E si conclude oggi, 19 novembre 2015, la saga di fantascienza Hunger Games, trasposizione dell’omonima saga di Suzanne Collins diretta da Francis Lawrence, con il suo quarto e ultimo capitolo, Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II.
Iniziato tre anni fa, gli Hunger Games con il loro scenario dispotico post apocalittico, si sono immediatamente dimostrati un fenomeno mondiale a tutti gli effetti che ha da sempre vantato un cast d’eccezione, da Woody Harrelson a Elizabeth Banks, da Philip Seymour Hoffman a Stanley Tucci, e la partecipazione straordinaria di Lenny Kravits, passando per star aggiunte nel tempo come Julianne Moore, Natalie Dormer, Gwendoline Christie. Inutile dire che l’enorme successo della saga è stato riscosso soprattutto dai suoi protagonisti, il giovanissimo premio Oscar Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson e l’ormai conosciuto da tutti come il fratello di “Thor”, Liam Hemsworth.
Gli Hunger Games non sono altro che la faccia contorta di una società a noi non troppo lontana, profondamente divisa tra classi ricchissime e classi poverissime, il quale divertimento principale risiede nell’annuale torneo di giochi che vede protagonisti due tributi, uno maschile e uno femminile, per ogni distretto. Lo scopo dei famigerati Hunger Games non è altro che testare la forza dei giovani candidati, fino al limite massimo della loro sopportazione che sopraggiunge con la morte. I tributi vengono gettati in un’arena e sanno che l’unico modo per sopravvivere è massacrare il prossimo.
Un vero e proprio reality survival dove la psiche umana viene dilaniata al limite, mentre dall’altra parte dello schermo ci sono spettatori impassibili e divertiti di fronte a tanto orrore e spettatori rassegnati alla realtà dei fatti. Vi ricorda qualcosa? Sotto questo punto di vista, la saga degli Hunger Games è quanto di più attuale ci sia in questo momento.
Uno solo può essere il vincitore degli Hunger Games, ma con l’arrivo di Katniss (Jennifer Lawrence) tutto ha iniziato a prendere una piega diversa, e dopo tre film, siamo finalmente giunti alla resa dei conti tra i dodici, distretti e Capitol City, fulcro di tutto l’orrore generato nei lunghi settantasei anni.
Signori e signore, vi diamo il benvenuto ai 76esimi Hunger Games.
Il distretto uno, Capitol City, diventa l’arena di questo capitolo conclusivo. L’unico obiettivo di Katniss è quello di arrivare finalmente al Presidente Snow (Donald Sutherland) e porre fine a questa follia una volta per tutte. Ovviamente il percorso non sarà facile e come ogni Hunger Games che si rispetti, il sacrificio richiesto non è piccolo. Del resto, cosa siamo disposti a sacrificare pur di vincere una guerra? Quanti sacrifici siamo disposti a fare?
Partiamo immediatamente dal presupposto che stiamo parlando di un film di puro intrattenimento, frutto di quel nuovo filone fantascientifico e fantasy che, riconosciamolo, ha avuto origine con Harry Potter. Sicuramente gli Hunger Games non sono i peggiori film del genere che abbiamo visto, ma neanche i migliori.
Hunger Games: Il canto della rivolta – parte II è sicuramente il film più maturo su tutti e quattro che riesce, quasi, a far dimenticare il pessimo lavoro svolto con la prima parte de Il canto della rivolta; eppure presenta delle pecche abbastanza consistenti nella struttura stessa dei suoi personaggi, che non riesce ancora una volta ad arrivare all’hype e suggestione del primissimo Hunger Games.
Partiamo dal principio, o meglio dal primissimo problema già sentito nel terzo film: il troppo parlato e la poca azione. Forza motrice della storia è una rivoluzione che un ragazzina riesce a far scoppiare, senza neanche rendersene conto, contro un sistema corrotto e imbrigliato su se stesso. Un sistema al quale nessuno è più riuscito, dopo la prima e grande marcia contro Capitol, a ribellarsi perché incapace di trovare la volontà e la forza di farlo, e Katniss rappresenta proprio quella forza. La Ghiandaia Imitatrice è un simbolo, simbolo che possiamo rivedere nella nostra stessa storia e in quella di tutti gli uomini e le donne che nel loro piccolo sono riusciti a fare grandi rivoluzioni cambiando il mondo. Però, per cambiare il mondo, ci vuole azione, e in questo film l’azione si fa desiderare parecchio; precisamente per quasi sessanta minuti dall’inizio della pellicola, durando a malapena una mezz’oretta. Diciamo che su un film di 137 minuti, una mezz’ora scarsa di vera azione non basta per un film di questo tipo.
La pellicola si perde troppo spesso su scene che potrebbero risolversi in pochi minuti, dilatando i tempi a discapito di una narrazione che potrebbe essere molto più ritmata e reattiva. Ci si concentra su fuochi inesistenti, come le cene o le notti di veglia. Scene che rigirano troppo su se stesse, facendo perdere troppo tempo che viene sottratto, invece, a quelle scene bisognose di un respiro molto più ampio.
Le sequenze di preparazione all’arrivo a Capitol City sono estremamente dilatate e costituite da piccoli eventi quasi insignificanti per lo sviluppo della storia. Un totale mancanza di beat, sia emotivi che narrativi, lasciando non poco perplesso lo spettatore. La vera svolta la si ha solo all’arrivo nel Distretto 1 con la conseguente consapevolezza che i personaggi si trovano su un campo minuto, dalla superficie alle fognature.
Le scene migliori sono costruite proprio qui, quando i personaggi sono sempre a limite tra la vita e la morte, quando un solo passo falso può costare troppo caro.
Peccato che tutta questa suggestione, adrenalina e sofferenza, sparisca poco tempo dopo, riportando la storia a brancolare nel nulla, fino ad arrivare al tanto agognato obiettivo, ovvero il palazzo del Presidente Coriolanus Snow, risolvendosi, però, con una scena molto veloce e sbrigativa.
Altrettanto veloce e poco approfondito è lo sviluppo delle relazioni/rapporti tra i personaggi.
Finalmente, in questa quarta pellicola, si ha un cambiamento, una crescita nel personaggio di Katniss, peccato solo che questa maturazione venga innescata troppo tardi e soprattutto da un incipit che nel terzo film si manifesta solo negli ultimi cinque minuti, ovvero dopo il ritrovamento di Peeta (Josh Hutcherson) e l’aver constatato che le tecniche di tortura mentale di Snow l’hanno reso totalmente instabile e pericoloso, soprattutto per Katniss.
La faccia da martire della Lawrence, sempre molto brava, non gliela toglie neanche la presa di coscienza e la maturazione, ma ciò che più grava è questo cambiamento così veloce che forse può essere realmente colto solo da chi ha letto i romanzi. E questo non è un problema legato al solo personaggio di Katniss, ma anche a quello di Peeta così come quello di Gale (Liam Hemsworth) che è sicuramente quello meno sviluppato e approfondito di tutti.
Il trauma psicologico di Peeta ha dei cambiamenti in questa pellicola che si potrebbero definire al limite del bipolare. Si passa da uno stato all’altro del personaggio, dalla follia più totale fino ad una miracolosa guarigione senza capire né come né perché. Un arco di sviluppo inesistente, schiacciando non poco il personaggio e rendendolo molto passivo e preda degli eventi. Questo si risente anche sul rapporto tra Peeta stesso e Katniss che, in questo Hunger Games, rasenta la schizofrenia. Un rapporto già abbastanza instabile in partenza, che ha il suo primo cambiamento, non particolarmente giustificato, nella seconda pellicola, Hunger Games: La ragazza di fuoco, ma che in questo film rasenta il paradosso. Dalla freddezza si passa all’odio, dall’odio alla lealtà e dalla lealtà all’amore più puro. Certo, detto così potrebbe essere tranquillamente passabile, se non fosse che nei passaggi non c’è proprio equilibrio e le battute che si scambiano Peeta e Katnis per questi 137 minuti sono risicate all’osso.
Identico problema si presenza anche sul rapporto Katniss – Gale, nonché sul triangolo amoroso, mai stato fin troppo chiaro dall’inizio della saga. Un accenno per rendere più impepata la linea sentimentale dei personaggi, ma che non riesce mai a trovare un proprio respiro, galleggiando su tutta la narrazione.
La maggior parte dei rapporti tra i vari personaggi, per esempio Effie (Elizabeth Banks) e Haymitch (Woody Harrelson), il Presidente Alma Coin (Julianne Moore) e Plutarch (Philip Seymour Hoffman) così come quest’ultimo e Snow, aleggiano sempre nel sospeso. Troppo superficiali, poco approfonditi, risultando per certi versi piatti o troppo spinti in là. Quando mancano le giustificazioni automaticamente viene a mancare il fattore verosimiglianza, che è quel fattore alla base del rapporto che c’è tra un film e il suo spettatore. Si è disposti a credere alle cose più assurde e paradossali, purché queste vengano giustificate all’interno della loro narrazione. Nella trasposizione cinematografica della saga degli Hunger Games questo viene a mancare a causa del problema a monte di tutto: una totale mancanza di ottimizzazione delle tempistiche. E in questo film, più che mai, tutti i nodi vengono al pettine. A risentirne proprio di più è quello che sarebbe dovuto essere la vera “attrazione” del film: la resa dei conti tra Snow e Katniss.
Ricordati chi è il nemico.
Tutti i propositi, tutte le semine incentrate su quella che sarebbe stata la vera battaglia, il punto nevralgico di tutta la saga, vengono miseramente persi in una risoluzione talmente rapida da non poter nemmeno essere definita tale. Tra la fine del secondo atto e l’inizio del terzo atto, la pellicola snoda tutte le situazioni talmente tanto velocemente che lo spettatore si ritrovata catapultato da un sanguinoso genocidio alla fine di tutto quanto. Come? Appena accennato a parole. Perché? Fatemi un fischio quando lo capirete.
Uno scontro tra titani smorzato sul nascere che si risolve in un incontro tanto breve quanto effimero, reso ancora più superificiale dalla scena successiva che viene quasi usata come parafrasi a quella precedente. Infondo, abbiamo detto che ci sono così “pochi” dialoghi, no!?
Un vero peccato cadere, proprio sul finale, su questi sgambetti non poco banali. Sicuramente, se Il canto della rivolta – Parte I, fosse stato fatto meglio, questa seconda parte avrebbe molti più pregi e pochi difetti.
La parte II ci regala pochi istanti di una “Brienne” fiera e guerrigliera, dall’alto della sua possente statura, e una Natalie Dormer armata di mitraglietta che è sempre una bella gioia per gli occhi e l’animo.
#TurboFiga
Passiamo al lato che più mi ha colpito, probabilmente più positivo e che rende l’ultimo capitolo degli Hunger Games un film, tutto sommato, da vedere. Come detto in precedenza, la vera forza di Hunger Games risiede nella sua incredibile tematica attuale, ma mai come in questo film gli spunti di riflessione, che si potrebbero portare avanti sul tema portante, sono tanti.
Hunger Games non è solo una metafora del mondo attuale, ma è anche uno specchio. A distanza di pochi giorni dai terribili fatti che hanno colpito Parigi in prima persona, bloccando in diretta tutto il mondo con le immagini strazianti e terrificanti, gli Hunger Games fanno riflettere su quanto le conseguenze degli sbagli di quelli che si definiscono “i potenti”, vengono sempre pagati dagli innocenti, da chi non ha armi con cui difendersi, da chi non sa nemmeno in cosa sia stato davvero tirato in mezzo. Ogni guerra grida il suo forte tributo di sangue, a prescindere se sia una rivoluzione o una crociata. Non esistono buone intenzioni in una guerra, non esistono morti a fin di bene, non esistono generali che vogliono far cadere dittatori, perché a loro volta quei generali diventeranno i dittatori di un nuovo regno di schiavi. E Katniss lo comprende bene quando si trova a pochi passi dal suo desiderio più grande, uccidere Snow. L’evoluzione del personaggio è racchiusa totalmente lì. Quella è la vera ribellione della ragazza di fuoco, quello è l’esempio lampante di rivoluzione e negazione di un essere umano contro chi vuole erigersi superiore, anche se usando la scusa del “a fin di bene” di un altro, ma che non fa la differenza con il suo predecessore. Tolto un male, ce ne sarà sempre un altro, perché l’umanità non impara mai dai suoi sbagli, e l’apparente pace dopo la tempesta e solo il preludio prima di un tifone. Un circolo vizioso che si ripercuote sulle generazioni future, chiamate a combattere per un’ideologia che non gli appartiene, un’ideologia talmente tanto vecchia da essere stata dimenticata. E allora, per cosa si sta combattendo? Questa è la vera domanda di fondo. Questa è la vera forza motrice di Katniss, che sul finale di arrende e chiude con tutto, concedendosi ad un lungo epilogo: una primavera immersa in un sogno.
Un epilogo tanto delicato quanto lungo, a tal punto da poter essere definito un quarto atto. Una cosa che non smentisce le tempistiche della pellicola, concedendosi tempi dilatati che abbassano la soglia dell’attenzione e distolgono dalle ultime parole, importanti, con le quali Katniss entra in contatto con il pubblico.
La saga forse poteva avere una chiusa migliore, ma infondo non è anche una chiusura terribile. Il film si lascia guardare, soddisfa abbastanza i suoi fan ed è comunque una tra le migliori trasposizioni cinematografiche del genere fantascientifico. Chissà, magari, con qualche piccola accortezza in più, anche un non ammiratore della saga sarebbe potuto uscire dal cinema veramente soddisfatto.
Hunger Games: Il canto della Rivolta – Parte II
vi aspetta al cinema dal 19 novembre
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