Netflix, in collaborazione coi Duffer Brothers, crea la più alta forma di omaggio di tutta la cinematografia della nostra infanzia: Stranger Things. Un prodotto che riesce a unire l’effetto nostalgico ed il mistery in un grande calderone girato con maestria, sensibilità e uno sfacciato amore per gli anni ’80 in cui tutti i 30-40enni d’oggi riusciranno ad identificarsi e adorare senza mezze misure.
Un piccolo capolavoro, le otto puntate della nuova serie TV Stranger Things, tra mille citazioni e omaggi alle pellicole che hanno segnato le nostra infanzia e adolescenza. Steven Spielberg ne è il riferimento fondamentale, assieme a Stephen King e John Carpenter. Con loro altri satelliti che ruotano attorno ad una trama orizzontale in grado di essere convincente dall’inizio alla fine, senza troppe deviazioni nell’ambiente fantasy della magia, rimanendo sul filo del rasoio della fantascienza e lanciando tributi al genere horror delle più grande saghe cinematografiche e videoludiche.
Un prodotto visivamente appagante, fatto di simmetrie e fotografie ricercate nel dettaglio, dalle atmosfere cupe degli incubi in contrapposizione ad ambienti caldi ma ameni, musiche in tensione che rincorrono le immagini come nenie di cliffanger. Carpenter è l’elefante nella stanza, un tributo alle sue soundtrack in grado di dare spessore e ambientazione perfetta alla serie fantascientifica.
Un casting perfetto e decisamente in forma, con Winona Ryder al comando delle follie arrivate nella tranquilla cittadina, e sicuramente nel ruolo che le è sempre riuscito meglio, quello della pazza. David Harbour, con quei dieci chili sulla groppa, è perfetto nella parte di uno sceriffo sfatto ma in gamba, determinato, in tutto il suo desiderio di redenzione e di accettazione di un passato doloroso.
I ragazzini incarnano la generazione ’80s di tutti i film che abbiamo amato, da E.T. a Stand by me, fino ad arrivare a IT: un gruppo di nerd con le loro biciclette, bussole e walkie talkie, e l’immancabile Dungeons & Dragons che ritorna in loop per tutta la serie. Una generazione amante della fantascienza ed esordisce molto presto mostrando il Millennium Falcon di Star Wars e, più avanti, l’effetto Lando per identificare i traditori.
La rivincita dei genitori
Stranger Things è anche novità, e lo fa nel migliore dei modi, ovvero con l’incontro di tre generazioni che, finalmente, si parlano e si scambiano informazioni.
Lì dove gli anni ’80 avevano fallito, la nuova serie Netflix ci racconta il confronto tra madri e figli, tra sorelle maggiori e fratelli minori, in una delicata collaborazione per arrivare tutti assieme allo scopo finale.
Un elemento che a tutti gli effetti non avevamo mai notato nei film omaggiati, dove, fino alla fine, il ragazzino tende a dire bugie o non affidarsi agli adulti per risolvere i problemi. Una collaborazione che taglia il cordone ombelicale con il passato, anche se gradualmente.
I genitori hanno un ruolo effettivo nella risoluzione dei misteri, non sono i tromboni dei Peanuts che restano sulle sfondo e accettano (o meno) gli eventi per come arrivano, come abbiamo sempre visto nei Goonies, o E.T. o Explorers. Ne sono spaventati ma reagiscono in prima persona, sono in grado di credere e di aiutare. La madre in E.T, quando vede per la prima volta l’alieno, resta terrorizzata e porta via i figli. I genitori dei Goonies, sebbene principali da un punto di vista di trama orizzontale, non hanno alcun ruolo effettivo ma restano sullo sfondo, per tornare nel finale a mistero risolto.
Potremmo quasi interpretarlo come l’ennesimo omaggio a noi stessi, a quella generazione cresciuta coi miti degli anni ’80 che, identificatasi con i bambini di allora, non può fare a meno di essere un believer anche da grande. Perchè noi siamo la madre, siamo lo sceriffo, perchè il genitore di oggi non si accontenta di non credere, lui vuole capire, vuole restare in contatto coi figli.
La madre interpretata da Winona ricorda molto il viaggio verso la follia di Incontri ravvicinati del terzo tipo, dove la famiglia, di fronte alla presunta pazzia del padre, si allontana completamente e sparisce dalla scena. In Stranger Things notiamo tuttavia un iniziale allontanamento della famiglia per poi riavvinarsi e collaborare. Nessuno viene tagliato fuori, tutto e tutti sono in ballo.
Addio macchiette
I bambini di Stranger Things, malgrado siano identificabili attraverso comportamenti classici, non hanno quella bidimensionalità che spesso era palese nei film anni ’80.
I personaggi non sono macchiette, non esiste quello intelligente, quello paranoico o quello grasso.
I ruoli si scambiano e creano profonda tridimensionalità e personalità. Dustin, che a primo impatto potrebbe essere la copia di Chunk dei Goonies, è la versione sviluppata di quello stesso stereotipo. Lui pensa al cibo, ma è anche particolarmente sveglio, capace nei rapporti e in grado di sdrammatizzare qualsiasi situazione. Ed è anche il personaggio più memorabile della serie!
Questa è struttura
Lo sviluppo della trama è molto lineare e pulito, e ci ricorda la struttura narrativa di King; malgrado il numero elevato dei personaggi le situazioni e gli accadimenti sono perfettamente organizzati. I vari incipit partono distanti e in tre realtà differenti, si sviluppano secondo le modalità della generazione di riferimento ed infine si uniscono per il gran finale.
La struttura è perfetta, e sicuramente di grande effetto, e segue senza intoppi lo svolgimento naturale della trama orizzontale. La scomparsa del piccolo Will fa partire una serie di reazioni su tutti i livelli: la madre che lo cerca attraverso le luci, i migliori amici che lo cercano all’esterno, avvalendosi del nuovo elemento Eleven, lo sceriffo che lo cerca attraverso indagini che lo condurranno ai villain.
Di contorno, una seconda scomparsa che coinvolge la generazione di mezzo, ovvero quella dei liceali che, come satellite a sè, si ricongiungerà presto al desiderio di rintracciare le persone scomparse.
Tra scienza e magia
Interessanti i riferimenti alla scienza di Stranger Things, con l’elemento professore che spiega le teorie delle dimensioni parallele e in questo modo riuscendo a non svincolarsi troppo dal tema.
Grazie al personaggio dell’insegnante, i tre ragazzini alla ricerca del giovane Will vogliono farsi spiegarsi nel dettaglio alcuni punti fondamentali delle teorie scientifiche dietro ai diversi mondi e a come raggiungere l’Upside Down.
Un elemento che calza perfettamente con le tridimensionalità date ai tre ragazzi, a cavallo tra entusiasmo per l’universo delle scienze ma capaci di abbandonarsi alla magia portata da Eleven, senza paura o particolare terrore, sottolineandone l’entusiasmo adolescenziale e la meraviglia di fronte ad una bambina che ricorda i loro supereroi più amati.
Riferimenti horror
Per gli amanti dei grandi pilastri di horror fantascientifico del passato Stranger Things risulta ancora una volta il prodotto perfetto. Come non ricordarsi delle atmosfere fuliginose di Silent Hill?
O vedere quell’uovo verde e aperto e non andare immediatamente col pensiero alla Regina Madre coi suoi facehugger in Aliens? Le modalità con le quali il mostro insemina il piccolo Will è praticamente la fotocopia delle modalità di rigenerazione degli stessi xenomorfi: un tubo in bocca per far nascere qualcosa all’interno dell’ospite.
Altri riferimenti sono decisamente palesi perché nominati o mostrati apertamente nella serie. Poltergeist in primis, che ricalca la serie in molte tematiche, non ultima quella dell’avvicinamento tra generazioni, per continuare con presenze demoniache in casa nonchè passaggi intra-dimensionali. E ancora La Cosa, il poster nel seminterrato di Mike ma anche la morfologia dello stesso mostro, per finire col professore intento a vedere proprio quel film assieme alla sua ragazza.
Lo stesso riferimento a IT è lampante e ingloba il significato dell’upside down, quel mondo parallelo oscuro e terrificante che dapprincipio vedono solo i bambini. Il mostro che entra nella nostra dimensione a catturare gli innocenti, a farne razzia, il mondo sottosopra che si può raggiungere attraverso un albero, o dentro un tombino.
La componente governativa ci ricorda subito X-Files e i misteri dietro le organizzazioni statali, che si muovono con furgoni e macchine nere, capeggiati da Matthew Modine, e che hanno laboratori segreti dove sperimentano sugli umani con capacità particolari. Alla lontana tornano in mente le atmosfere della mini-serie Taken, prodotta dallo stesso Spielberg.
Le scene oniriche di Eleven sono visivamente spettacolari: completamente nere, senza strutture, come fosse un quadro di Tanguy dove l’orizzonte non esiste, fanno nascere riflessi con un’acqua che copia specularmente i pochi elementi della scena, in un epico impatto visivo che suggerisce oppressione e allo stesso tempo perdizione.
Questo stratagemma era stato usato per il controverso film Under the skin con Scarlett Johansson, una pellicola che puoi amare oppure odiare, ma che, in quel preciso espediente, ritrova il suo scopo spettacolare.
Stranger Things riassume molti temi e ambientazioni a noi care, ma è anche in grado di fare un passo avanti, propendendosi verso una narrazione più contemporanea.
E assieme ai molti riferimenti della nostra infanzia, riesce a creare una formula vincente, offrendo un prodotto sia nostalgico che innovativo.
Un mistery dalla struttura impeccabile, anche all’interno degli stessi episodi, con mini colpi di scena finali e mai noioso. Succede sempre qualcosa, ma è tutto bilanciato e coordinato.
Una serie TV dotata di equilibrio e immaginazione, dove l’effetto nostalgico non copre mai gli altri elementi.