Erano gli anni ’80, e quelli di voi che li hanno vissuti, da ragazzini o da bambini, si ricorderanno strane chitarre e bassi dall’aspetto tecnologico e minimale, sprovviste di paletta, o come dicono in inglese “senza testa” e in qualche caso addirittura “senza corpo”. Uno scherzo di industrial design anni ’80? Forse no.
Ma se era una vera innovazione, perché non si è affermata? Eppure non abbiamo visto questi strumenti nelle mani di gruppi che miravano al look spaziale/futuribile, sono stati accolti dai più grandi strumentisti del pianeta, inclusi alfieri di generi così diversi tra loro come Dave Gilmour, Eddie Van Halen, Bill Frisell, Allan Holdsworth, Reeves Gabrels (epoca Tin Machine) e per chi tra di voi abbia passato la fase del metal spettinato, Vito Bratta dei White Lion.
Da dove sono arrivati questi strumenti? Dove sono andati? Perché? Andiamo con ordine.
Un po’ di storia
Siamo alla metà degli anni ’70 e Ned Steinberger, l’altro Ned baffuto e incredibilmente gentile (oltre a Flanders), designer di mobili e figlio di un fisico di una certa rilevanza, stringe amicizia con un rispettato liutaio e costruttore di bassi, Stuart Spector, il quale lo coinvolge nel design di uno strumento, l’NS1.
Ned, che ha un approccio da profano allo strumento, è meravigliato di ciò a cui sono sottoposti i bassisti professionisti. Più che il peso, è lo sbilanciamento dello strumento a colpirlo: come si può mandare sul palco per due o tre ore di fila un povero bassista con uno strumento che tende a scendere dalla parte della paletta?
L’NS1 è uno strumento ancora abbastanza tradizionale: la forma del corpo e della paletta sono studiate per ridurre lo sbilanciamento, ma non è dissimile da molti altri strumenti sul mercato.
Ma Ned ha in mente qualcosa di più radicale. E una serie di domande ‘da profano’ alle quali i liutai e gli strumentisti interpellati non sanno dare risposte soddisfacenti.
Perché è costruito in legno?
Vi risponderanno che il legno arricchisce il suono e lo colora. Palle. Si usa il legno perché è tradizionalmente reperibile e di facile lavorabilità. Il legno modifica il suono? Sì. Lo arricchisce? No.
Il diverso “colore” che diverse essenze lignee possono dare al suono dipendono dalle frequenze che il legno stesso sottrae alla vibrazione della corda.
Ergo il legno lavora come un equalizzatore passivo, o come un synth sottrattivo se volete, togliendo armoniche che il suono avrebbe, non aggiungendone altre. Esatto, quindi il legno impoverisce il suono deprivandolo di sustain, attacco, o frequenze e armoniche varie.
Tanto è vero che il legno più apprezzato nella costruzione dei pianoforti è l’abete estone, che cresce più lentamente a causa del freddo e delle scarse ore di luce invernali, e quindi ha fibre più dense delle altre varietà di abete.
L’abete in generale viene preferito agli altri legni per le tavole armoniche di chitarre acustiche e strumenti ad arco per un valido motivo: presenta fibre molto parallele, ossia orientate per lo più in un’unica direzione.
E Ned pensa che si può produrre sinteticamente un materiale ancora più denso, e con fibre parallele per realizzare tutto il corpo dello strumento, controllando la resistenza meccanica, le caratteristiche tonali, e lasciando fuori dalla porta i tradizionali problemi del legno: infatti il legno più stagionato ha comunque ancora una percentuale di acqua che va dal 3% al 5%, e quest’acqua ovviamente si sposta con le variazioni di umidità, temperatura e pressione rendendo gli strumenti soggetti a continui aggiustamenti.
Perché le meccaniche stanno in cima al manico? (e sono così imprecise)
Le migliori meccaniche del tempo avevano un rapporto di 13:1. Ned tira fuori un sistema di accordatura radicalmente diverso, con un rapporto di 40:1, e lo piazza a valle del ponte.
La paletta è eliminata, lo strumento non è particolarmente leggero, essendo realizzato in fibre di grafite immerse in una mescola a base di resina epossidica, ma è finalmente bilanciato.
È nato lo Steinberger L1, al quale seguirà l’L2 (la versione in produzione di massa, un po’ più leggera). L’L2 ha un successo immediato, tutti i bassisti di un certo livello ne acquistano uno (tristemente Jaco Pastorius non farà a tempo a pagarlo), appare in film e telefilm, diventa così iconico che anche quando la Steinberger avrà prodotto 10 chitarre per ogni basso, la gente continuerà a identificarla con il basso.
L’L2 sarà poi ribattezzato XL2, quando nella linea Steinberger entreranno appunto le chitarre (i cui nomi inizieranno per G).
E a questo proposito, le chitarre?
Ci sono molte richieste perché Ned applichi il suo approccio radicale e profano ad un redesign della chitarra elettrica, rimasta per decenni ancorata a modelli tradizionali, ma scarsamente razionali o scientifici.
Gli portano una chitarra con la leva vibrato, e lui, nella sua ingenuità di veronerd™, ne fraintende la funzione. “Ma è fantastico!” esclama “Questa è davvero un’opera ingegneristica mirabile! Devo studiarla a fondo per capire come fanno a trasporre tutte le note mantenendo l’intonazione! Io non sarei stato capace di progettarlo!”
Ed ecco il trans-trem
Ovviamente, nessun ponte mobile dell’epoca trasponeva in modo esatto proprio niente.
Si limitavano (e si limitano tuttora) a scordare lo strumento in un verso o nell’altro.
Dopo un lungo studio, Ned se ne uscì con il TransTrem Type I, che presentava tutta una serie di innovazioni che rendevano possibile il miracolo: le note di tutte le corde venivano trasposte simultaneamente permettendo di scalare un intero accordo ed eventualmente bloccarlo una volta trasposto. Di cosa stiamo parlando?
Un ponte convertibile
Il TransTrem presentava un’altro paio di innovazioni radicali.
Era convertibile, ossia era possibile bloccarlo in posizione fissa (caratteristica in seguito mantenuta da tutti gli altri ponti Stenberger come l’S Trem e l’R Trem), e la regolazione della controtensione provvista dalla molla (un’unica molla in compressione, molto più precisa delle classiche tre molle in estensione) non si effettuava inserendo una chiave a brugola, ma in diretta durante l’accordatura dello strumento.
Perché? Perché quando Ned aveva provato il ponte di una stratocaster (ma stesso dicasi di un Floyd Rose) aveva notato che tirando una corda si scordavano tutte le altre, e allora come porvi rimedio? Si accordano le corde singole a ponte bloccato, poi lo si sblocca e si regola “l’accordatura generale” (la tensione della molla). Chiaro? Spero di sì.
È più facile a farsi che a dirsi: Il cambio corde di una Stein dura circa 60 secondi (accordatura inclusa). Ora capite perché quando sono scaduti i brevetti Floyd Rose se n’è uscito con lo ‘speed loader’?
Le conseguenze
Ned vendette alla Gibson, che ovviamente fece della Steinberger uno dei suoi tanti marchi senza dargli particolare rilievo, l’interesse per gli strumenti fantascientifici calò radicalmente con il grunge, poi venne l’era delle PRS dappertutto, e le invenzioni di Ned furono dimenticate. O forse no.
Alcuni dei suoi concetti furono ripresi pari da Ken Parker (uso di materiali compositi, molla in compressione con blocco e regolazione) o integrati in accessori installabili a parte (hipshot tremsetter, wilkinson VS100C convertible bridge).
La corsa agli armamenti per una maggior precisione delle meccaniche era iniziata (ma le migliori, le Planet Waves auto trimming locking tuners, vengono ancora una volta dal tavolo da disegno di Ned), ma per il resto, uno po’ il mercato degli strumenti musicali è estremamente conservativo ed orientato al vintage piuttosto che alla tecnologia (io stesso adoro le chitarre archtop, non posso certo prendermela con chi preferisce una fender jaguar ad una Steinie).
Quanto a Ned, ha fondato un’altra compagnia (NSDesign) che produce prevalentemente strumenti ad arco elettrici (tra cui uno straordinario basso/contrabbasso, che i più fortunati tra di voi avranno sentito suonare a Tony Levin) e progetta ancora accessori innovativi per conto di altre compagnie, inclusa la Gibson che ha recentemente innovato la linea Steinberger con qualche strumento interessante (la linea Synapse, ormai neppure più recentissima) e qualcosa che fatto storcere il naso ai puristi (il TT type III, atteso per anni, ha deluso molto, e la Steinberger Demon si commenta da sola).
C’è ancora molta resistenza nell’industria all’uso di materiali compositi.
D’altro canto, tutti i chitarristi a cui ho fatto provare la mia Steinberger dicevano che suonava ‘fredda e sterile’ (nonostante avesse scientificamente più sustain, armoniche, e frequenze delle loro chitarre), come anche ‘che la scala era troppo corta’ (la scala delle steinie è 25.5″, come la fender stratocaster: è l’assenza di paletta a farla sembrare più piccola).
E come dice un vecchio adagio, se non puoi batterli unisciti a loro.
- Steinberger World (steinbergerworld.com)
- Ned Steinberger (nedsteinberger.com)
- Steiberger (steinberger.com)