La spada di Alazashea

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Questa è una storia che ha radici molto antiche, svoltasi in una verdeggiante e sconfinata vallata, oggi conosciuta come la Valle dei Sussurri, divenuta una terra macabra e dalla terra impregnata di sangue dopo una lunga e tormentata battaglia.

Nei grandi eventi che si susseguirono in quel luogo emerse la figura di una giovane guerriera, che brandendo una spada unica nel suo genere, sconfisse una gravosa minaccia che aleggiava sopra i troni di due grandi Regni, prima ostili ora alleati, salvando le sorti di un antico mondo, tanto lontano da noi ma vicino nei nostri cuori. Quel giorno nacque il mito che ora mi appresto a raccontarvi.

Avalante Montreil,
storico e scrittore
di Miti e Leggende,
dimenticate da molti

 

 

1

Alazashea, (Alaza, grande, Shea, donna fertile o madre), secondo l’antica lingua dei Van’hir, così viene chiamato il grande continente che costituisce buona parte del mondo conosciuto, popolato da umani e Inimhill, creature nate prima dell’uomo. All’alba della civilizzazione umana tra le due razze si creò un legame di amicizia e rispetto reciproco che durò per molti secoli, fino a quando un giovane e sfrontato Re non rovesciò questo dolce equilibrio. Ci fu una guerra, la prima dopo secoli di pace, che divise il grande continente in due fazioni: la prima, quella degli uomini, composta da quattro grandi regni, il Regno del Leone Grigio, del Grande Bazaar, del Cuore Spinato e delle Tre Sorelle, ognuno con un rappresentante, facente parte del Grande Consiglio dei Regni, una sorta di tavola rotonda dove i quattro sovrani, nella Sala delle Urla nel regno del Leone Grigio, discutevano di politica e di commercio tra l’imperi.

Questi grandi regni erano composti a loro volta da altri piccoli reami, ad eccezione del Grande Bazaar, unico grande impero.

Il Regno del Leone Grigio aveva sotto il suo vessillo la casata dei Bustar, dei Dragonea el Faré e dei Mida. Le Tre Sorelle comprendevano due regni e il Cuore Spinato, il più numeroso, ne contava sei.

La seconda fazione, isolata nelle terre selvagge della Foresta Nera, era abitata da quelle che noi definiamo volgarmente “creature sovrannaturali”, gli Inimhill per l’appunto, come elfi del mare, mangia spiriti, elfi delle montagne inesistenti, giganti di fuoco, nani, gnomi, le vedove del fiore scarlatto e molti altri, rappresentati dal Consiglio degli Immortali. Sono molti gli Inimhill presenti nel mondo ma pochi hanno deciso di far parte di un unica nazione che li rappresentasse come unica identità, il consiglio per l’appunto.

 

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Nel corso dei secoli non mancarono le divergenze tra i regni degli stessi umani, sopratutto tra quello del Leone Grigio e delle Tre Sorelle, creando dei piccoli conflitti all’interno del consiglio di cui uno portò quasi alla guerra civile. Ma questa è un’altra storia.

L’inimicizia tra umani e creature della foresta nera crebbe di anno in anno tanto da sfociare in rappresaglie e sabotaggi commerciali da parte degli Inimhill, piegando per un certo periodo l’economia dei regni centrali. Il tutto fino all’anno 019 dell’Era del Serpente di Legno, quando il Re del Cuore Spinato fece riunire, con molte difficoltà, il Grande Consiglio e quello degli Immortali, convincendoli a firmare un trattato di pace.

E così fu: gli Inimhill si isolarono nelle loro terre selvagge, abbandonando ogni contatto con l’uomo, e gli umani ritornarono ai loro continui conflitti interni e alle loro vite.

Una calma apparente, durata all’incirca ottocento anni, che venne scossa una sera di primavera da una sentinella del regno del Cuore Spinato che, giungendo moribondo ai piedi del cancello della sua città, portò al suo Re una nefasta notizia.

L’uomo, DeManzio di Gurala, ex fabbro di un piccolo paese arruolatosi tra le file del quarto reggimento ricognitori del terzo regno spinto non tanto dal dovere ma dal fatto che la sua bottega era andata in fallimento e che in qualche modo doveva mantenere la sua numerosa famiglia, era in perlustrazione nella zona di confine del suo regno insieme al suo gruppo nelle lontane terre del Sud, per proteggere la via del grano dai banditi, quando all’improvviso caddero in un imboscata: un gruppo di briganti senza scrupolo, i mangia ossa, individui sadici senza scrupoli verso le proprie vittime e conosciuti per la pratica del cannibalismo selvaggio. Nel combattimento due militari caddero sotto le lame dei banditi. I superstiti vennero incatenati con un collare di ferro unito da una lunga catena che si congiungeva al collo di un altro prigioniero, trascinandosi così l’uno con l’altro.

Il mattino successivo varcarono i confini del regno ed entrarono nelle terre innominabili, descrivendo il luogo come un deserto di morte e desolazione. Non una pianta, non un filo d’erba che emergeva dall’arido terreno violaceo. La vita, come la conosciamo noi, in quel luogo non è data possibilità di esistere.

Proseguirono la marcia fino al calare del sole quando arrivarono in un piccolo accampamento dove li aspettavano altri membri dei briganti, che, non appena videro i propri compagni con al seguito i prigionieri, feriti e assetati, incominciarono a inneggiare inquietanti cori di morte.

Tre dei cinque ricognitori rimasti, vennero portati a forza dentro a una tenda, mentre il fabbro e l’altro compagno, vennero rinchiusi in piccole gabbie sudice.

Alcune presentavano al loro interno i resti di ossa e carne putrefatta molto recenti. Quella notte le urla di terrore e di dolore dei prigionieri, fatti a brandelli per la cena dei briganti e i loro canti, echeggiarono tra le solide e fredde pietre di quel deserto dimenticato dal mondo.

Le terre innominabili furono teatro, molti secoli fa secondo antiche leggende, della battaglia tra la venerata Dea Madre e le sette divinità della rovina.

Lo scontro durò dodici giorni e dodici notti senza alcuna sosta lasciando sotto i loro piedi un terreno spoglio, morente, abitato ora da creature infernali e mostruose.

Si dice che da allora nessuno abbia osato solcare quelle terre maledette e i pochi che si sono avventurati in quelle terre oscure non abbiano mai fatto ritorno a casa.

È un luogo pericoloso, tetro, pieno di mistero  e pericoli, dove si dice si compiano i più cruenti  ed efferati sacrifici alle divinità della rovina. Sacrifici umani, rituali che solo sentirne parlare viene la pelle d’oca.

La luna nel cielo era piena quella maledetta sera e illuminava timidamente l’accampamento, come se si vergognasse di posare il suo pallido chiarore su quel luogo lugubre. La baldoria, le urla e le azzuffate tra i briganti durante i festeggiamenti cessarono e nel campo calò un silenzio irreale.

Dalla tenda più grande uscì un uomo alto e muscolo che trangugiando una bevanda bluastra dalla base del teschio di uno dei prigionieri fatti a pezzi. Poteva notare alcuni capelli attaccati alla base de cranio e alcuni lembi di carne che pendevano dalle tempie. Un orecchio aggrappato in maniera precaria alla calotta cadde a terra, sotto l’incuranza del brigante che finì di bere.

Notò il fabbro che lo stava osservando, gli si avvicinò e lo guardò con aria sufficiente. Si accucciò come per vedere la sua preda in trappola, facendo scivolare le sue grandi pupille gialle sul corpo del prigioniero. Il puzzo di sudicio e di terra bagnata impregnava le narici del fabbro.

Preso dai fumi dell’alcool, il brigante incominciò a dire parole senza senso, fino a quando non menzionò di una invasione, che sarebbe avvenuta molto presto e che avrebbe cancellato il regno degli uomini e degli Inimhill una volta per tutte. Continuò a blaterare sul fatto che gli uomini avevano preso il loro terreni con la compiacenza di alcune frange di Inimhill Rinnegati, isolando loro e altri popoli in queste terre maledette. Stette zitto per un breve periodo, si alzò di scatto, barcollò e cadde a terra, sopraffatto dall’alcool.

Durante il racconto l’uomo tacque improvvisamente, con lo sguardo perso nel vuoto. Le sue labbra erano secche e tremava come una foglia. Continuava a fissare il lucido pavimento della sala del trono. Accanto a lui un uomo gli poggiò la mano sulla spalla per rassicurarlo e gli porse un bicchiere d’acqua.
Il fabbro fece un respiro profondo e riprese il racconto con uno sguardo allucinato:

Il corpo del brigante era ancora davanti a lui, inerme. Raccontò di aver allungato il braccio tra le corrose e fredde sbarre di ferro verso di lui, trascinandolo a se. Diresse la sua mano sulla fibbia dei pantaloni dove sfoderò un lungo pugnale. Con la compiacenza del suo compagno attirarono l’attenzione, imitando una litigata su chi fosse stato il prossimo a finire dentro i loro stomaci.

Arrivò un omone alto e robusto, anch’esso sotto i fumi dell’alcool che lo avevano reso iracondo, pronto a menar le mani. Stava a stento in piedi e continuava a urlare frasi incomprensibili ai due prigionieri. Notò il corpo del suo compagno a terra che ronfava rumorosamente, ma i suoi sensi erano talmente diminuiti che pensò fosse morto.

Sgranò i suoi grandi occhi gialli verso il fabbro, sguainò la spada e cercò di colpire l’uomo che, schivando prontamente l’affondo, lo afferrò per un braccio bloccandolo tra le inferiate. Il brigante perse l’equilibrio e cadde a terra in ginocchio, portandosi alla stessa altezza del fabbro che approfittando della situazione gli conficcò il coltello nel collo, una, due, tre volte fino a quando non era ricoperto del suo sangue.

Fortunatamente trovò le chiavi addosso al cadavere del brigante liberandosi dalla prigionia. Scapparono dal campo, guidati dalle stelle come fanno i naviganti di notte in mare aperto, mentre le trombe del campo suonavano l’allarme. I fuggiaschi continuarono a correre senza mai voltarsi indietro mentre una nuvola di frecce e sassi li cadevano dal cielo. Il fabbro venne colpito alla schiena da un paio di frecce che gli rallentarono di poco la fuga: la forza di volontà di arrivare alla capitale sano e salvo erano più forti che mai. Quando passò il confine si rese conto che era da solo.

Improvvisamente il fabbro cadde rovinosamente a terra privo di vita. Dalla bocca e dalle narici uscì un liquido verde scuro, probabilmente il veleno delle frecce che lo colpirono alle spalle. E’ stato un miracolo che abbia resistito così a lungo.

Molti nella sala incominciarono a domandarsi chi era quell’esercito che stava marciando contro i Quattro Regni. A chi poteva appartenere? Dei semplici briganti scavezzacollo senza disciplina con la fissazione dei sacrifici di sangue come i mangia ossa non sarebbero mai stati in grado di unire o creare un esercito tale da poter competere con quello dei quattro Regni. Incominciarono a estrapolare delle ipotesi sulle possibili tribù, ribelli e rinnegati che erano sempre stati contro i quattro regni, anche se tutti i ragionamenti fatti portavano a un vicolo cieco. Al di là dei confini, nelle terre innominabili, non esistono vasti e potenti regni in grado di sovvertire il Grande consiglio.

Qualcuno addirittura ipotizzò che si trattava delle deliranti affermazioni di un uomo che subendo un forte shock psicologico, per non parlare della grande quantità di veleno che aveva in corpo, poteva aver inventato parte del racconto.

Le numerose domande trovarono risposta poche settimane dopo: un rapporto urgente arrivato al sovrano del terzo regno menzionava l’avanzata di una poderosa truppa che distruggeva e saccheggiava ogni cosa ci fosse lungo il suo cammino, sia che fossero foreste, villaggi e, addirittura, montagne. Nel rapporto viene descritta come “un fiume di sangue che lascia dietro di se le impronte del caos”. Nessuno sembrava in grado di fermarli.

In pochi giorni vennero colpiti paesi e cittadine adiacenti alle terre innominabili, arrivando a un passo dalla capitale del Cuore Spinato con una tale rapidità che fecero sbigottire le più alte cariche militari del regno. Le notizie non facevano altro che moltiplicarsi scatenando il panico a corte. Chi mai poteva essere questa truppa che stava avanzando senza sosta?

Il Sovrano del Cuore Spinato chiese segretamente aiuto al regno di Frambea, ufficialmente un Regno neutrale ma segretamente posto sotto il vessillo dei Cuore spinato, rimasto in buoni rapporti con una piccola frangia degli Inimhill nelle terre selvagge. Per non scatenare delle false illazioni contro di loro, una loro scoperte avrebbe significato la violazione del trattato di pace e quindi un incidente politico se non una guerra interna, da Frambea partì un messaggero alla corte della foresta nera. Ritornò due giorni più tardi con una sconcertante notizia: dalle coste sud della foresta nera, l’esercito scarlatto teneva sotto assedio gli Inimhill da oltre un mese, continuando a conquistare terreno.

Secondo un rapporto giunto il mese della luna, l’ultimo attacco risaliva a quattro giorni fa, nella città di Garana, a 3 settimane di viaggio dalla capitale del Cuore Spinato.

Quella sera stessa si pianificò di indire, nella Sala delle Urla, non solo il Consiglio dei quattro Regni ma anche degli Immortali. Dopo tanto tempo forse i due regni stavano per ricongiungersi contro un nemico comune.

Continua…

 

[…] #Alazashea

 

 

Curiosità

Secondo le credenze popolari, i Van’hir, o popolo del cielo, sono ritenute le prime creature ad aver messo piede sulla terra. Arrivati da luoghi lontani e sconosciuti, c’è chi ipotizza tramite l’uso di portali dimensionali o tramite “grandi navi d’argento circondati da un’aura cremisi”, portarono con loro l’immensa conoscenza della vita e dell’universo.

Crearono le prime forme di vita senzienti, gli Inimhill con l’abilità di poter comunicare con le forze intrinseche del pianeta. Successivamente crearono nuove razze, fino a fermarsi con l’essere umano, la più giovane creatura del pianeta. Vennero selezionati alcuni Inimhill con i compito di educare e seguire nella loro evoluzione l’uomo.

La permanenza dei Van’hir sulla terra, secondo alcuni studi, si stima sia stata all’incirca di 650.000 anni, per poi scomparire misteriosamente. Pochi sono i resti di queste divinità, e le uniche prove sulla loro esistenza sono le leggende tramandate oralmente dai vecchi saggi Inimhill, un dialetto volgare derivante dalla lingua dei Van’hir e un rarissimo quanto unico manufatto, una stele, che racchiude al suo interno il possibile alfabeto del popolo del cielo, nascosto nelle profondità oscure e misteriose della Foresta Nera. Ma sono solo speculazioni.

Circolano altre voci sulla quale alcune creature conoscano la lingua dei Van’hir e che siano in continuo contatto con esse, tra di loro alcuni reietti che si sono rifugiati nelle terre innominabili.

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