Con il termine  Enviromental Control and Life Support System (ECLSS) si intende tutto l’insieme di tecnologie ed accorgimenti che garantiscono l’abitabilità della ISS. Detto così sembra terribilmente complicato, ma fidatevi, lo è anche di più.

Per garantire la sopravvivenza dell’uomo, per lassi di tempo ragionevolmente lunghi, sono necessari diversi fattori concomitanti:

  • La presenza di una atmosfera ragionevolmente ricca di ossigeno, povera di inquinanti dannosi e con determinate caratteristiche di pressione e temperatura
  • Il giusto ammontare di cibo di acqua
  • Un ambiente ragionevolmente privo di radiazioni

A cui, siccome siamo persone per bene, aggiungiamo anche:

  • La possibilità di raccogliere e trattare i rifiuti organici e non
  • La possibilità di mantenere un ragionevole livello di igiene

Da questo elenco, oltre al mio amore per il termine “ragionevole”, si evince anche, che le problematiche da affrontare per garantire l’abitabilità sono tutt’altro che banali.

Se ci si aggiunge che è necessario farlo ad una velocità di oltre 27000 km/h in un ambiente di microgravità in cui le temperature possono variare di centinaia di gradi in pochissimo tempo e spazio, allora le cose iniziano a farsi interessanti.

Nella vita di tutti i giorni a tenerci in vita ci pensa Terra, in sua assenza servono gli ingegneri. Tanti ingegneri.

Questo articolo vuole, appunto, offrire una panoramica generale sulle strategie attuate dalle mamme NASA, ESA & Co. per permettere a sei astronauti di postare selfie sopravvivere nello spazio.

 

 

Lo stato dell’arte

Ad un certo punto, da qualche parte nei lontani anni ottanta, qualcuno si accorse che espellere i prodotti di scarto nello spazio o stoccarli dentro grandi cisterne per riportarli su Terra, non era poi la cosa più furba da fare, soprattutto in vista di permanenze in orbita della durata di diversi mesi.

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I primi sistemi di generazione di ossigeno furono messi in opera dall’Unione Sovietica all’interno della stazione MIR nel1986.

Si decise quindi di optare verso una strategia di riciclo che puntasse a rendere le future stazioni spaziali sempre più autosufficienti dai costosissimi rifornimenti.

I primi sistemi di generazione di ossigeno furono infatti già messi in opera dall’Unione Sovietica all’interno della stazione MIR, datata 1986. Da quelle prime importantissime esperienze ci sono stati grandissimi progressi e oggi si è vicini alla chiusura del loop di riciclo, oltre che per l’ossigeno, anche per l’acqua. Ma procediamo con ordine.

 

L’atmosfera

Il mantenimento dell’atmosfera e dei livelli di ossigeno è il compito a più alta priorità del sistema di supporto vitale. L’aria a bordo della ISS è del tutto simile a quella presente sulla terra al livello del mare: composta cioè dal 21% di ossigeno, 78% di Azoto, il tutto alla pressione di 101.3 kPa.

L’azoto non è fondamentale per la sopravvivenza, ma ha la spettacolare caratteristica di essere inerte. In passato si erano provate configurazioni con maggiori percentuali di ossigeno a fronte di una pressione totale inferiore, necessaria a mantenere la pressione parziale di ossigeno costante.

Queste aumentavano, però, a dismisura il rischio di incendi, i quali sono, tendenzialmente, una scocciatura. Ad oggi si utilizza una configurazione composta al 100% da ossigeno solo nelle tute spaziali, in quanto alte pressioni interne renderebbero la tuta troppo rigida impedendo il movimento degli astronauti.

 

Ossigeno

Il controllo atmosferico è deputato a due gruppi di sistemi rispettivamente russi ed americani, la cui ridondanza garantisce una certa sicurezza all’equipaggio.

I sistemi statunitensi sono quelli di più moderna fattura e sono situati a bordo dei moduli Tranquillity e Destiny: di particolare importanza è il cosiddetto Oxygen Generation System o OGS, il quale produce ossigeno per rimpiazzare quello perso durante la respirazione, l’uso sperimentale e le perdite delle giunzioni. Il sistema consiste principalmente di un modulo detto Oxygen Generation Assembly che sfrutta il fenomeno dell’elettrolisi per ricavare ossigeno e idrogeno dall’acqua.

L’idrogeno viene espulso fuoribordo, mentre l’ossigeno viene immesso nell’impianto di ventilazione. Il sistema è progettato per essere regolabile e può lavorare a diversi regimi in modo da garantire un apporto di ossigeno che va dai 2,3 ai 9Kg al giorno. Totalmente analogo è il sistema russo denominato Elektron.

Entrambi i sistemi sono molto difficili da far funzionare al meglio e hanno spesso causato problemi, costringendo gli astronauti ad utilizzare alcune di quelle care, vecchie tecnologie sovietiche che ci piacciono tanto, previste come misure d’emergenza, quali bombole o il Solid Fuel Oxygen Generation (SFOG).

Quest’ultimo, situato sul modulo Zvezda, sfrutta una reazione, fortemente esotermica, tra clorato di sodio e ferro per generare ossigeno con un’efficienza in grado di garantire la sopravvivenza per un ora a 6,5 persone per ogni Kg di reagente. La reazione è la seguente:

$latex NaClO_3 + Fe \rightleftharpoons 3O_2 + NaCl + FeO$

 

Anidride Carbonica

Produrre ossigeno, però, non è abbastanza, è anche necessario purificare l’aria, in particolare, dall’anidride carbonica.

A tale scopo è stato progettato l’Air revitalisation system che utilizza il Carbon Dioxide Removal Assembly  per disfarsi della $latex CO_2$.

L’aria è fatta passare attraverso due camere nelle quali viene prima asciugata e poi filtrata.

 

L’umidità recuperata viene reimmessa nel flusso d’aria, mentre il materiale spugnoso utilizzato per filtrare l’anidride carbonica viene ciclicamente scaldato ed esposto all’ambiente spaziale, dove viene ripulito grazie al vuoto.

Il filtro è costituito da Zeolite 5A, un materiale incredibilmente spugnoso capace di intrappolare all’interno del suo reticolo cristallino le molecole di CO2.

Altre strutture coinvolte nella bonifica dell’aria sono il Trace Contaminant Control Subassembly e il Major Constituent Analyser, che monitorano i livelli di contaminati e di gas vari, disciolti nell’atmosfera.

Anche per la purificazione dell’aria è, ovviamente, presente un sistema di fallback, ereditato dai sistemi non rigenerativi utilizzati prima dell’avvento delle stazioni spaziali. Si basa sull’utilizzo di alcune batterie di idrossido di litio che assorbono anidride carbonica dando carbonato di litio.

$latex 2LiOh + CO_2 \rightarrow Li_2CO_3 + H_2O$

Un ulteriore interessantissimo sistema di recupero, che verrà implementato a bordo della ISS sia dalla NASA che dall’ESA nel 2015, sfrutta la reazione di Sabatier, che prevede la combinazione di anidride carbonica ed idronigeno in presenza di alte temperature e catalizzatori per produrre metano e acqua secondo la formula

$latex CO_2 + 4H_2 \rightleftharpoons CH_4 + 2H_2O$

Questo permetterà di ricavare ulteriore acqua dai processi di riciclo, che, assieme a quella recuperata dalle celle a combustibile dei vettori, andrà a coprire l’intero fabbisogno idrico della ISS. Il metano così ottenuto potrà essere espulso fuori bordo, usato come combustibile oppure decomposto tramite pirolisi a $latex C+ H_2$, per ottenere nuovo idrogeno da immettere nel reattore.

 

 

Acqua

Qui le cose si fanno più complicate. Come accennato sopra, la ISS potrebbe presto ritrovarsi indipendente sul fronte idrico grazie ad una serie di tecnologie di recente (o futura) implementazione.
L’acqua è utilizzata sulla ISS per diversi scopi:

  • Igiene personale
  • Consumo diretto
  • Uso sperimentale
  • Preparazione dei cibi
  • Generazione di Ossigeno

Le fonti da cui attingerne sono invece più limitate:

  • Celle a combustibile dei vettori spaziali
  • Rifornimenti
  • Scarti metabolici

La gestione dell’acqua è affidata al Water Recovery System  (WRS), di cui sono presenti due esemplari: uno più vecchio installato sullo Zvezda, che si occupa di filtrare l’acqua da inviare al sistema Elektron, l’altro, di recente installazione, che si trova sul modulo Tranquillity.

Quest’ultimo è più avanzato ed è anche in grado di processare e purificare l’urina, fornendo acqua potabile. Esso è composto da due sezioni: lo Urine Processor Assembly (UPA) e il Water Processor Assembly (WPA).

 

Urine Processor Assembly

Nell’urina c’è veramente di tutto e va inoltre ricordato che in microgravità non si separano le fasi, quindi i precipitati non precipitano e i gas non gassano.

Urine Processor Assembly

L’urina viene pretrattata nel luogo di raccolta aggiungendo triossido di cromo e acido solforico al fine di controllare la crescita microbica e la degradazione dell’urea in ammoniaca.

Successivamente, viene raccolta nel Wastewater Storage Tank Assembly dal quale viene rediretta tramite una pompa peristaltica verso la Distillation Assembly, dove avviene l’effettiva distillazione.L’acqua da qui ricavata viene inviata al WPA mentre i prodotti di scarto sono trasferiti al Recycle Filter Tank Assembly.

Il cuore della struttura è, quindi, la Distillation Assembly che è composta da una centrifuga dove l’acqua viene fatta evaporare dal flusso di urina ad una pressione estremamente bassa e il vapore così ottenuto viene raccolto da una nuova pompa peristaltica e inviato al Separator Plumbing Assembly, dove l’acqua viene ricondensata e separata dagli altri gas indesiderati.

Questo sistema è nominalmente in grado di recuperare l’85% dell’acqua dal flusso di urina. Tuttavia, le stime sono state fortemente riviste per via delle grandi quantità di precipitati di solfato di calcio presenti nell’urina pretrattata, dovute alla reazione tra il calcio espulso con le urine e l’acido solforico.

Questa concentrazione è maggiore del previsto per via della maggiore quantità di calcio espulso dagli astronauti in condizioni di microgravità, al punto da saturare la soluzione e precipitare all’aumento di temperatura che si riscontra nella camera di distillazione.

Inoltre, la precipitazione del solfato d calcio è agevolata anche da una anomalia nel valore di PH delle urine pretrattate, atteso tra 1.5 e 1.8 e riscontrato tra 1.7 e 2.5, che parrebbe essere correlata ad alti valori di fosfati disciolti.

 

Water Processor Assembly

Water Processor Assembly

Water Processor Assembly

Nel Wastewater Tank vengono convogliate le acque di scarto, la condensa recuperata dal Temperature and Humidity control System e il distillato dall’UPA . Un compressore tiene la pressione costante tra i 5,2 e 15,5 kPa necessaria a spingerne il contenuto nel Mostly Liquid Seperator dove i gas vengono separati dall’acqua .

I gas così ottenuti vengono filtrati per eliminare le impurità e rimandati in cabina, l’acqua viene invece spostata da una pompa peristaltica ad una serie di filtri in cui vengono rimosse le impurità inorganiche.I livelli di salute dei filtri vengono monitorati tramite misure di conduttività dell’acqua filtrata.

I rimanenti contaminanti organici a basso peso molecolare che sono sopravvissuti al filtraggio vengono distrutti attraverso il passaggio in un reattore dove avvengono processi di ossidazione molto aggressivi ad alte temperature e in presenza di catalizzatori.

Uno scambiatore di calore recupera energia dall’acqua purificata dal reattore ed infine un ultimo filtro recupera i sottoprodotti dell’ossidazione e aggiunge iodio per il controllo microbico. L’acqua così trattata è ora pronta a tornare in cabina.

 

 

Sviluppi futuri

Chiudere il loop

Sarete stanchi di sentirlo, ma i miglioramenti futuri stanno tutti nel chiudere il loop di riciclo e per riuscire nell’impresa è necessario lasciarsi alle spalle i sistemi chimico-meccanici, troppo costosi e soggetti a guasti, e concentrarsi sull’utilizzo di sistemi biologici.

melissa

O almeno, questo è quello che pensano in ESA, dove, da più di 25 anni, è in sviluppo il progetto Micro Ecological Life Support System Alternative, noto come MELISSA.

Lo scopo è creare un ecosistema fortemente compartimentato in cui introdurre diverse tipologie di batteri, alghe e piante superiori, in modo da poter riciclare gli scarti e fornire un valido sistema di supporto vitale praticamente indipendente dai rifornimenti.

In particolare il sistema Melissa si articola in quattro compartimenti (oltre a quello che ospita la ciurma): nei primi tre sono ospitati batteri che si occupano di degradare e digerire gli scarti, mentre nel quarto sono presenti piante superiori ed alghe che dovrebbero fornire ossigeno e cibo all’equipaggio, oltre a fornire acqua distillata tramite la traspirazione.

Uno schema del funzionamento del sistema si può trovare nell’immagine sopra, mentre sotto spoiler sono presenti alcune tabelle contenenti rispettivamente le reazioni che avvengono nelle varie camere e le specie di batteri prese in considerazione nel progetto.
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Le tabelle sono tratte da qui , al 2006.

 

table1 table2

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Una delle principali sfide del progetto è il mantenimento della stabilità all’interno della popolazione del sistema, da non confondere con la funzionalità. Infatti il tutto potrebbe continuare a funzionare a fronte di una variazione nella composizione batterica dei singoli compartimenti, la quale potrebbe introdurre problematiche impreviste.

Infatti, nonostante sia dimostrato che comunità estremamente dinamiche e differenziate di batteri siano molto efficienti nel mantenere una stabilità funzionale, la dinamicità è un aspetto indesiderato in un ecosistema artificiale controllato come quello proposto da Melissa.

L’ambiente di microgravità, la prolungata esposizione a radiazioni ionizzanti così come il contatto con gli scarti umani, che possono introdurre agenti inquinanti(ormoni, metalli pesanti e scarti metabolici in generale), ma anche essere fonte di patogeni o di geni associati alla patogenicità, potrebbero fortemente inficiare la stabilità del sistema e portare a conseguenze potenzialmente distruttive.

Si rendono necessari continui controlli della qualità e una forte compartimentazione per ridurre l’interconnessione del sistema e, di conseguenza, la sua complessità.

SpirulinaMolti studi a terra sono già stati fatti e nei prossimi mesi sono pianificati studi direttamente sulla ISS grazie ad un fotobioreattore (partito, se non sbaglio, assieme alla nostra Samantha) per monitorare la crescita e l’adattamento della Spirulina (Spirulina platensis) all’ambiente spaziale e dimostrare le capacità di fotosintesi, produzione di ossigeno, riciclo di azoto e produzione di biomassa edibile.

 

Tirando le somme

Man mano che queste tecnologie crescono e maturano si avvicinano anche obiettivi che oggi paiono fuori portata, come stazioni lunari o missioni umane su Marte.

I margini di miglioramento sono infiniti e il potenziale è incredibile: ESA e NASA trainano la ricerca a ritmi molto alti e tutto ciò ha enormi ricadute anche sul mondo civile.

I problemi risolti per sviluppare l’attuale generazione dell’ECLSS hanno aiutato a creare sistemi di depurazione delle acque molto efficienti e basso costo di cui si trovano alcuni esempi nelle zone più dimenticate del pianeta, mentre lo sviluppo delle prossime generazioni potrebbe riservare anche piccole rivoluzioni, dal controllo microbico alla produzione di cibo e biocombustibili all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica.

 

 

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Fonti