Nove anni fa, bastava credere che Nulla fosse reale per potersi perdere nell’universo dell’Animus. Nove anni fa la situazione geopolitica era tale che il gioco aveva bisogno di una captatio benevolentiae in cui si spiegava che un team multi etnico e multi religioso aveva realizzato il prodotto in sé e quindi vi erano confluiti le idee di tutti, per lo sviluppo di un prodotto che, all’epoca era davvero innovativo.
Un assassino che si muove all’epoca delle crociate alla ricerca delle vestigia di un’antica civilità. Un uomo del ventunesimo secolo prigioniero dei templari collegato ad una macchina che gli fa rivivere le vite dei suoi antenati.
Non c’è dubbio, che nove anni fa, con la precedente generazione di console prossime al climax, il primo Assassin’s Creed, seppure acerbo in certi elementi, rappresentava qualcosa di diverso in un mercato strapopolato di sparatutto in prima persona e cloni poveri di Grand Theft Auto.
Personalmente sono sempre stato convinto che dietro un buon videogioco debba prevalere la dimensione narrativa. Certo, la grafica è importante ma, di questi tempi specialmente, come non si fa a produrre un gioco con una grafica che sia almeno strabiliante? (abbiate pietà di me, la mia prima console era l’Intellivision degli anni ’80, e dopo esserti sorbito pixel grossi come monete da cento lire non è difficile subire la sindrome di Stendhal in un open world ambientato in Medio Oriente).
Ma la grafica non è tutto. Altrimenti il nuovo Battlefront sarebbe il Sacro Graal degli sparatutto di Guerre Stellari.
Insomma ci deve essere una storia. La storia deve avere trama ed intreccio che siano all’altezza, deve farmi appassionare. Deve farmi venire voglia, la sera quando penso alle cose che ho fatto durante la giornata, di dedicare anche domani del tempo alla stessa cosa.
Il primo Assassin aveva ampi spazi di ottimizzazione. Ma vantava anche una ambientazione che, praticamente nessun gioco prima, aveva avuto. Altair, il primo assassino non era al massimo di empatia, e di sicuro era dotato di sufficiente impersonalità da fare immedesimare chiunque. I presupposti c’erano già tutti perché le iterazioni successive ci fossero, e fossero eccezionalmente sviluppate.
L’avvento di Ezio l’Auditore (ben tre i capitoli a lui dedicati sulle allora ammiraglie dell’intrattenimento domestico) fece il botto. Intanto Una storia ambientata in Italia, e poi il periodo storico mai visto in un prodotto del genere.
Non storcano il naso i puristi del punta e clicca e dello strategico in tempo reale. Certo che là il Rinascimento era stato sviluppato e ben menzionato. Ma questo era il primo action in terza persona contenente tutti gli elementi di una saga che non poteva non esplodere.
Come in ogni trilogia che si rispetti, è il capitolo centrale ad essere il più profondo, intenso e sviluppato. Così nella trilogia Italiana conosciamo un assassino con un fascino mai più tornato nella saga, un setting impressionante ed una storia, quella di Desmond Miles che finalmente non è più una semplice cornice.
Se nel primo capitolo non avevamo fatto che una mera conoscenza con l’uomo collegato alla macchina in grado di vedere il passato adesso sappiamo tutta una serie di informazioni in più. Assassino figlio di assassini, Desmond lotta ed infine accetta la propria natura.
Con un colpo narrativo un po’ ruffiano, Ubisoft riesce a creare una storia collegata alla fine del mondo prevista nel 2012 che ha persino senso.
Intanto che Ezio cresce, ed il gameplay migliora (che fine hanno fatto gli assassini da addestrare e chiamare in aiuto), la saga intraprende un percorso che soltanto un treno in corsa folle può deviare dall’immortalità.
E purtroppo la saga di Connor, l’assassino indiano d’America del terzo capito ufficiale della saga rompe un po’ le uova nel paniere. Quello che ha fatto la Ubisoft, suppongo, è stata rendere il prodotto più appetibile al pubblico americano, che, dubito, amasse la storia europea. Desmond Miles assume un ruolo sempre più defilato. E così la fine delle prima trilogia (che rappresenta anche l’inizio della seconda, composta poi da Black Flag e Rogue) lascia l’amaro in bocca.
Ci sono ancora spunti di Gameplay interessanti in questi tre giochi a cavallo tra due generazioni di console.
Tanto per cominciare la navigazione in mare e le battaglie navali sono spettacolari. Mi piacciono al punto d volerne ancora di più. Coinvolgono, danno l’impressione del legno che scricchiola e del sartame che si logora.
Ma per il resto? Temo che la Storia della Guerra di Indipendenza americana non sia così affascinante come ambientazione, e di sicuro si ha la percezione che, facendo immergere ed interagire il personaggio così tanto con la natura si voglia scimmiottare qualcosa che non c’è (qualcuno ha detto Red Dead Redemption, per caso?). E poi, con l’avvicinarsi del periodo storico all’età moderna, con i fucili, ed il XVIII secolo si finisce per perdere un po’ lo spirito della storia. Parere mio.
Quello che succede poi è anche peggio. Desmond Miles scompare del tutto e la storia ambientata nell’epoca contemporanea diventa solo una perdita di tempo, facendo perdere del tutto l’immedesimazione originaria.
Se ne perde lo scopo, diventa solo una scusa per visitare ambientazioni, impeccabili dal punto di vista grafico, ma dotate di una storia meno importante e, allo stesso tempo contorta e prescindibile. Succede che oramai ogni anno si aspetta il nuovo capitolo senza avere seriamente grosse aspettative, convinti che si, sarà un gran bel titolo, ma, alla fine COD non lo è alla stessa maniera ?
Gli ultimi due anni mi hanno lasciato di più perplesso. Unity, ambientato durante la rivoluzione francese presenta un personaggio Arno, monodimensionale, di cui non si capisce veramente nulla. Certo la grafica del primo Assassin’s Creed per nuova generazione è da urlo. Ma non basta.
L’ultimo Arrivato Syndacate, ambientato nella Londra della rivoluzione industriale ha, da questo punto la fama peggiore. Intanto si ha la percezione che questo sia stato il setting giusto perchè sei mesi prima è uscito the Order ambientato in un passato distopico molto molto simile. E per di più nella stessa città. Il peggio è il Gameplay.
Tutto sembra studiato per farti perdere tempo senza andare da nessuna parte. Le missioni di investigazione ricordano L.A. Noire. La conquista dei territori il primissimo Saint Row (che clonava già GTA San Andreas). La guida delle carrozze non fa che rafforzare l’idea ricevuta giocando per ore a Watchdogs e the Crew. Ossia, fintanto che alla Ubisoft non approfondiscono un po’ la fisica degli oggetti in movimento, tutto assume un delizioso effetto arcade vintage. Che neanche Crazi Taxy. I due gemelli Assassini che popolano il gioco ancora una volta suonano molto stereotipati ma, forse, e dico forse, ormai tutto deriva dall’assuefazione di sapere che ogni Natale assieme al panettone e la speranza di un po’ di neve, ci sarà un nuovo capitolo della saga a tenerci compagnia.
Quest’anno pare che le vendite siano andate un po’ peggio. Considerato che il capitolo 2016 è in lavorazione dallo scorso anno, quello che mi aspetterei, è nessun Assassin’s Creed nel 2017. Magari fino a marzo 2018. Un po’ di aria fresca insomma, nuove storia, una nuova Storia. E badate, sto scrivendo dopo aver passato il pomeriggio immerso nella perfetta Londra Vittoriana.
Amo questa saga, e proprio per questa ragione, mi urta vederla banalizzarsi. Poi, da buon appassionato, non sono capace di giudicare in modo completamente obiettivo il nuovo capitolo, e già so che tanto poi lo comprerò.
Ma proprio perché mi conosco, e conosco quelli come me, che sono convinto che un po’ di attesa in più per il prossimo capitolo, farebbe soltanto aumentare la fame… null’altro è permesso.