Il mito di Moby Dick è qualcosa che ci accompagna fin da quando siamo bambini. La mostruosa balena bianca e la sete di vendetta di Achab hanno da sempre affascinato l’immaginario collettivo. Herman Melville traccia nel 1851 un racconto, divenuto in seguito un vero classico della letteratura, alla base del quale c’è il male, la natura e la follia umana. Ma cosa c’è davvero dietro a questo racconto di fantasia?

Il Premio Oscar Ron Howard ce lo dice con il suo ultimo film, Heart of the Sea – Le Origini di Moby Dick, scritto da Charles Leavitt (Blood Diamond) e basato sul libro Nel Cuore dell’Oceano – Il Naufragio della Baleniera Essex di Nathaniel Philbrick, vincitore del National Book Award per la Saggistica nel 2000.

Heart of the Sea – Le Origini di Moby Dick è tutto ciò che si nasconde dietro la grande balena bianca e l’equipaggio della famosa baleniera Essex, salpata in cerca del prezioso olio di balena, e mai più ritornata interna.

Melville (interpretato da Ben Whishaw) è ossessionato, proprio come il suo protagonista Achab, dal mito della mostruosa balena bianca e delle sorti dell’Essex, a tal punto da riuscire a mettersi in contatto, trent’anni dopo, con uno dei pochi superstiti. Inizia così, in una locanda a lume di candela, tra modellini in bottiglia di navi e whisky,  la tetra e lunga confessione alla base di Moby Dick.

 

 

 

1820

La baleniera Essex salpa con a bordo il giovane e inesperto capitano George Pollard (Benjamin Walker), il veterano primo ufficiale della nave, Owen Chase (Chris Hemsworth) e il secondo ufficiale, Matthew Joy (l’irlandese Cillian Murphy).

 

Heart of the sea

 

Tra Owen Chase e George Pollard è subito incomprensione.

Tra Owen Chase e George Pollard è subito incomprensione. Chase è un esperto uomo di mare che aspetta solo di diventare capitano, ma il suo nome non discende da una famiglia di navigatori, a differenza di Pollard. La presunzione di uno sarà l’inevitabile rovina dell’altro, e il film si gioca per buona parte sul conflitto tra questi due personaggi. Inevitabilmente, però, questo appoggiarsi continuamente sulle tensioni dei due, lascia intravedere le crepe e falle dello script in questione.

Prima di tutto, la presunzione e arroganza del personaggio di Chase, sebbene giustificati dall’esperienza del background del personaggio stesso e dal suo venir continuamente illuso su un titolo che, molto probabilmente, non potrà mai ottenere a causa della sua discendenza, risultano essere una tutina che risente troppo del dio celtico della Marvel, Thor.

Sembra proprio che Chris Hemsworth non riesca a liberarsi del suo fantasma da supereroe che si manifesta in qualsiasi sua altra interpretazione, compreso il penultimo film di Ron Howard che lo vedeva protagonista assieme a Daniel Brühl, Rush.

 

Heart of the sea

 

La tensione tra i due personaggi, la quale si riversa su tutto l’equipaggio, non è altro che un modo per macinare tempo, prima di arrivare a quello che dovrebbe essere il vero conflitto centrale del film, la balena.

In realtà, si fa un po’ fatica ad entrare immediatamente in empatia con qualsiasi di questi personaggi. Siamo sempre in bilico, in attesa che avvenga qualcosa. Il contentino viene anche dato allo spettatore, però non si va al di fuori di questo.

Molto chiara è l’intenzione di Ron Howard stesso nel riprendere le tematiche principali del classico di Melville, ovvero la “malvagità” umana e la sua sfrenata sete di potere e cupidigia che offusca a tal punto il buon senso da convincere di poter sfidare la natura e uscirne vincitori. Owen Chase e George Pollard si spingono ai confini del mondo, pur di arrivare a dimostrare il loro valore e non tornare indietro a mani vuote. L’arroganza che entrambi i personaggi mostrano andrà, inevitabilmente, a discapito di tutti.

Anche se il film è ambientato in un’epoca passata, va a toccare temi come le relazioni interpersonali, la sopravvivenza, l’umanità e la natura che sono attuali e stimolanti, e che si connettono alla nostra sensibilità facendoci riflettere su chi siamo veramente come persone.

Le conseguenze delle scelte di chi ha il potere, spese sulla pelle di chi non ce l’ha. La chiave di riflessione di Howard, in questo senso, è molto efficace. Questo non si riflette solo nel racconto principale, ma anche in quello di contorno tra Melville e quello che un tempo fu il “passeggero” più giovane dell’Essex, Thomas Nickerson (Tom Holland/Brendan Glesson), costretto a un’avventura che lo avrebbe segnato per tutto il resto della sua esistenza.

Sebbene il film si presti a una forte drammatizzazione, non solo nelle relazioni tra i personaggi ma soprattutto nella caccia alle/a balene/a, risulta piuttosto deboluccio. Tende, infatti, a perdere spesso il ritmo e il fuoco delle varie situazioni, disorientando lo spettatore. Inoltre, ci sono pochissimi colpi di reni.

Uno solo è il vero e proprio momento in cui si può sentire l’ansia e l’angoscia salire per il nefasto destino dei protagonisti, restando meravigliati di fronte alla prima manifestazione della famosa balena bianca. Le restanti parti sono sempre un po’ in singhiozzo. Non trovano mai un loro indipendente respiro.

 

Heart of the Sea

 

La sfida tra Chase e Pollard non va a discapito degli altri personaggi all’interno della storia stessa, ma anche al di fuori, mettendo in secondo piano, per esempio, un personaggio come quello di Cillian Murphy che ben si presenta e che sicuramente, con un minimo di approfondimento maggiore e respiro, sarebbe potuto essere ancora più accattivante e molto più funzionale alla storia.

Lo stesso George Pollard, sebbene sul finale mostri una maturazione compiuta, paradossalmente sulla base di quella di Owen Chase, è un personaggio piuttosto debole e, per certi versi, anche insignificante. Per questo ruolo erano stati considerati anche Benedict Cumberbatch e Tom Hiddleston. Malizia mi suggerisce che, forse, il primo avrebbe dato molto più spessore al personaggio, a differenza di Benjamin Walker che lo appiattisce troppo.

Molto belle e particolarmente dettagliate, sebbene tristemente ridotte all’osso, le scene d’azione.

La prima cattura di una balena, fa rivivere, sebbene in minima parte, le pagine di caccia descritte da Melville. L’adrenalina e la foga dell’essere umano contro la forza distruttiva di madre natura, prima della resa finale. Il desiderio di vincita, che si arresta per un infinito silenzio di riflessione e vergogna al momento del soffio di sangue che segna la resa della vittima. Owen Chase, nel fissare la sua preda, sembra quasi rivedere in questa il suo destino.

Nella sua ingordigia sa di aver sfidato una forza più grande di lui, e il vero terrore arriverà proprio quando si troverà di fronte all’immenso mostro bianco. Un “mostro” che altro non è che la metafora della vita stessa, quella fatta di vittime e carnefici; l’equipaggiamento dell’Essex imparerà duramente, con sofferenza, dolore e morte, la dura legge della natura, costretto dalla stanchezza, dalla fame  e dall’istinto di sopravvivenza a comportarsi molto peggio degli animali.

 

bg

 

Ron Howard spinge i suoi personaggi fino al limite, ponendoli in una condizione di totale degrado e follia. Nel racconto che viene fatto a Melville traspare potente quel senso di umiliazione e vergogna nel rivivere quei giorni da naufraghi, dove la morte di un compagno poteva solo significare una triste speranza in più di sopravvivenza, in uno scenario di desolazione privo di cibo e con l’acqua ridotta a poche gocce al giorno.

Perché sprecare dell’acqua per uno già morto?

Dal naufragio in poi, Howard si muove in perfetto stile da manuale. Ripercorriamo le tappe fondamentali de Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler, spingendo i personaggi sempre più in fondo “alla caverna”. Peccato per la massiccia dilatazione di queste scene che porta lo spettatore ad un’esasperazione non a favore della narrazione. Inutile sacrificio dell’azione nei confronti della riflessione che, in parte, è efficace e riesce a far comprendere allo spettatore la sofferenza del personaggio con un solo sguardo, ma dall’altro sminuisce moltissimo l’attesa e l’ansia.

Un buon film che avrebbe potuto dare molto di più.

Tirando le somme, Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick è un buon film, ma che avrebbe potuto dare molto di più, soprattutto con uno come Ron Howard alla regia, riuscito con Rush a far appassionare alla Formula 1 perfino i profani, o che ha emozionato il mondo intero con un film come A Beautiful Mind, aggiudicandosi l’Oscar nel 2002 come miglior film e miglior regista.

Sicuramente non bisogna commettere un grosso errore: entrare al cinema con la convinzione di vedere un film su Moby Dick.

No, è il film sulla nascita, e ispirazione, della trama cardine di Moby Dick. Un film ben costruito, indubbiamente, ma non volto ai fini di un’azione adrenalinica ed esaltante. Molte sono le cose che Ron Howard avrebbe voluto dire, e forse proprio questa quantità ha fatto si che il regista restasse un po’ incagliato nella sceneggiatura con tutti i suoi personaggi, senza colpire davvero lo spettatore.

 

 

Heart of the Sea – Le Origini di Moby Dick vale assolutamente una serata al cinema.

Un film di intrattenimento, che per certi versi potrebbe anche appassionare un minimo, senza però coinvolgere a tal punto da suscitare una seconda visione. La “magia” dura quei centoventi minuti, per poi sparire – troppo veloce – subito dopo l’essere usciti dal cinema, senza lasciare ricordi del film.

Nelle sale italiane da oggi, 3 dicembre.