere.

«Grrrande Guida, noi averrre bisssogno di vostrrra passsienssssa» continuò la patetica creatura, che allungando la mano destra tentò di stringere con le sue tre dita la caviglia del Colono.

Scandalizzato ed orripilato da quell’oltraggioso gesto, la Grande Guida sferrò un calcio a colpire la faccia dell’audace Yak. L’indigeno, che doveva aver visto tempi migliori, incassò il colpo, indietreggiando di qualche passo. Sibilò in quella sua fastidiosa e primitiva lingua, quindi un rivoletto di sangue giallognolo colò dall’angolo della bocca assieme ad un acuminato dente.

«Come osi, tu, miserabile miscredente, toccare uno dei Grandi Profeti!» sbraitò 004563, sputacchiando saliva ovunque, nella veemenza di quel rimprovero. Quanto disprezzo suscitavano in lui quelle rozze e disgustose creature.

«Non è affar mio, o di quello dei miei venerabili compagni, conoscere e rimediare alle difficoltà dei vostri piccoli clan!» urlò la Guida in direzione dello strisciante essere. «Fin quando continuerete ad offrire in dono le ricchezze della terra alla Lucente Montagna, la misericordia dei Signori del Cielo vi concederà la luce della civiltà.»

Lo Yak, ancora piegato in una estrema ed esilarante postura di supplizio, graffiò con gli affilati artigli il pavimento dalle molte sfumature di marmo.

«Il nossstrro clan non ha lo bissssogno della luce, ma di cibo per ssssassiare i nossstrrri cuccioli!» esplose in un sibilo incredibilmente acuto l’indigeno, il cui serpentino sguardo fu attraversato da una scintilla d’odio.

Un ulteriore oltraggio che scandalizzò il sommo e giusto Colono che, dall’alto del suo potere divino, non avrebbe certamente lasciato impunito.

Tremante e fumante di rabbia, paralizzato e con la bocca socchiusa in una smorfia che esprimeva tutto il suo orrore per quella eretica e peccaminosa affermazione, 004563 impiegò qualche istante prima di riuscire a replicare a quello Yak così incredibilmente sfrontato.

«Tu… TU… non avete bisogno della luce? Voi, sudice creature dimenticate in questo schifo di roccioso pianeta, non avete bisogno della nostra LUCE?!» sbraitò la Grande Guida, rosso in volto per quell’affronto così temerario. «Se non fosse stato per NOI, grandi e giusti profeti, che siamo calati in questo puzzolente ed arido posto a portarvi la conoscenza, VOI sareste ancora a vivere nei vostri sozzi e luridi buchi sottoterra!»

Il Colono scese i due gradini del piedistallo per avvicinarsi a quella sporca creatura. Strinse con forza ed entrambe le mani il lungo bastone di metallo dorato che contraddistingueva la sua alta posizione di Guida. Con incredibile ed ammirevole rapidità colpì l’indigeno sul fianco, che sibilò dal dolore e si accasciò. Quanto, quanto disprezzo per quegli ingrati esseri.

004563 diede ancora un colpo con la base del bastone sulla schiena dello Yak, che stramazzò definitivamente in terra. Il grande Messia passò la mano sinistra sul volto, a sistemare una ciocca di unti capelli che, nella foga, gli era caduta sulla faccia. Fece un cenno in direzione della vuota sala e due possenti servitori sbucarono da dietro delle colonne e trascinarono via la maleodorante creatura abbandonata sul pavimento.

La Grande Guida si allontanò dal piedistallo avvolta nella sua candida tunica, ritrovata la calma interiore. Imboccò una porticina ed uscì dalla Sacra Sala, ritrovandosi su uno dei camminamenti che percorrevano le alte mura della Città dei Santi. La cinta di mura esterne circondava l’opulente cittadella dei profeti, all’interno della quale pochissimi degli ignoranti Yak potevano mettere piede.

Fuori dalle mura, la durezza di quell’inutile pianeta. Le grandi escavatrici che svettavano tra le spoglie collinette erano ferme da settimane, oramai. Gli indigeni avevano iniziato ad essere irrequieti ed a fuggire nei loro abominevoli buchi sotterranei. Che luridi irriconoscenti. I Coloni avevano risposto con le sacre bocche da fuoco, decimando i lavoratori più indisciplinati. E le acque si erano placate, almeno per un po’. Giusto il tempo di godere ancora un poco di quel grottesco regno.

Così ignoranti e stupidi, ah! Se avessero voluto, con un minimo di organizzazione, quelle creature avrebbero potuti spazzarli via e mangiarseli in un sol boccone.

Dietro la Città, la nave colonia Sweet Destiny giganteggiava splendente alla luce di quel sinistro sole. La “Lucente Montagna”, avevano iniziata a chiamarla nella loro gutturale lingua gli Yak.

Quando scesero dalla nave, vent’anni prima, a calcare quel suolo polveroso, quegli esseri si riversarono fuori dalle loro schifose tane per venire a pregare ed inginocchiarsi al cospetto dei salvatori e profeti.

Li scambiarono per degli dei, e così 004563 ed i suoi compagni di viaggio non ci pensarono troppo e colsero al volo l’opportunità. Dopo sanguinose lotte intestine, i più forti prevalsero e presero le redini di quella santa comunità.

Ma quella grigia luce sembrava raffreddarsi sempre di più, diventare sempre più tagliente ed effimera. Il Colono lo sapeva, così come lo percepivano gli altri grandi profeti venuti dalle stelle. Quel piccolo regno del sacro e del profano non sarebbe durato ancora a lungo. Si erano divertiti, avevano giocato a fare i re e ciò li aveva appagati e resi ebbri.

Anni erano però passati da quando interruppero ogni contatto con l’opprimente e tiranno Impero. Avevano sperato che, nella vastità di quelle avide dita che si diramavano negli angoli più remoti della galassia, le informazioni della loro piccola missione potessero andare perdute nei meandri degli enormi archivi della Capitale.

Era un sogno così dolce, così succoso. Dopotutto, era poi così tanto chiedere la Libertà? Libertà con la “L” maiuscola. C’era uno spazio sconfinato là fuori, per tutti!

No, l’asfissiante Impero non avrebbe mai perdonato una disobbedienza simile. Controllo! Rettezza! Onore!

I compagni Coloni stavano diventando sempre più nervosi, disturbati. Avvertivano e subivano il peso di quegli anni di pura e libera frenesia, e ciò gravava sulla loro sanità mentale. Un peccato. Probabilmente 004563 avrebbe dovuto farne sparire qualcuno, giusto per far tacere quei sussurri fastidiosi.

Una leggera brezza pomeridiana aveva iniziato a mitigare la torrida aria di quel secco pianeta. Le Nere Macchine sarebbero giunte presto, ormai era questione di poche settimane.

In fondo, si erano divertiti davvero molto.

 

 

(Postato originariamente il 23 Agosto 2016 sul Menterrante)

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