Just Jim e l’adolescenza infinita di Craig Roberts

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Just Jim  non vorrebbe essere unico nel suo genere, ma potrebbe segnare il tramonto di un grande caratterista e una stentata dichiarazione di maturità.

Rotten tomatoes con le sue statistiche parla forte e chiaro: in bilico tra un film con Craig Roberts, un film d’autore thailandese e un film con problemi in fase post produttiva, l’opera prima dello stesso Craig Roberts, qui in veste di regista ed interprete, ha diviso nettamente critica e pubblico. Dopo una serie di apparizioni alla stregua di camei in varie produzioni cinematografiche, il giovane britannico firma un’opera faticosa e complessa.

La prima mezz’ora è una tediosa introduzione allo spaccato emotivo di un giovane weirdo al quale i genitori preparano uno striscione per festeggiare i 16 anni compiuti l’anno prima. E per un attimo si teme davvero che nella culla della depressione il protagonista Jim alias  Craig R. sia ammutolito di noia e abbia oscillato fino a invertire il proprio tempo biologico. Dubbio sfatato nell’immediato quando il teenager informa i genitori di essere diciassettenne, col solito inglese in sordina dai potentissimi effetti comici.

 

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Siamo di fronte ad un Fantozzi meno demenziale che non guarda a un ceto definito bensì all’adolescenza.

Siamo di fronte ad un english humour declinato al dramma, ad un Fantozzi meno demenziale che non guarda a un ceto definito bensì alla dimensione social-selettiva per antonomasia della vita: l’adolescenza, quella fatta di moderate vessazioni, stati catatonici e, neanche tanto paradossalmente, di solitudine.

Il lungometraggio di Craig Roberts ne è un lungo e sofferto ultimo atto, sbloccato dall’intervento provvidenziale di Emile Hirsh nei panni di Dean, il nuovo vicino di casa cool. Il personaggio, dall’origine incerta, romanzata e revisionata dallo stesso, risente della gran prova di Hirsh che riesce a contenerne i tratti più macchiettistici, e rappresenta a tutti gli effetti un sosia comportamentale del noto attore statunitense omonimo. In breve tempo il suo avvento porterà benefici gratuiti a Jim e famiglia, conservando però un alone di mistero che, sempre per merito di Hirsh, rasenta i tratti tipici del doppelganger, per come è stato inscenato in pellicole del calibro di Enemy di Villeneuve o The Double di Richard Ayoade (in cui tra l’altro ha una parte secondaria proprio Craig R.)

 

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Il suo apporto non finisce qui: Dean concretizza il consiglio un po’ lapalissiano che la sorella di Jim spiccica telefonicamente (e svogliatamente) al fratello, ossia cresci. Infatti è lecito pensare a Dean come a una allucinazione collettiva necessaria, o meglio ancora come alla personificazione di un compromesso che farà del just Jim impacciato un radical Jim sfrontato delinquente e capace di invitare a uscire la ragazza dei suoi sogni a occhi aperti. Inevitabile e prevedibile la classica resa dei conti fra allievo e maestro.

Operando un dovuto parallelismo, anche a livello registico Craig R. ha cercato di americanizzarsi, passando nello stesso film dalla commedia al thriller con disinvoltura ma virando dannosamente all’ermetico in un finale semi-onirico raffazzonato.

Ingenuità a parte, la sensazione è che l’emaciato ragazzino di Submarine (2010) abbia voluto completare il percorso spirituale iniziato in quell’occasione col già citato Ayoade alla regia, e abbia tentato di dare una svolta a quel loop tematico che vede ristagnare molti ormai non più giovani attori (vedi il mitico Michael Cera di Crystal Fairy e Magic Magic).

Tutto sommato Just Jim è costellato da una serie di momenti e inquadrature suggestive, che ne fanno, così come i difetti di sceneggiatura nella seconda parte, un film originale da riguardare, anche solo per accomiatarsi da un Craig Roberts che ha tutte le carte in regola e la voglia per diventare un versatile attore al pari di Emile Hirsh.

 

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