Aspettando l’ultimo round – 7

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Non esiste onore senza una coscienza immacolata, bisogna essere belli, alti, svegli e sempre coraggiosi. In un certo senso, il mondo ti fotte.

“Ehi lei, lei con la sigaretta in bocca!”
Hank, il ragazzo ce l’ha con te…”
“Uh?”
“Si può sapere perché prima mi ha riempito di pugni?”
“…e così le mie poesie sarebbero cacca eh?”
“Come scusi?”
“Vieni qui ragazzo, devo parlarti. Ma avvicinati, non voglio che Stanley ci senta”

Tre passi e gli fui davanti. Aprì la bocca come per dire qualcosa, fece per accostarsi al mio orecchio e mi centrò sulla pancia con un destro, poi fu la volta del solito sinistro sul mento. Riaprii gli occhi mentre uno schiaffo mi beccava sulla guancia. Non finiva mai.

“Si è svegliato”
“Lo vedo. Slegalo” qualcuno disse da un interfono.
Una faccia diversa da quella che mi aspettavo tagliò i miei lacci con un coltello fin troppo affilato. A quanto pare Paolo non era l’unico mastino al soldo del vecchio sconosciuto.
“Dagli una ripulita e portalo nello studio, Pietro. Io vi aspetterò lì” continuò la stessa voce .

Altri momenti dal sapore di cianuro mentre il tipo mi sollevò di peso e senza tanti complimenti mi invitò a lavarmi in fretta; si accostò alla porta del bagno e mi diede 2 minuti. Uno specchio dispiaciuto mostrava una ferita all’altezza dello zigomo destro, le costole mi davano parecchio fastidio e le corde erano state legate molto bene. Troppo bene, avevo le mani bluastre.

“Muoviti”

Quel bastardo si era divertito mentre ero ancora steso a terra, almeno se fossi stato cosciente avrei opposto una certa resistenza. Non che sarebbe servito a molto, Pietro sembrava il fratello maggiore di Paolo, giusto un po’ più robusto ma senza la sottile sagacia del fratellino. Che era pressoché muto. Fui condotto a spintonate dalla mia vecchia conoscenza che non conoscevo affatto.

“Bentornato…” stavolta ebbi modo di notare il suo sorriso sottile, la dentatura perfetta e vagamente vampiresca, la signorilità del suo corpo, slanciato senza esagerare, minuto, ricolmo di una sicurezza indegna che i suoi occhi neri lasciavano trasparire ad ogni istante.

“…si sieda.” proseguì il mio mefistofelico ospite. Obbedii. Ero meno stordito della volta prima, ma più dolorante. Il terrore non mi attaccò subito alle gambe, stavolta se la prese con comodo, partendo dal basso ventre. Stavolta era peggio. Capii subito che facevano sul serio e che ora, per qualche motivo, ero davvero in pericolo. Non ebbi il coraggio di dire nulla e dopo qualche attimo in cui mi ero limitato a fissarlo il mio antagonista prese la parola, metà avvocato corrotto e metà mafioso perbene. Sempre che questo in qualche altro universo fosse possibile.

“Credevo che lei fosse un tipo sveglio”
“…eh?”
“Dovrebbe aver capito che con noi non si scherza. Avanti, fuori quel plico. Non la faccia tanto lunga, Pietro ha degli ottimi metodi per farla parlare. Sia furbo, andiamo.”
Oh Gesù…credevo avesse capito che io non c’entro assolutamente nulla. Dico sul serio, io non ho la benché minima idea di dove sia finito quel pacco, non so cosa contenga, non so perché ce l’avete con me e cosa diavolo vi ho fatto io. Ascolti, la prego, prima che mi rivolga alla polizia, questo è l’ultimo avvertimento… mi lasci andare e mi scorderò di questa storia” dissi esterrefatto, in modo stupido e sincero.
La mummia fece un gesto e Pietro si avvicinò alla mia sedia sorridendo.

“Se parli ora ti spezzo solo il braccio sinistro…”

Avevo bisogno di un po’ di tempo per riflettere su un’offerta così vantaggiosa, ma in quella circostanza chiedere un paio di minuti per pensare mi sembrò vagamente scortese. Pietro mi afferrò un braccio.

“Non qui. Portalo nello scantinato” lo ammonì il mucchio d’ossa.
“Mmmhh….vieni” disse il bestione prendendomi per una spalla.
“Se non possiamo averlo noi non lo avrà nessun altro. Addio ragazzo” disse il vecchio fissandomi coi suoi occhi ipnotici.

Ero semplicemente bloccato. Scendemmo per le infinite scale a chiocciola dal Purgatorio al mio Inferno personale. Non volevo pensare, ero istupidito dalla paura e mi muovevo a piccoli passi senza neanche cercare una via d’uscita; la situazione era talmente assurda che l’avevo accettata senza batter ciglio, così com’era. Peccatore in un limbo di colpevolezza latente, non sapevo perché stesse succedendo una cosa simile, eppure stava succedendo ugualmente; Pietro sorrideva e mi spingeva in avanti mentre immagini di sacrificio si stagliavano sulle pareti dello scantinato. O almeno nella mia mente.

Stavo mollando la presa, la realtà sfumava sempre di più in una sorta di universo lontano e parallelo anche se a pochi metri da me la vita scorreva normalmente, dietro alla parete c’era una strada, delle persone, forse aiuto. Quel muro era così piccolo ed insignificante che non era nemmeno segnato sulle cartine della planimetria, ne ero certo; in sostanza stavo per essere torturato in un oceano di nulla. Pietro aprì una porta più malconcia delle altre, non ebbe neppure il bisogno di dirmi di entrare: lo feci da solo, remissivo e rassegnato come un personaggio kafkiano.

Accese la luce sadico e gigantesco, non poteva andarmi peggio; avrebbe fatto tutto con estrema lentezza, senza neanche farmi delle domande. Mi avrebbe spezzato le ossa solo per il piacere di farlo. Mi girai per fissarlo in un ultimo slancio di orgoglio: adesso giurerei che in quell’istante sia successo qualcosa, una specie di sdoppiamento di personalità. Un lampo, poi la scena proseguì.
Come in un brutto sogno.

“Divertiamoci un po’, prima” mi disse ghignando mentre si toglieva l’enorme giacca. Era quello che temevo, la rivincita di Golia.
“Ok ragazzo” mi disse la solita nocetta “vedila così: forse hai una possibilità di uscirne vivo”. Il bestione lasciò la guardia totalmente scoperta, provai a centrarlo con un diretto allo stomaco giocando d’anticipo ma ero maledettamente lento, scoordinato e prevedibile. Schivò quasi senza muoversi, poi iniziò a prendermi a sberle, come se volesse punirmi, come avrei fatto io con qualcuno di una taglia irrimediabilmente inferiore alla mia. Sentii il sangue scorrere sulle guance, cercavo di parare e difendermi il più possibile ma non c’era nulla da fare, mi stava distruggendo a sberle dirette sulla faccia.

“Vera forza non è qui, è qui”, ripeteva il maestro di Kung fu indicando prima le braccia e poi la testa, ma in quel momento non mi trovavo molto d’accordo con lui e avrei tanto voluto dirgli “no no, vera forza è qui, senti che sleppe!”. Pietro si stufò presto e mi mise a sedere sul pavimento con un manrovescio un po’ più duro degli altri. Cercai di rialzarmi e tastando le piastrelle con le mani trovai qualcosa: delle bottiglie di vino rosso. Ce n’era un’intera cassa.
Potevano essere la mia salvezza, iniziai a lanciargliele addosso una dopo l’altra con la mira di un poliziotto irlandese. E perciò ubriaco: lo mancavo 2 volte su 3. Riuscii a tenerlo a bada per un po’ ma ben presto le mie munizioni finirono: ero fregato, senza più alcuna speranza.

Avevo solo aumentato la sua rabbia senza quasi neppure sfiorarlo; Pietro iniziò ad avvicinarsi in modo lento e teatrale, fissandomi con occhi maligni e sicuri. Presi a guardarmi attorno con la velocità della preda impaurita: pavimento liscio e polveroso, una sedia dietro il colosso e un crocifisso sopra la mia testa, appeso al muro. La sedia era irraggiungibile, mi restava solo il crocifisso, e fu così che mentre il mio aguzzino partiva col suo ultimo, definitivo attacco afferrai il Cristo ed abbassando la testa lo usai a mo’ di baionetta, conficcando la parte lunga della croce proprio tra le gambe del gigante. Il suo destro restò fermo a mezz’aria, Pietro urlò con una voce acuta e lievemente ambigua, accasciandosi al suolo mentre il viso si colorava di viola ed assumeva un’espressione umiliata e sconfitta. Lo scavalcai, presi la sedia e gliela tirai sull’addome per poi lanciarmi in una fuga disperata ed ubriaca, non prima di essermi ricreduto un minimo sul valore estrinseco della religione.
I suoi lamenti impazziti rimbombavano in tutto il buio scantinato mentre chiedevo alle mie gambe un ultimo sforzo; terminate le scale mi ritrovai al pianterreno ed intravidi la porta d’uscita. La fissai, e una luce divina illuminava i vetri colorati, guidandomi così alla meritata salvezza. Attraversai l’ampio atrio avanzando di colonna in colonna come se avessi dimenticato come si cammina, procedevo vacillando in preda ad una tensione nervosa inimmaginabile quando una mano sbucò dalle mie spalle per poggiarsi delicatamente sul mio collo.
Premette un po’ sul nervo. Poff. Persi i sensi fissando la luce azzurra che baciava il marmo del pavimento, e mentre cadevo un pensiero scuro mi trapassò la mente: l’ultimo round mi aveva fatto suo.

Sognai. In una specie di delirio religioso, io che religioso non ero, sognai Pietro e Paolo crocefissi assieme al vecchio che aveva ordinato la mia cattura; sognai la statuetta della Vergine all’ingresso del palazzo dove vivevo, mi sorrideva. Sognai Chiara rinchiusa dentro un pacco delle Poste Italiane, al posto del francobollo una piccola grata da cui entrava l’aria. Poca aria, non erano ammessi ritardi nella consegna. Sognai il frate francescano vestito da postino e lo vidi versare del vino rosato nella mia cassetta delle lettere.
Mi svegliai nella stessa chiesa di qualche ora prima, tumefatto e sconvolto. Mi misi a piangere prima di rovinare in ginocchio con gli occhi bassi e il morale sottoterra.

CHI C’È??” si ripeteva la voce della volta scorsa. Non risposi, singhiozzavo copiosamente in preda ad una crisi isterica insopportabilmente cognitiva. In un modo o nell’altro l’ultimo round continuava ad evitarmi in modo studiato. Non finiva mai.
Passi rapidi e leggeri, presto una mano si posò sulla mia testa ed una voce quieta disse:

“Ah sei tu…alzati forza. Su. Su. Io e te dobbiamo parlare”
Tirai su col naso e mi aggrappai alla sua persona. Il frate francescano mi aiutò ad alzarmi in piedi e mi trascinò di peso fino in sagrestia. Mi sedetti a stento su una sedia semirotta.
“Come ti chiami?” mi chiese.
“Gabriele…”
“E il tuo cognome?”
“….Spinelli”
Rise per qualche secondo. Poi, tornando con gli occhi sul mio viso, ridiventò serio:

“ Che cos’hai capito di tutta questa faccenda?”
Scossi la testa. Ripresi a piangere e a singhiozzare. La sua mano mi alzò il mento e quel gesto e la sua voce mi dissero, assieme:
“Coraggio…”
“Padre…chi è questa gente? Non so di che parlano, che vogliono, io non ho quel pacco…”
Ti credo. Ce l’ho io, infatti” tagliò corto il monaco. Stavo per svenire di nuovo.
“……c-come?”
“Sarà bene che ti spieghi tutto. Hai mai sentito parlare degli O.G.M.?”
“Organismi geneticamente modificati…si, ma cosa c’entrano adesso…! stavo perdendo il lume della ragione, un frate che mi parlava di genetica. Praticamente come Naomi Campbell che tiene una conferenza sui brufoli.
“Chi credi che sia la persona che sta dietro a tutto questo? Chi credi ti abbia fatto rapire? Ce l’hai una vaga idea di quale organizzazione hai contro ragazzo?”
Un “cazzo ma io non ho fatto niente” stava per uscirmi dalla bocca, ma riuscii a restare zitto. Pensai alla Gladio, pensai alla P2, pensai a MacDonald, pensai ad una fusione di tutte e tre le cose ma soprattutto pensai alla mia prossima fine in un pilone di cemento.
“Una multinazionale forse, credo”
“La più grossa multinazionale di tutto l’universo figliolo. La Chiesa Cattolica.”

Lo guardai come un folle, piegando la testa per tre quarti.

“…o meglio, una parte della Chiesa Cattolica. Tra qualche giorno il Vaticano deve dare ufficialmente una risposta sull’uso di organismi geneticamente modificati per la risoluzione del problema “fame nel mondo”. Ovviamente ti rendi conto delle conseguenze economiche delle due differenti posizioni. Gli interessi che stanno dietro una situazione del genere sono incalcolabili. Se il Papa dice sì, daranno il via alle prime piantagioni, e da lì partirà un nuovo business, grande come tutta l’Africa. Se dice no, avrà contro metà delle industrie americane. E allora sarebbe un grosso guaio, grande come tutta l’America.”

Africa, America. Affari, guai. Non ci stavo capendo niente. Feci sì con la testa, ma io e l’economia eravamo due rette parallele. Il frate intuì e proseguì con la spiegazione:

“Si tratta di poter utilizzare o no questa nuova tecnologia genetica che abbatterebbe i costi di produzione delle derrate alimentari. La mia personale opinione è che la roba da mangiare c’è, ma laggiù nessuno ha i soldi per comprarsela. Anche con l’ausilio della genetica il problema non verrebbe eliminato e si andrebbe solo ad arricchire gli speculatori.

Ma la questione principale è se i cibi geneticamente modificati facciano male alle persone e all’ambiente una volta digeriti e rimessi in circolo. Qualcuno era contrario al loro uso, molti altri a favore, e allora si era pensato di condurre internamente uno studio scientifico in modo da eliminare ogni dubbio. Qualche tempo dopo però i piani alti misero a tacere tutto, delegando l’analisi ad un importante laboratorio estero; i risultati della ricerca sarebbero stati inviati tramite le poste italiane, come una qualsiasi lettera per evitare sospetti, ad un collaboratore della Santa Sede. Un tal Gabriele Spinetti, ex burocrate del Vaticano. Indovina dove abita questo tizio, o meglio, dove abitava, prima di sparire”
“Dalle mie parti?” il puzzle si stava componendo. Troppo velocemente, chiesi un bicchiere d’acqua, ma la mia richiesta venne ignorata.
“Tra un minuto. Dalle tue parti. Come avrai capito c’è stato un errore nella consegna. Spinetti è scomparso da due settimane, poco prima mi aveva telefonato dicendo di sentirsi osservato. Era preoccupato perché il plico non era ancora arrivato e si sentiva scottare la terra sotto ai piedi. Io devo fare in modo che quel pacco arrivi a Roma integro e ancora sigillato”.

Misi in moto il cervello: i due erano amici o quantomeno si trovavano dalla stessa parte, Spinetti aveva telefonato al frate piagnucolando aiuto ma poco dopo era stato rapito, e ora non se ne avevano più tracce. Forse Pietro si era lasciato prendere la mano. Il frate aggiunse altri dettagli, dicendomi che aveva chiamato le poste centrali e dopo qualche giro burocratico era riuscito a parlare col postino di quella zona; il tizio si ricordava di un pacco, un plico particolare sì, ma il nome sulla busta era scritto male, forse colpa della pioggia. Lui comunque aveva fatto il suo dovere e l’aveva consegnato al probabile destinatario. Così Frate Simone era arrivato fino a me ed era riuscito ad impossessarsi del plico sfilandolo dalla mia cassetta delle lettere e se l’era svignata.
Questo però non spiegava la telefonata e il mio coinvolgimento nella faccenda, forse il postino era stato contattato una seconda volta dai miei vecchi amici, i due bisonti e l’avvoltoio avvizzito. Il frate ruppe il mio labirintico tentativo di investigare con una domanda di grande effetto:

“Lo sai almeno chi ti ha portato qui?”

Effettivamente non lo sapevo, e per ben due volte mi avevano lasciato in quella stessa chiesa. Delle due, in particolare la seconda mi aveva sorpreso: già mi vedevo spacciato nelle mani di un mastodontico eunuco che aveva voglia di rivalsa quando qualcuno mi aveva salvato stordendomi e portandomi via. Ma chi? E perché mi aveva stordito se voleva salvarmi?

“No, non lo so…”
“È stato Paolo, il…”
“…il gorilla?”
“…il mio novizio.”

Il labbro iniziò a tremarmi, mi presi la testa tra le mani e mi smarrii di nuovo nella solitudine del pianto. Solo dopo un paio di minuti arrivò l’atteso bicchiere d’acqua, con due aspirine per contorno. Le mandai giù entrambe con la disperazione negli occhi e mi domandai in che razza di disastro mi ero cacciato. Le due fazioni ecclesiastiche stavano giocando a ping pong usando me come pallina, ancora ignoravo chi fossero i buoni e chi i cattivi, ma gli uni mi avevano intagliato la faccia a schiaffi, gli altri mi avevano accolto come si fa con un pellegrino smarrito. Decisi di stare dalla parte del francescano.

“Paolo… ma se è stato lui a consegnarmi nelle mani di quegli avvoltoi… no, non è possibile”
“Ti dico che è così. Paolo si è infiltrato tra di loro da qualche mese per tenere d’occhio la situazione. E da quello che mi ha raccontato si è limitato a stordirti, anche se sinceramente non sei messo proprio bene, hai una gran brutta cera. È stato lui a portarti da me. A proposito, rimarrai qui stanotte, è più sicuro. Domani decideremo dove mandarti”.

Mi alzai in piedi fissandolo negli occhi. Se i cattivi mi avevano spiato allora dovevano aver assistito anche alla mia recente conquista.

“Non posso. Devo andare da Chiara, la mia…ragazza. A quest’ora l’avranno già… – tremai – …contattata…”
Cercai nella rubrica il numero di Chiara e provai a chiamarla. Il suo telefono era spento. Mi girai verso il frate, lui annuì col capo e mi lasciò andare, urlandomi dietro:

“Portala qui, sbrigati. Al ritorno mi troverete in sagrestia. Corri!

 

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