Ho atteso troppo tempo dall’uscita nelle sale per scrivere questa recensione e il motivo è che sono andato a vedere il film molto tardi, non perché la pellicola della Toei non mi interessasse, ma perché ero davvero dubbioso sulla sua riuscita.
Un istante ripetuto nel tempo diventa eterno…
è questa la libertà!
Da assiduo fruitore della serie sin dagli albori, quando era approdata sulla Rai e su Telesanterno, ho continuato a seguire le vicende del pirata spaziale in tutte le varie incarnazioni che il suo autore, il grande Leiji Matsumoto, ha saputo dare a questa figura attraverso le serie televisive, il manga e i film di animazione.
In questo susseguirsi di trasfigurazioni il personaggio di Harlock è mutato, talvolta perfino nel nome, a seconda delle esigenze richieste del messaggio sotteso alla trama che si voleva raccontare.
Vedendo la prossima uscita di questa pellicola integralmente realizzata in CGI è stato più che legittimo il dubbio su quale dei tanti pirati avrei visto davanti allo schermo.
Dopo la proiezione posso dire che per quel poco che si vede Harlock tenta di accontentare più o meno tutti i suoi fan mantenendo quelli che sono i capisaldi del suo personaggio, fatto di poche parole, di inespressività, di benda e cicatrice, ma finendo con l’essere relegato a mero strumento per raccontare un’altra trama.
Una storia di odio familiare che si consuma sullo sfondo di una guerra epocale e connotata da un poetico messaggio ambientalista.
Gli eventi narrati nella pellicola si susseguono volutamente seguendo il linguaggio degli anime, tra profondissime spiegazioni alternate a scene di esagerata spettacolarità in cui ogni personaggio dà prova di abilità superiori, ed è il caso di precisare che chi va a vedere un film come questo cercando credibilità non ha certo capito l’approccio con cui sedersi al cinema.
Siamo di fronte a un film che parla di passaggi generazionali, di mutamenti e rivoluzioni e utilizza il personaggio come mero pretesto.
E’ un classico escamotage a cui ci hanno abituato tante produzioni nipponiche e che qui trova l’ennesimo sviluppo, senza però costituire un difetto.
Guardando la pellicola non ho potuto fare a meno di raffrontare lo stile e le animazioni ad altre opere giapponesi realizzate con la stessa tecnica ed in particolare l’ormai datato Final Fantasy: The Spirits Within rispetto al quale Harlock compie un’evoluzione incredibile sotto il profilo tecnico e qualitativo.
Onestamente la mia mente ha dovuto abituarsi prima di apprezzare appieno la purezza della computer grafica impiegata perché per i primi minuti avevo l’impressione di assistere ad una delle tante cut-scenes dei moderni videogames.
La perfetta realizzazione dei volti è un dato di fatto, ma per alcuni personaggi, i decani, ho notato una certa gommosità che da l’impressione di essere dinanzi ad attori che indossano mascheroni di lattice.
Nulla da dire per protagonisti e comprimari, realizzati con uno stile accattivante e curati nei minimi dettagli.
Analogo discorso per quel che riguarda il mecha design che riprende il particolare stile di Matsumoto, fatto di oblò, visori e vistosi ingranaggi, dandogli una spinta in più.
In un prodotto come questo i difetti da trovare possono essere oggettivi e soggettivi. Sotto il primo punto di vista posso dire che la trama non è sorretta da una sceneggiatura del tutto completa. Alcuni passaggi vengono spiegati da flashback e parecchie situazioni si trascinano per lungo tempo trovando poi soluzione in un lampo, con un semplice sguardo o in un discorso di pochi secondi.
Sinceramente in un film dedicato al personaggio di un anime si può tranquillamente soprassedere su questo punto, forse i veri difetti della pellicola sono da rinvenire sotto il profilo tecnico in alcune inquadrature forzatamente spinte per enfatizzare l’effetto 3D e in altre scene riempitive ma del tutto inutili come la doccia di Yuky.
Da un punto di vista soggettivo, e quindi puramente personale, mi è spiaciuto non vedere su schermo le controparti digitali di alcuni personaggi, non dico che volessi vedere la vecchia Masu, ma magari sarebbe stato poetico sentire il suono di una certa ocarina…
Si tratta però di dettagli dettati da una visione personale del personaggio fatta per lo più di nostalgia perchè per il resto questo film ha tutto, Yattaran, Yuki, Harlock con benda cicatrice e sparviero, il supercomputer senziente e l’aliena sexy Meeme.
Un’altra carenza a mio modo di vedere è data dal poco spazio dato ad Harlock, ma una volta arrivati alla fine del film, quando si assiste al vero messaggio di libertà che viene colto dal protagonista, si comprende che si tratta di una scelta voluta dalla sceneggiatura forse proprio per rimanere in linea con quella ingenua drammaticità dell’opera originaria.
Alla fine quello che manca alla pellicola l’ho trovato da solo, rimanendo soddisfatto dell’evoluzione, scontata ma sicuramente scenografica, del protagonista Yama, oltre che dal restyling dato all’Arcadia ma soprattutto dall’epicità di alcune scene di combattimento nello spazio che non mi facevano saltare sulla sedia da troppo tempo.
Al pari di Pacific Rim Harlock è un film dedicato agli amanti di un genere, e come tale non può accontentare tutte le aspettative di chi per anni ha sognato di vedere l’incarnazione (anche se qui si dovrebbe piuttosto parlare di digitalizzazione) dei propri eroi sul grande schermo.
Tolto il personaggio la pellicola della Toei è un tripudio di epicità e buoni sentimenti incorniciata da effetti speciali epocali che hanno fatto girare la testa a James Cameron e a tanti dopo di lui ma che tutto sommato rischierebbe di passare inosservata… ma per fortuna c’è il pirata!
pubblicato in contemporanea su schermosplendente.