La Battaglia del Grande Fiordo

Il cielo bluastro era costellato da piccole nuvole viola che davano un tocco di gelo a quel pomeriggio primaverile. Il vento soffiava leggero e fresco, piegando i fili d’erba alta e accarezzando le rocce sulle cime della scogliera del fiordo; gli aliti portavano con se aromi di fiori, frutta secca e di terra umida, ancora bagnata dalla stagione delle piogge.

Gunnar se ne stava in ginocchio sul terreno rinfrescato, teneva gli occhi chiusi e cercava di inspirare gli odori della natura che lo circondavano; il vento gli muoveva i capelli lunghi e biondi, fino a farglieli ricadere sulle spalle; teneva le mani ben poggiate sulle ginocchia piegate, non curante della vita che scorreva intorno a lui. Cercava di concentrarsi solo sull’olfatto e sul rumore del mare che, accarezzato lievemente dal vento, si increspava impercettibilmente per poi far infrangere le sue piccole onde sugli scogli del fiordo.

Il giovane guerriero se ne stava da solo prima dello strapiombo della scogliera, davanti a se l’immenso Oceano del Nord ed intorno, solo la quiete della meditazione prima di una battaglia; teneva la sua ascia davanti alle ginocchia, usandola quasi come tramite per parlare agli dei

<<Tyr, dio della guerra, prestami orecchio, dammi il tuo coraggio, che mi spinga a non temere i miei nemici. Thor, principe degli dei, protettore di noi esseri umani, chiedo umilmente la tua forza per scacciare via gli invasori. E, infine, Odino, grande padre, questo tuo umile figlio di Midgard spera che tu lo assista nello scontro, portami al tuo cospetto se mi ritieni degno..>> Le parole e la voce del giovane si perdevano tra gli aliti di vento leggeri; dietro di lui, Klippa, capitale delle Isole del Vento; un arcipelago situato nel nord del mondo, era incredibilmente silenziosa e immobile, come una sentinella sulle mura.

La cittadina era un insieme di piccoli edifici in pietra e dai tetti di legno arroccate sulle pareti del Grande Fiordo, un braccio di mare lungo circa sessanta miglia che si insinuava fin quasi al cuore dell’isola più grande dell’arcipelago, dando sostenimento a gran parte della flora e della fauna della zona. Subito dopo l’imbocco dell’insenatura, sulle rive della spiaggia ciottolosa, trovavano spazio il mercato, il porto e il cantiere navale, ogni giorno affollati da navi lunghe e pescherecci che davano vita ad un caotico ma silente andirivieni che si mischiava con la natura circostante alla perfezione.

Nella parte est, dietro le abitazioni, si trovava Il Drago Sdentato, locanda secolare che dava ristoro ai guerrieri e ai viaggiatori di tutto il mondo, e dove i cittadini erano abituati a bere idromele e ascoltare le saghe degli anziani intorno al fuoco. Da quelle parti, il racconto preferito delle genti era quello della “flotta leggendaria”: si narrava di un gruppo di navi vichinghe inviate da Odino stesso, che vagavano senza meta intorno a tutto l’arcipelago per difenderne i confini; si diceva che arrivassero nei casi di estremo bisogno e che la bruma e il vento gli accompagnassero.

Dopo la locanda, la strada si faceva in salita costeggiando la parete del fiordo fino ad arrivare a Heiður, la sala dell’onore, dove trovavano posto lo Jarl Olaf e la sua famiglia, insieme ai membri del suo clan, i “Nati dalla Battaglia” sovrani di Klippa e, di conseguenza, anche di tutto l’arcipelago.

Dopo secoli di battaglie interne, e di clan che si susseguivano sul trono uno dopo l’altro, Jarl Olaf era riuscito a riunire tutte le famiglie delle isole; la sua magnanimità e la sua dote di spirito guida riuscirono a creare, dopo secoli, una nazione prospera ed unita, senza che nessuno dovesse rinunciare alle proprie origini e alle proprie bandiere.

Fu una mossa indispensabile poiché, a sud, dal continente, precisamente da Kessraich, l’impero più vasto della storia, arrivavano notizie di un’ armata venuta da lontano, forse dai confini meridionali, intenta a voler annettere Kessraich e le Isole del Vento nei propri domini.

“Arrivano i Cinabri” si sentiva dire, chiamati così per il colore rosso vermiglio delle proprie corazze, “I Cinabri hanno conquistato quella fortezza” “I Cinabri hanno raso al suolo quel villaggio”; e lentamente, l’aquila imperiale di Kessraich veniva sostituita, giorno dopo giorno, dallo stendardo della spada infuocata, simbolo di quell’armata che si scoprì provenire da est, dalla Terra delle Dune, spinta ad intraprendere quella campagna di conquista per un antico torto subito per mano di Robert II, imperatore di Kessraich che, in passato, cercò di conquistare la Terra delle Dune per i suoi giacimenti minerali e per le sue materie prime.

A Klippa erano giorni di caos, i clan di tutta la nazione, con i propri guerrieri, si erano riuniti in città per approntare le difese, poiché, come Jarl Olaf predisse, i Cinabri formarono una seconda armata pronta a salpare per le isole che sarebbe arrivata a Klippa dopo pochi giorni.

Gunnar era alla continua ricerca di luoghi appartati per meditare e prepararsi al meglio per la battaglia; nei suoi ventiquattro anni di vita aveva preso parte solo a razzie primaverili o a guerre tra clan, ma mai si era trovato davanti ad un’armata regolare e mastodontica come quella proveniente da est che, come dicevano le voci, voleva estirpare la religione nordica e instaurare la propria credenza verso il Dio del Fuoco.

La baita del fiordo era vuota e silenziosa quel giorno, perfino i pescherecci furono trainati a riva per agevolare meglio lo scontro. I banchi del mercato erano chiusi e non si sentiva il tintinnio del martello battere sull’incudine, Ivar, il fabbro, era sicuramente dietro la palizzata issata da lui stesso qualche giorno prima, insieme a tutti gli altri. Non si sentivano neanche i boccali sbattere sui tavoli del Drago Sdentato ne il vociferare delle donne che, una volta barricate le case, raggiunsero Heiður insieme ai propri figli, protette dalle mura della sala dell’onore.

<<Peccato non vedere la bella Ygritt in questo momento; a quest’ora sarebbe al mercato a scegliere la frutta e il pesce, con la sua veste verde e blu e coi seni in bella vista>> pensò Gunnar, ricordando le forme di quella donna bellissima dai capelli rossi che viveva vicino al molo. Cercò di calmarsi, pensando che fosse un giorno come un altro, ma quel silenzio surreale non lo aiutava; meditò ancora e ancora, fino a che le ginocchia non chiesero pietà e vollero sgranchirsi.

All’improvviso, tutta quella calma fu interrotta dal suono del corno di Heiður; l’esercito dei Cinabri era arrivato nelle Isole del Vento. Le imbarcazioni all’orizzonte erano molto differenti da quelle che si vedevano abitualmente al nord; non vi erano remi o polene a forma di drago, gli scafi erano larghi e alcuni avevano due, tre o addirittura quattro alberi maestri e solcavano il mare con facilità. Le vele erano rosse con una spada dorata circondata dalle fiamme dipinta al centro.

Gunnar restò in silenzio a guardare il nemico avanzare nella baia; nonostante la strettoia naturale, le imbarcazioni dei Cinabri avanzavano non curanti delle pareti rocciose ed occuparono ben presto tutto lo specchio d’acqua di fronte alla città. Jarl Olaf e i suoi guerrieri scelti erano in prima fila, affiancati dal clan dei “Mano Tempestosa” e dei “Cuori di Ferro”, impavidi come fari in mezzo al mare, stavano in piedi davanti a quelle navi ormai vicine all’attracco, impugnando le asce e tenendo gli scudi uno vicino all’altro.

Sulla prua di una delle imbarcazioni, si palesò un uomo dalla pelle scura; indossava lunghe vesti rosse e arancio, e un turbante giallo, gli circondava la fronte. Schiarì la voce, stringendosi nei suoi tessuti, palesemente disturbato dal vento fresco delle isole, e con una una lingua nordica imperfetta gridò agli uomini sulla spiaggia

<<Indomiti guerrieri del nord! La vostra fama vi precede e siamo lieti di fare la vostra conoscenza. Famosa è anche la vostra accoglienza, ma quest’oggi non vediamo banchetti o botti del vostro famoso idromele..>>

<<..E io non vedo nessuna buona intenzione da parte vostra, scendete dalle navi disarmati e palesatevi!>> gridò in risposta Jarl Olaf

<<..E’ necessario che il credo pagano ceda di fronte alla Fede del Fuoco, poiché c’è spazio per un solo Dio nei cieli e il fuoco risana tutto, anche il peccato più ignobile. Non vogliamo spargere sangue inutilmente; il mio padrone Pasir primo del suo nome, vi dona una possibilità di resa se ci accetterete come vostri signori e..>> nel mentre l’uomo parlava, una piccola ascia sibilò in aria fino a conficcarsi nel suo petto e facendolo cadere in acqua. Un guerriero dei Cuori di Ferro, vistosamente alticcio, cominciò a ridere a crepapelle borbottando

<<Chissà cosa posso farvi da sobrio!>> facendo esplodere tutti i presenti in una risata che riecheggiò sulle pareti del fiordo.

Un corno risuonò nel mare e dalle stive uscirono fuori guerrieri dal volto coperto dai turbanti; le loro spade erano stranamente curve e leggere e le roteavano con semplicità e destrezza. Altri invece indossavano elmi sfarzosi con fantasie dorate e impugnavano lance lunghe dall’asta nera e legnosa. Rimasero però a debita distanza e, d’improvviso, si fecero avanti gli arcieri, incappucciati e con i loro archi neri.

<<Muro di scudi!>> Ordinò Olaf che subito venne circondato da una ressa di scudi dai colori vivaci e dalle fantasie più articolate.

Il muro cominciò ad avanzare nella spiaggia per poi arrestarsi, parare i dardi nemici, e subito dopo aprirsi e fare spazio ai propri arcieri. I primi uomini caddero, qualche Cinabro era agonizzante, colpito da una freccia sul collo, altri invece, un attimo prima sicuri di se, d’un tratto vennero intimiditi dalla forza indomita degli abitanti del fiordo che, anche con una freccia conficcata in una gamba o in un braccio, cercavano di mantenere la posizione.

Il sangue cominciò ad impregnare la battigia, l’acqua salina sciabordava la spiaggia ciottolosa creando schiuma rossastra e scie di rosso rubino; i primi invasori si schiantarono contro il muro di scudi, ossa e denti si spezzarono; tutt’intorno risuonavano tonfi sordi e clangori di ferro; Olaf spingeva insieme alla sua guardia e mulinava l’ascia ferendo nemici tutt’intorno mentre, dall’altra parte del campo, un Cinabro, suonò la carica ordinando ad altri guerrieri di riversarsi sulla spiaggia.

Le navi nemiche vomitarono guerrieri da ogni stiva: presto la spiaggia fu colma di invasori che riuscirono a compattarsi ed avanzare contro Olaf e la prima linea. Gunnar, che era sceso dalla scogliera, guidò una sortita per colpire il fianco sinistro nemico; si schiantò senza ripensamenti sul primo uomo che gli capitò spaccandogli il cranio con la sua ascia; i suoi seguaci fecero altrettanto, cercando di stroncare la guardia avversaria con un colpo di scudo o di lancia. Lo scontro feroce e senza pietà diede vita ad uno spettacolo raccapricciante: braccia mozzate, teste rotolanti, arti sparsi qua e là tra i sassi, mentre la giornata si oscurava e il vento continuava ad ululare con aggressività.

Dalle navi, fitti nugoli di frecce piombarono dall’alto facendo stramazzare al suolo quasi tutti gli uomini di Gunnar, che, preso dalla ferocia della battaglia, fu trascinato via di peso da due uomini, prima che si facesse uccidere. Olaf, esausto, cercò di far arretrare la linea per far riposare i guerrieri che avevano ingaggiato lo scontro per primi, ma i Cinabri continuarono a scendere dalle navi ed avanzare fino a superare la spiaggia e calpestare le prime pietre della città.

Gli indomiti guerrieri del nord erano scossi, alcuni cercarono di scappare ma vennero uccisi dai propri simili; in quelle terre non c’era spazio per la debolezza, scappare durante una battaglia era un gesto disonorevole che avrebbe fatto infuriare gli dei. Gunnar sembrava in preda alla pazzia; rideva e gridava, dimenandosi dalle prese dei suoi compagni; Olaf indietreggiò per rifocillarsi, vedendo che, nonostante la brutta parata, i Cinabri avevano rallentato l’avanzata non avendo troppo spazio tra le case e i sentieri tortuosi di Klippa

<<Mi dite cos’ha da ridere quel figlio di una cagna?>> ringhiò Olaf asciugandosi la bocca con la mano dopo aver bevuto

<<Il cielo si sta oscurando..>> bisbigliò Gunnar guardando in aria, mentre il suo Jarl e gli altri guardarono verso l’alto

<<..Il vento ulula come un lupo nella foresta..>> continuò a borbottare mentre alcuni, tra i più anziani, cominciarono a sogghignare ed a ridere in faccia al nemico

<<..ed esso porterà pioggia da nord e la leggendaria flotta!>> gridò il giovane nordico che sembrava ormai risvegliato dalla sua trance

D’un tratto, una folata di vento improvvisa, quasi strappò le tuniche e le armature leggere dei Cinabri che, disorientati, non capirono cosa stesse succedendo; anche i nordici più giovani furono colpiti da quell’improvviso cambio climatico. La marea si alzò e dei leggeri banchi di nebbia fluttuarono in lontananza, offuscando l’orizzonte

<<Le leggende sono vere!>> gridò qualche giovane nordico

<<Siamo salvi!>> gridò qualcun altro

D’un tratto, il corno di Heiður suonò di nuovo mentre i banchi di nebbia si diramarono lentamente, evaporati da una fiaccola fluttuante, subito seguita da un’altra e un’altra ancora fino a riempire l’orizzonte. Il silenzio era surreale e nessuno combatteva più; i Cinabri furono pervasi da brividi di freddo mentre cercavano di avvinghiarsi alle staccionate o alle porte delle case per non essere spinti a terra dai colpi del vento; si guardarono intorno dubbiosi, buttando un occhio sull’avversario e anche dietro di se, temendo qualcosa alle loro spalle. Uno dei Cinabri armati di corno venne improvvisamente trafitto da una freccia e stramazzò al suolo facendo riecheggiare il suo grido di dolore in tutto il fiordo, mentre i nordici, ancora increduli, non riuscirono a cogliere il momento per colpire il nemico visibilmente indifeso

Il silenzio fu interrotto da una canzone che non fece altro che creare ancora più disorientamento tra i combattenti

“Un giorno mia madre disse

vorrei comprare una nave dalle vele possenti

per raggiungere luoghi lontani,

stare in piedi sulla prua con orgoglio

e vivere alla giornata

che la vita è dura e piena di stenti

..è dura e piena di stenti”

Dalle banchine di bruma, apparì una flotta di navi lunghe dalle carene marce; le polene riportavano teschi umani o di animali dalle lunghe corna diramate, e gli scudi ai lati degli scafi erano gialli, con fantasie nordiche in nero, mentre le vele erano ricoperte di muschio ed alghe. Gli uomini a bordo sembravano guerrieri provenienti dall’aldilà, le loro corazze erano scucite, segnate dal tempo e dalle migliaia di battaglie

<<Remate flotta millenaria! Remate!>> Incitò uno di loro in bilico sulla prua con la spada in pugno e uno scudo giallo legato all’altro braccio

Le navi avanzarono con velocità senza rallentare; si schiantarono sugli scafi dei Cinabri facendo rovinare alcuni di loro in mare. Alcune delle ciurme abbordarono i velieri invasori dandogli fuoco e uccidendo tutti gli occupanti. L’uomo che fino a qualche istante prima danzava sulla polena, avanzava di veliero in veliero mietendo vittime insieme alla sua scorta personale

<<Harald e la sua flotta! Allora esistono!>> gridò sbigottito un giovane guerriero

<<Coraggio uomini del Nord! Aegir reclama dei sacrifici nel profondo degli abissi!>> Gridò Gunnar che, insieme agli altri, spinti da nuova forza, avanzarono verso il nemico che si ritrovò attaccato su due fronti.

Olaf riprese il suo posto in prima fila senza rendersi conto di essere stato ferito alla spalla, una lancia lo trafisse quando meno se lo aspettava, ma continuò ad avanzare e mollare fendenti con la sua ascia dal manico lungo. Dopo qualche metro però, la vista gli si annebbiò e lo scudo gli cadde dal braccio. Nonostante l’arrivo della flotta, la battaglia era ancora viva e assestata di sangue e i Cinabri non erano ancora stati domati; lo Jarl cadde in ginocchio quasi privo di sensi e un guerriero delle dune gli si palesò davanti

<<Arrivo grande padre>> riuscì a sussurrare prima di essere trafitto a morte da quel guerriero che, a sua volta, fu colpito all’altezza del collo dalla spada di un guerriero di uno dei tanti clan presenti.

Harald e la sua ciurma intanto, scesero dalle navi sterminando l’ormai ultima resistenza nemica; i giovani guerrieri che si trovavano quel guerriero leggendario davanti, venivano come risollevati dalla fatica e riempiti di nuovo coraggio; le navi dei Cinabri vennero incendiate e rispedite a largo della costa di Klippa e  chi si arrese fu giustiziato sul posto, non c’era pietà nel Nord.

Gunnar, ormai diventato un punto di riferimento per tutti gli altri, cercò di avvicinarsi ad Harald, colui che narravano fosse figlio di Odino e comandante della flotta leggendaria. Era buona norma che un guerriero dovesse ringraziare colui che era corso in suo aiuto; il giovane si avvicinò a quella figura marziale alta quasi due metri, fece per inginocchiarsi gettando l’ascia ai piedi del guerriero leggendario

<<Potente Harald, ti saremo per sempre debitori..>>

<<Non ringraziarmi, la battaglia è vinta, la morte scacciata, ma adesso arriverà per te la grande sfida>> e senza dire altro, fece voltare il giovane per poi svanire tra la nebbia insieme ai suoi uomini e alle navi in un silenzio surreale

Gli ultimi rimasti dei “Nati dalla Battaglia” portarono la salma del loro defunto fratello, ai piedi del giovane guerriero e gridarono all’unisono

<<Jarl Olaf è morto, lunga vita a Jarl Gunnar>> e così fecero tutti i guerrieri presenti, i feriti e le donne che, nel frattempo erano scese dal palazzo per cercare i propri cari

Gunnar sollevò la spada in segno di saluto e rispetto; si voltò, in cerca di Harald; in cuor suo sapeva che egli era veramente un voluto dagli dei, voleva ringraziarlo di nuovo, ringraziare gli onnipotenti, ma una volta voltato lo sguardo verso il fiordo, non vide altro che la flotta dei Cinabri in fiamme e i cadaveri su tutta la spiaggia ormai completamente tinta di rosso.

Alcuni uomini gli posero sulle spalle la pelliccia del comando, congratulandosi con lui e ringraziandolo, altri bevvero in suo onore e dopo il rito funebre ai caduti delle isole, suonarono cornamuse e si accesero braci in tutta la città.

Nessuno seppe mai a quale clan appartenesse il giovane Gunnar; egli si limitò a comandare cercando di rispettare il buon operato del suo predecessore ed a far prosperare le isole; continuò ad essere silenzioso e riservato e fece costruire un piccolo altare vicino al crepaccio del fiordo dove era solito meditare da solo.

Li Jarl degli altri clan si chiedevano spesso chi fosse la sua guardia personale, o con chi convivesse a Heiður, e se magari era un figlio segreto di Olaf; ma la gente comune, che da quelle parti amava tanto i miti e le leggende, credeva nel racconto che alla fine della battaglia del grande fiordo, i guerrieri che posarono la pelliccia sulle spalle di Gunnar, lo sentirono sussurrare: “Arrivederci fratello”