Netflix rende finalmente disponibile la seconda stagione della serie TV Narcos, che descrive la vita, la spietatezza e le paure del Re della cocaina, Pablo Escobar, l’uomo che tenne sotto scacco un’intera nazione per uno sproporzionato numero di anni. Wagner Moura, ancora una volta, protagonista di uno straordinario biopic che svela i retroscena delle sanguinose azioni del Cartello di Medellin.
Una seconda stagione cruda e dai toni contrastanti che soddisfa esattamente come il primo capitolo della vita di Escobar, una serie TV in grado di tenerti incollato allo schermo e farti vivere una varietà di sentimenti.
Una storia che molti di noi hanno scoperto solo ora, nemmeno vissuta di riflesso, un personaggio così distante ma tuttavia così pesante e categorico nella cornice della guerra dalla droga e ai narcotrafficanti.
Una produzione che sa lavorare con rigore e criterio, intervallando la dramatization a inserti reali di servizi giornalistici di quel periodo, ricordandoci che no, non tutto è finzione. Anzi, il drama di Netflix è riuscito a mantenere la storia di Pablo legata al suo contesto e, anche se spesso suppone o amplifica toni e sentimenti interni, riesce ad elaborare i fatti senza perdere la bussola della realtà.
Mettere al centro di una serie TV la vita pubblica e privata di uno dei più acerrimi criminali della storia non è semplice: spesso e volentieri il pubblico, nella normalità della visione cinematografica, si affeziona al protagonista.
Ed in questo caso il protagonista è un uomo che ha contrabbandato veleno negli Stati Uniti e nel mondo per decine di anni, ha ucciso centinaia di poliziotti e civili innocenti, ha piazzato bombe al C4 spazzando via interi distretti di Medellin, incendiato aerei di linea, portandosi a casa una cifra come 30 miliardi di dollari stimati in proprietà e denaro contante.
Pablo viene ritratto da molto vicino, intimamente, nel suo amore ossessivo per la famiglia, nella sua folle mitomania, nei suoi percorsi oscuri legati all’incubo dei rivali, narcos e militari, creando un’inquietante empatia tra protagonista e pubblico.
Questo collegamento malsano viene tuttavia trattato nel modo più opportuno: quando la narrazione ti spinge verso la comprensione della mente di Escobar, ecco che subito dopo ti ricorda chi è davvero quell’uomo, attraverso le sue plateali e distruttive ostentazioni di megalomania e crudeltà. Un gioco di contrasti, un tira e molla di emozioni nell’infinito tentativo di capire i contorni.
Un singhiozzo di emozioni, mai troppo drastiche, per creare un conflitto e forse una riflessione tra il mondo microscopico-intimo e quello macroscopico-sociale di un personaggio completamente fuori dalla norma e (fuori di testa). Una mente contorta, che si sviluppa tra banalità del male e sadismo irrazionale.
Nella seconda stagione assistiamo al crollo dell’impero del Re della cocaina, in un leitmotiv amaro e giusto di disfatta dell’uomo e del mito. Due linee che ora non viaggiano più parallele ma si mescolano, rivelando i contorni dell’Escobar essere umano e tuttavia assassino di innocenti. Pablo perde lentamente potere incontrando nel tragitto della disfatta due potenze che sono esasperate dalla sua presenza.
Il cappio di Pablo
Le istituzioni colombiane chiedono la collaborazione degli Stati Uniti per la lotta alla droga, e questi ultimi sicuramente non se lo fanno dire due volte. Nasce così il Search Bloc, l’organizzazione militare voluta dallo stesso presidente della Colombia, Gaviria, che attraverso la figura del Colonnello Carrillo compirà azioni tremende e categoriche. Sono decine e decine, tuttavia, i tentativi andati a vuoto, le intercettazioni sbagliate, le imboscate dei narcos.
Tutti a Medellin vedono ancora Don Pablo come una divinità, la rete di informatori è infinita e crea un muro di cinta invalicabile per la DEA. Ma il cerchio si stringe, lento, ossessivo, attorno al collo della famiglia Escobar, costretta a scappare in continuazione da una casa all’altra in una corsa contro il tempo e la morte.
Simbolica anche la stessa progressione delle diverse abitazioni dove sono costretti a rifugiarsi: dapprincipio lussuose villette dove il potere e la ricchezza vengono ostentate senza vergogna, per poi diventare sempre più povere di mobilio, di comfort, e soprattutto di protezione.
Dal lato dell’illegalità, una presenza imponente comincia a fare capolino dalle retrovie: sono i competitor del Cartello di Medellin, quelle famiglie di narcos che, prima rimaste nell’ombra, ora possono finalmente mettere il naso fuori dalle loro coperture e cercare di prendersi ciò che Pablo Escobar sta lasciando, come un percorso di briciole, dietro di sé.
Loro sono il Cartello di Cali che, nelle loro ville da banchieri, tramano contro Medellin grazie anche all’aiuto di Judy, la moglie di Kiko, ucciso da Escobar durante la sua permanenza a La Catedral, nei suoi più bui periodi di paranoia.
A sommarsi ai Cali arrivano anche due figure inquietanti, direttamente dalla giungla dei guerriglieri anti-comunisti: sono i fratelli Castaño, due uomini senza scrupoli che saranno il braccio violento della nuova organizzazione di persecutori di Escobar, chiamati Los Pepes, “PErseguidos por Pablo EScobar”.
Due fronti dunque, la legalità e l’illegalità, che si muovono in contemporanea e con mezzi oltremodo diversi, per circondare il criminale più ricercato del mondo. Come nella realtà, anche la finzione propone un suggerimento, mai confermato, di collaborazione tra i fronti della DEA, della CIA e il gruppo dei Los Pepes.
Si dice infatti che le organizzazioni americane passassero informazioni direttamente ai guerriglieri circa le posizioni degli scagnozzi chiave del Cartello di Medellin. Esecuzioni esemplari, comprese decapitazioni e mutilazioni di cadaveri di amici e parenti di Escobar disseminati lungo tutto il territorio.
Nessuno è salvo
Nel lato della fiction la serie TV propone varie introspezioni non sono di Pablo ma anche degli agenti che da lungo tempo gli danno la caccia. I personaggi di Murphy e Peña vengono approfonditi in termini di frustrazioni e problemi sentimentali, creando nuovamente contrasti e affinità di personaggi in lotta con la propria umanità. Nessuno è solo buono o solo cattivo, tutto deve giungere ad un compromesso morale. La Colombia richiede a gran voce il suo boia, e la frustrazione lievita mese dopo mese, lasciando spazio a comportamenti irrazionali e ossessione compulsiva.
Il mito di Pablo crollerà nel momento in cui il suo tasto dolente verrà finalmente premuto: quando la famiglia è costretta a lasciare casa, il Re della cocaina vede crollare le sue certezze, ed è esattamente in quel momento che diventa più pericoloso. Il culmine viene raggiunto quando la famiglia, in fuga dalla Colombia, cerca asilo politico in Germania, che però non viene concesso. Pablo perde completamente la testa e farà l’errore fatale che provocherà la morte di decine di innocenti, piazzando una bomba al c4 accanto al Parlamento di Bogotà e dichiarando guerra non solo allo stato ma anche a tutti quei cittadini che prima lo sostenevano in modo incondizionato.
L’ultima parte della stagione racconta un Pablo a confronto con un personaggio mai nominato in precedenza, il padre. Dopo aver visto per lunghe puntate una moglie completamente assorbita dall’amore verso Pablo, una madre orgogliosa delle gesta del proprio figlio, e due bambini innocenti buttati nel vortice della pazzia, il padre ci concede quell’amaro sollievo dalla completa irrazionalità. Tuttavia non è abbastanza, non è mai abbastanza.
Nemmeno vedere da vicino il tracollo del Signore della Droga, sfatto nell’animo e nel corpo, braccato come una bestia. Nemmeno quei tetti insanguinati e quelle urla di gioia del Search Bloc concedono pace alle vittime dei massacri dei cartelli della droga. E’ una vittoria amarissima, e nella serie TV lo si avverte fin troppo bene, una patina di disperazione e disgusto che non finiranno di certo con la famiglia Escobar.
Questo concetto viene confermato anche dall’ultima scena, dove Peña viene interpellato dalla DEA per avere informazioni e coordinare una nuova squadra che, dopo la morte di Escobar, si dovrà occupare dei nuovi Signori del narcotraffico, i Los Pepes. E’ dunque la conferma per una terza stagione incentrata sulla disfatta del Cartello di Cali? Speriamo di sì. E tuttavia, Narcos rimarrà lo stesso senza la presenza di Pablo Escobar?
Per finire, ancora una volta Narcos ci conferma la straordinaria bravura di Wagner Moura, alle prese con un personaggio estremamente difficile, recitato in una lingua che non è la sua e con 20 chili sulla groppa. Boyd Holbrook e Pedro Pascal sono due ulteriori conferme positive, per un casting e una regia vincenti nella descrizione di un così delicato argomento. La scelta della voce fuoricampo e dei video presi direttamente dai telegiornali dell’epoca aiutano a conoscere il contesto, creando emozioni forti nella visione della serie.
Riferimenti e riflessioni
Netflix offre anche un documentario interessante sulla vita di Escobar, chiamato Los tiempos de Pablo Escobar, in cui si possono ritrovare molti dei protagonisti della serie TV.
Interessante anche il libro che scrisse il figlio di Pablo, intitolato Mi Padre, nel quale Juan Pablo Escobar offre una visione ancora più intima e familiare del genitore: quell’uomo sanguinario, quell’assassino, quel criminale, è stato un padre devoto seppur rigido e, anche se poco presente, gli ha insegnato valori fondamentali quali il rispetto e l’onestà. Nel libro, inoltre, il figlio chiede scusa alle vittime dei massacri compiuti da suo padre.
La serie TV Narcos non insiste mai su una morale ma offre comunque qualche importante riflessione sul mondo della droga, sulle sue dinamiche, sull’effettivo ruolo del compratore ultimo.
“Sai quanto costa un chilo di droga?” chiede Murphy ad un broker di Wall Street col naso sporco di cocaina. “Sei vite, vale sei vite”. È sempre stata la guerra dei poveri, anche Pablo Escobar lo diceva in continuazione: “Non sono un uomo ricco, sono un uomo povero con i soldi”.
Il Re è morto, lunga vita al Re.
- Narcos (netflix.it)
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