Vi siete mai chiesti perché la Marina Militare Italiana celebri la sua festa il 10 Giugno? Era il 10 Giugno del 1918 quando il capitano Luigi Rizzo mise in scena la sua personale interpretazione del mito di Davide e Golia.
Alla guida di due piccoli motosiluranti, con il favore delle tenebre e una discreta dose di coraggio, penetrò nella formazione navale nemica e colpì le due corazzate alla testa dello schieramento, affondandone una.
L’Impero Austro-Ungarico perdeva così, alla sua prima missione, una delle corazzate più grandi e costose mai costruite fino ad allora.
Tale fu l’impatto dell’affondamento sul morale della Marina Imperiale che da quel momento in poi sospesero ogni attività sul mare.
La guerra nell’Adriatico: la Marina Imperiale e le sue corazzate
Verso la fine del XIX secolo l’Impero Austro-Ungarico aveva ammassato una discreta flotta nel porto di Trieste.
La città giuliana era la porta degli asburgo sul mare.
Trieste fungeva da base per le difese navali delle roccaforti disseminate lungo la costa della Dalmazia.
Agli inizi del Novecento la k.u.k. Kriegsmarine (che nella lingua dei crucchi sta per Imperiale e Regia Marina da Guerra, viva la modestia!) cominciò un programma di modernizzazione della flotta volto a contrastare il consolidamento del suo giovane vicino, il Regno d’Italia.
Quando scoppia la Prima Guerra Mondiale questo processo è ancora in atto, ma l’Impero può comunque contare sulla nuova base di Pola, su circa 400 unità, tra cui alcuni sommergibili, ma soprattutto le quattro grandi corazzate di Classe Tegetthoff da poco varate.
Ed eccolo qui, il nostro Golia di acciaio e cannoni in tutto il suo imperiale splendore: la SMS S.Stefano o Szent Istvàn.
A differenza delle altre tre (SMS Viribus Unitis, Tegetthoff e Prinz Eugen) che furono costruite negli Stabilimenti Tecnici Triestini, la Szent Istvàn fu costruita nei cantieri navali ungheresi di Fiume in conseguenza degli accordi del compromesso Austro-Ungarico (Ausgleich) con il quale venne concessa, nel 1867, una maggiore autonomia alla componente ungherese dell’Impero.
Ad ulteriore conferma della sua origine “ungherese” le fu assegnato il nome del santo patrono dei magiari, Santo Stefano d’Ungheria.
Ultimata il 17 Gennaio 1914 entrò in servizio solo il 17 novembre 1915, a conflitto già iniziato, mancando così il bombardamento della costa di Ancona, effettuato il 24 Maggio 1915 dalle sue “sorelle”, Tegetthoff e Prinz Eugen, come rappresaglia per la discesa in campo da parte del Regno d’Italia al fianco di Russia, Francia e Inghilterra.
Ben presto però l’Adriatico si rivelò poco adatto alle navi di grande stazza e più congeniale ai sottomarini, che infatti i tedeschi inviarono in grande quantità, allo scopo di forzare il blocco che le flotte dell’Intesa posero sul canale di Otranto.
Ma di quello parliamo dopo…
Alla fine della fiera, le navi maggiori della flotta imperiale si limitarono ad incursioni sporadiche e la Szent Istvàn nello specifico, fatta eccezione per alcune esercitazioni, rimase per la maggior parte del tempo ferma in rada nella base di Pola, a lucidarsi i cannoni in attesa del suo grande giorno.
La Regia Marina e i MAS
Dopo le batoste rimediate nella Battaglia di Lissa, nel 1866, la Marina del Regno d’Italia decise di rimboccarsi le maniche.
Cominciò un programma di modernizzazione che portò alla realizzazione di mezzi all’avanguardia, come le corazzate Enrico Dandolo, Caio Duilio, Italia e Lepanto (tutte su progetto di Benedetto Brin), modelli di eccellenza e pietra di paragone per le altre marine mondiali.
A differenza dell’Impero Austro-Ungarico, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale la Regia Marina non investì nella realizzazione di altre grandi corazzate ma concentrò i suoi sforzi sulla progettazione di navigli leggeri e veloci, più adatti a sfruttare la conformazione geografica della nostra penisola ed i suoi bassi fondali (inadatti ai grandi scafi) e perfetti per incursioni lampo tra le linee nemiche.
Una scelta a dir poco lungimirante, come confermerà Luigi Rizzo.
Nei cantieri SVAN di Venezia videro la luce i MAS, acronimo di “Motoscafo Armato Silurante” o anche “Motoscafo Anti-Sommegibile” vista la loro versatilità ed il loro potenziale offensivo, che consisteva di un paio di siluri (o torpedini, tra l’altro sviluppati proprio dagli austriaci una cinquantina di anni prima a Fiume) e bombe di profondità.
Montava inoltre una mitragliatrice e/o un cannoncino, per ogni evenienza.
Ed ecco qua il nostro Davide, il MAS 15.
Come le corazzate progettate dall’ingegnere Brin, anche i MAS disegnati da Attilio Bisio erano, all’epoca, dei veri prodigi della tecnica.
Con un dislocamento medio di 20/30 tonnellate e una velocità di punta di circa 20 nodi* si rivelarono una vera e propria spina nel fianco per la Marina Imperiale.
Partendo dalle basi di Venezia, Grado e Valona i MAS si rivelarono fondamentali per azioni di forzamento dei porti austriaci nell’Alto Adriatico e non solo per operazioni di sminamento e di pattugliamento contro i sottomarini.
Già prima dell’affondamento della Santo Stefano, infatti, Luigi Rizzo ed i MAS dimostrarono più volte la loro efficacia con una fortunata serie di audaci incursioni.
Due in particolare meritano di essere ricordate e contribuiscono a chiarire la straordinaria versatilità dei mezzi e la determinazione degli uomini.
La prima, nella notte tra il 9 ed il 10 Dicembre 1917, nell’anno di guerra più difficile per l’Italia, porta all’affondamento nel bel mezzo del porto di Trieste della corazzata SMS Wien, ad opera, manco a dirlo, dei MAS 9 e 13 comandati da Rizzo.
Non passarono neanche due mesi che Rizzo, stavolta in compagnia di Gabriele D’annunzio e Costanzo Ciano, ne combinò un’altra delle sue.
I MAS violarono le maglie del sistema difensivo austriaco passando sotto il naso di diverse postazioni difensive, entrarono nella Baia di Buccari, fin dentro al porto, e lanciarono 6 siluri contro dei piroscafi alla fonda.
Essendo protetti da reti anti-siluro i danni furono pressoché nulli, ma se anche non ci fu danno di sicuro ci fu la beffa.
L’epidodio è infatti noto come la “Beffa di Buccari” in quanto all’interno del porto, prima di lanciare i siluri, gli Italiani ebbero il tempo di lasciare tre bottiglie su dei galleggianti con all’interno un simpatico messaggio di saluto vergato da D’Annunzio.
Ovviamente tutto ciò fece rosicare non poco la Marina Imperiale, che di Rizzo e dei suoi MAS cominciava ad averne le scatole piene.
Per cui, la notte del 4 aprile un commando di circa 60 marinai austriaci incazzati come bisce sbarcò nei pressi di Falconara Marittima con la missione di penetrare nel porto di Ancona, uccidere gli equipaggi di Rizzo, affondare i sommergibili e catturare i motoscafi lì ormeggiati per tornare a Pola.
Fortuna volle che le “spie” fossero scoperte, anche se praticamente all’ultimo secondo, e si arresero… perché impossibilitate a compiere la missione visto che dei MAS al porto non c’era traccia.
Erano infatti praticamente tutti usciti di pattuglia. Quando si dice la fortuna…
Il Blocco di Otranto
Durante la Grande Guerra il Canale d’Otranto aveva un’importanza strategica fondamentale.
Era infatti l’unica via d’accesso al Mediterraneo per la Kriegsmarine e quindi il punto di passaggio obbligato da controllare se volevi andare a farti una bella crociera per il mediterraneo aiutare i tuoi amichetti degli Imperi Centrali a prendersi a cannonate con gli Stati dell’Intesa nella Battaglia del Mar Mediterraneo.
Quando nel 1915 l’Italia si schierò con l’Intesa era quindi ovvio che la Regia Marina avrebbe messo i bastoni tra le ruote agli austro-ungarici.
Il Canale d’Otranto è largo all’incirca 70 km quindi non difficile da pattugliare e difendere, ma il vero problema erano i sottomarini, che facevano un po’ quel che volevano.
Da questo punto di vista il blocco fu attuato piuttosto maldestramente. Solo una ventina di pescherecci, “armati” di “reti rilevatrici” in acciaio, pattugliavano il canale, supportati da cacciatorpediniere ed aerei.
I mezzi a disposizione non erano molti, dal momento che la Campagna dei Dardanelli e altre operazioni navali nel mediterraneo avevano la priorità, ed infatti in quasi due anni di blocco solo un sommergibile fu così fesso da cadere nelle reti venne catturato dalle reti.
Dopo la caduta dell’Impero Russo e la discesa in campo degli Stati Uniti il blocco fu rafforzato, rendendo di fatto impossibile ai vascelli di superficie il passaggio, ma i sottomarini continuarono a passare indisturbati tra le maglie di una rete poco efficace.
Fu solo quando nel 1918 si completò uno sbarramento fisico dell’intero canale, con reti e mine, che il blocco poté dirsi completo ed efficace.
Ora nemmeno i sommergibili riuscivano a passare e ciò condusse l’ammiraglio Miklós Horthy, comandante in capo della Marina Imperiale, a tentare di forzare il blocco.
Il piano di Horthy
Fino a quel momento il blocco era stato attaccato ben 19 volte, ma non era mai stato forzato.
L’ammiraglio Horthy era presente a 4 di questi attacchi in qualità di comandante della SMS Novara, quindi conosceva bene il canale d’Otranto, e la sua nomina ad ammiraglio lo aveva finalmente messo nella posizione di gestire l’attacco in maniera diversa.
Mette quindi a punto un attacco combinato su larga scala che dovrebbe, senza troppi rischi, forzare il blocco ed aprire la via verso il mediterraneo.
L’offensiva pianificata da Horthy richiedeva l’impiego di gran parte della flotta, articolato in un gruppo d’attacco ed un gruppo di sostegno.
Il gruppo d’attacco era diviso in due “sezioni”:
- Sezione Novara: 2 incrociatori leggeri (Novara e Helgoland) e 3 cacciatorpedinieri (Tatra, Csepel e Triglav) incaricati di attaccare le forze addette al servizio di sbarramento del Canale d’Otranto.
- Sezione Admiral Spaun: 2 incrociatori leggeri (Admiral Spaun e Saida) e 4 torpediniere che avrebbero dovuto bombardare gli impianti di Otranto.
Il gruppo di sostegno era invece costituito dalle unità maggiori, ovvero le 4 nuove grandi corazzate di Classe Tegetthoff e 3 corazzate pre-dreadnought di Classe Erzherzog, scortate ognuna da un paio di cacciatorpediniere e 4 o 5 torpediniere.
Secondo i piani dell’ammiraglio Horthy l’offensiva del gruppo d’attacco avrebbe indotto il comando italiano a far salpare i propri incrociatori dai porti di Valona e Brindisi per inseguire le navi austriache, attirandoli cosi in una trappola.
I vascelli del gruppo di sostegno avrebbero infatti atteso nelle posizioni assegnate in modo da accerchiare le forze italiane e distruggerle grazie alla soverchiante potenza di fuoco e al supporto di sommergibili ed aerei.
La notte dell’8 giugno 1917 il primo squadrone, guidato dalle due corazzate Viribus Unitis e Prinz Eugen salpa diretto verso sud per prendere posizione.
Il giorno successivo, con qualche ora di ritardo (dovuta alla assoluta segretezza della missione per cui il presidio del porto di Pola non era stato informato) rispetto al previsto anche la Szent Istvàn e la sua gemella Tegetthoff lasciarono il porto di Pola, scortate da una numerosa formazione di torpediniere.
Tale era la certezza della Marina Imperiale nella riuscita della missione che sulla Tegetthoff era imbarcata una squadra di cineoperatori, fotografi e giornalisti attrezzati in modo da documentare la grande vittoria prevista per l’indomani.
Quando si dice tirarsi la zappa sui piedi da soli…
L’attacco dei MAS di Rizzo
Intanto, quello stesso giorno, Luigi Rizzo suonava il mandolino e mangiava pizza era partito nel tardo pomeriggio da Ancona verso la costa dalmata con due MAS, scortati da alcune torpediniere.
La loro missione era di perlustrare la costa e smantellare eventuali campi minati.
Dopo diverse ore senza incontrare ostilità i due MAS invertirono la rotta per tornare al punto di rendez-vous con le torpediniere.
All’improvviso, mentre i MAS sono nei pressi dell’isolotto di Lutrosnjak, a nord di Premuda, un annoiato Rizzo scorge qualcosa all’orizzonte.
Fumo.
Rizzo concluse subito non potesse trattarsi di navi alleate, men che meno della sua scorta che l’attendeva nella direzione opposta.
Doveva quindi trattarsi degli austriaci. Data la situazione il capitano reputò inutile tentare di sfuggire ad un eventuale inseguimento, ma piuttosto preferì appurare la situazione e nel caso dare battaglia.
Di certo non si aspettava di incrociare due corazzate!
Quando si rese conto di ciò che aveva di fronte non si scoraggiò ma anzi, decise di tentare il “colpo gobbo”.
Cosciente del vantaggio della sorpresa, e col sole alle spalle ridusse la velocità per avvicinarsi ad una distanza utile per il lancio dei siluri. Il suo obbiettivo erano, manco a dirlo, le due grandi corazzate.
I due MAS procedettero a velocità ridotta per evitare di essere traditi dai “baffi” bianchi lasciati dalle loro scie e riuscirono a scivolare indisturbati tra le torpediniere di scorta.
Il MAS 15 di Rizzo arrivò a circa 300 metri dal suo obiettivo e sganciò due siluri contro la Santo Stefano.
Il primo colpì in pieno lo scafo tra il primo ed il secondo fumaiolo, mentre il secondo esplose all’altezza di quello di poppa.
Le alte colonne di fumo ed acqua resero palese la presenza dei MAS e la reazione degli austriaci non si fece attendere. Una torpediniera aprì il fuoco sul motoscafo e si lanciò al suo inseguimento.
Il capitano Rizzo fece sganciare due bombe antisommergibile e una esplose danneggiando la torpediniera e scoraggiando gli inseguitori.
Il MAS 21 del guardiamarina Giuseppe Aonzo prese invece di mira la Tegetthoff. Portatosi ad una distanza di 450 metri circa fece fuoco.
Dei due siluri purtroppo solo uno si sganciò correttamente e colpì la nave, ma sfortunatamente non esplose, causando quindi danni tutto sommato trascurabili.
A sua volta inseguito da un’altra torpediniera il guardiamarina Aonzo riuscì, grazie anche alla confusione del nemico, a distanziare gli inseguitori e riunirsi al MAS 15 per il rientro.
Troppo impegnati in manovre evasive e nella fuga a rotta di collo gli equipaggi dei MAS seppero del loro trionfo solo una volta rientrati ad Ancona alle 7 del mattino.
Solo un’ora prima,alle 6:05, la Santo Stefano, dopo ore di agonizzanti tentativi, si era ribaltata sul fianco ed era affondata definitivamente nel giro di sette minuti.
La Tegetthoff assistette impotente alla sorte della sua gemella.
I tentativi di rimorchiarla furono vani perché la Szent Istvàn cominciò ad abbattersi su un lato, costringendo la Tegetthoff a tagliare le funi per non fare la stessa fine.
I cronisti che dovevano essere testimoni di una grande vittoria ebbero invece il gravoso compito di riportare una sonora sconfitta.
Le vittime furono solo 89, su un equipaggio di oltre mille effettivi.
In parte grazie all’obbligo per i marinai austriaci di imparare a nuotare prima di poter prendere servizio (che un marinaio sappia nuotare a quanto pare è meno scontato di quello che si pensi) ma soprattutto grazie all’abilità del Comandante Seitz e dell’ufficiale macchinista Franz Dueller, che riuscirono a tenere a galla la nave abbastanza da renderne possibile l’abbandono.
Difetto fatale nella progettazione della corazzata fu, con il senno di poi, l’errato posizionamento dei locali caldaia (solo 2 delle 12 caldaie rimasero in funzione), che si allagarono subito privando la corazzata della potenza e manovrabilità necessaria ad un tentativo di rientro verso un porto vicino.
Di seguito potete leggere la descrizione dell’impresa nelle parole di Luigi Rizzo stesso:
Potevano essere le tre: era ancora notte, ma non più completamente buio.
Avevamo il rampino a mare ed incrociavamo sperando di incocciare qualcosa, ma inutilmente… A lento moto, il tempo non passava mai, sicché per far venire presto l’alba, mi mettevo di tanto in tanto al timone.
Tutto il canale di Lutrošnjak era stato rampinato: nulla.
Non ci rimaneva ormai altro da fare che salpare il rampino e ripiegare sul punto A dove avevamo lasciato le due torpediniere.
Così decido: consegno il timone a Gori e gli indico la rotta per il punto A.
Prendo un salvagente avvoltolato come cuscino e mi sdraio sul ponte, con la faccia alle stelle.
La notte è rugiadosa e mi sento intorpidito: col lieve rullio, le stelle corrono da un capo all’altro del bordo: ed io le inseguo metodicamente, mezzo assopito…
Quand’ecco, a dritta, al nord, lontano sull’orizzonte, delle nuvole di fumo! Dalla parte di Pola?
Ma allora non possono essere nostre unità: ad ogni modo è da escludere che siano le nostre torpediniere, perché quelle debbono trovarsi a ponente, verso la nostra prora.
E poi sono troppo guardinghe e fumo non ne fanno.
Dunque i fumi sono nemici.
Subito mi viene il dubbio che dalla stazione di vedetta di Gruica abbiano potuto scorgere i Mas: avranno dato l’allarme a Lussino, ed ecco che hanno inviato dei cacciatorpediniere per darmi la caccia.
Chiamo Gori e gli mostro il fumo che si fa sempre più manifesto, che si avvicina…
Noi stiamo navigando verso il largo e probabilmente chi viene alla nostra ricerca ancora non ci ha scorti, ma io sono impaziente di appurare di che si tratta.
Perciò accosto a dritta e dirigo verso il fumo.
Noi siamo pronti a tutto: del resto, anche se tentassimo di sottrarci a tutta forza, non potendo sviluppare più di venti miglia, una volta avvistati saremmo inseguiti, cannoneggiati, affondati…
Meglio approfittare della luce ancora incerta e se possibile farsi sotto ed attaccare…
A piccolo moto, seguito dal MAS 21, dirigo incontro al fumo, prendendo la rotta di collisione… Aguzzo lo sguardo ed intravedo le soprastrutture di grosse navi, forse un convoglio?
Ma quelle sono corazzate, e tutt’intorno delle siluranti!
Attento Gori! Avvertire MAS 21 che abbiamo di prua una divisione navale, certamente nemica… Il cuore mi dà un tuffo: c’è da fare buona caccia stamane…
Avvicinando il nemico mi accorsi dell’esattezza dell’ipotesi, trattandosi di due grosse navi scortate da otto o dieci cacciatorpediniere che le proteggevano di prora, di poppa e sui fianchi.
Decisi di eseguire il lancio alla minima distanza possibile e perciò diressi in modo da portarmi all’attacco passando fra i due caccia che fiancheggiavano la prima nave a una distanza di non oltre 300 metri.
I due siluri colpivano la nave, scoppiavano quello di dritta fra il primo e il secondo ciminiere, e quello di sinistra fra il ciminiere poppiere e la poppa, sollevando due grandi nuvole di acqua e fumo nerastro.
I siluri, essendo preparati per l’attacco contro siluranti, erano regolati a metri 1,5.
La nave non eseguì alcuna manovra per evitare i siluri…
Data la situazione, con l’affondamento della Santo Stefano, il danneggiamento della Tegethoff, ma soprattutto la perdita dell’effetto sorpresa, Horthy richiamò a malincuore la flotta, annullando l’attacco.
Per tutto il resto della guerra le grandi navi austriache non entrarono più in mare aperto.
L’Ammiraglio Thaon di Revel emise il seguente comunicato ufficiale:
All’alba del 10 corrente, presso le isole dalmate, due nostre piccole siluranti, al comando del capitano di corvetta Rizzo Luigi da Milazzo, attaccavano una divisione navale austro-ungarica costituita da due grandi corazzate tipo “Viribus Unitis” protette da dieci cacciatorpediniere.
Le nostre unità, audacemente oltrepassata la linea dei cacciatorpediniere, colpivano con due siluri la nave capolinea e con uno la seguente; rincorse dai cacciatorpediniere ne danneggiavano gravemente uno e rientravano incolumi alla loro base.
Il MAS 15 di Luigi Rizzo è oggi una “nave museo”, custodito nel Sacrario delle Bandiere presso il Vittoriano a Roma.
Le ancore delle corazzate Tegetthoff, Viribus Unitis e Szent István sono esposte all’ingresso ammiragli dello Stato Maggiore della Marina a Roma, davanti alla facciata del Museo Storico Navale di Venezia e nel Monumento al Marinaio d’Italia a Brindisi.
Il relitto della Santo Stefano ancora riposa lì dove è affondata, a 66 metri di profondità.
È stato oggetto di numerose spedizioni subacquee ed è divenuto oggi un’importante attrazione turistica.
- Wikipedia.it – L’impresa di Premuda
- La storia siamo noi (RAI) – L’azione di premuda
- Storia de Trieste
- Superstoria.it
- Wikipedia.it – SMS Szent István
- Wikipedia.it – Il Blocco del Canale d’Otranto
- LaGrandeGuerra.net
Per Approfondire:
- Fumo nero all’orizzonte – il MAS che sfidò la corazzata [1/5]
- Fumo nero all’orizzonte – il MAS che sfidò la corazzata [2/5]
- Fumo nero all’orizzonte – il MAS che sfidò la corazzata [3/5]
- Fumo nero all’orizzonte – il MAS che sfidò la corazzata [4/5]
- Fumo nero all’orizzonte – il MAS che sfidò la corazzata [5/5]