Il video che sto per mostrarvi e che forse avete già visto racconta l’ennesima storia di cyberbullismo e non ha bisogno di molti commenti.

 

 

Pochi mesi dopo questo video, Amanda Todd, la protagonista di questo video, si è impiccata: era il 10 Ottobre 2012.

Per vostra informazione, pare che quelli di Anonymous abbiano beccato lo stalker che ha portato a tutte le conseguenze del video.

 

NdItomi: Inizialmente questo articolo era stato inviato da BaroneBirra82 e si concludeva così. Ho deciso di continuare io e aggiungere quanto segue perché mi sembra sia necessario approfondire la questione e raccontare tutta la storia.

 

 

 

Anonymous purtroppo non ha “beccato” nessuno. Anzi, ha fatto di peggio: ha pubblicato il nome e l’indirizzo della persona sbagliata, un canadese di 32 anni che ha poi ricevuto migliaia di minacce di morte su Facebook e via email.

La polizia canadese ha infatti prima verificato la persona indicata da Anonymous e, quando ha riscontrato che non c’entrava nulla ha continuato le indagini, fino ad arrivare ad un diciannovenne di cui non si conosce l’identità (o almeno io non ho mai letto il suo nome in giro).

Tutta la storia di Amanda Todd è davvero di una tristezza infinita e mostra, nel modo peggiore, dove possono portare le interazioni sociali tra teenager quando sono così amplificate dai nuovi social media, ma soprattutto dall’ignoranza, dalla falsa morale e dal perbenismo misto a cattiveria che pervade certi ambienti.

Non so se avrete la voglia di guardare il video qua sopra nella sua interezza, io in ogni caso però voglio raccontarvi la storia di Amanda.

 

 

Il video

Il video che avete visto qua sopra è stato postato su YouTube il 7 settembre del 2012, intitolato:

My Story: Struggling, bullying, suicide and self-harm.

Sopra ho inserito il video originale che è stato visto più di 12 milioni di volte.

Usando delle flash card Amanda ci racconta la sua triste storia e il video diventa virale in poco tempo. Un mese dopo aveva già totalizzato 1.3 milioni di view, con decine di siti internet (per lo più giornali e tabloid) che lo linkavano, puntando il dita sul potere dei social media nella solita maniera che tanto ci piace /s.

 

 

La Storia di Amanda

Amanda è canadese e durante il suo settimo anno di quelle che sono l’equivalente delle nostre elementari+medie in Canada, nel 2009/2010, dopo essersi trasferita in una nuova città per abitare con il padre, decide di utilizzare la video chat per conoscere nuove persone.

Da cosa nasce cosa e, come spesso succede, Amanda viene convinta a mostrare il proprio seno in webcam. Questa scelta fatta a quattordici anni la porta ad entrare in una spirale fatta di ricatti, infamie, trasferimenti e ospedali, fino a, come sappiamo, il suicidio.

La persona che ha in mano l’immagine di Amanda a seno scoperto comincia infatti ricattandola nel più comune dei modi su internet:

Fammi uno “spettacolo”, altrimenti invierò questa foto a tutti i tuoi conoscenti

Amanda si rifiuta e, tempo dopo, viene svegliata nel cuore della notta dalla Polizia. I poliziotti la avvisano che una foto che la ritrae a seno scoperto è stata inviata a tutti i suoi conoscenti e sta ora viaggiando su internet, Facebook in primis.

Amanda è sconvolta, chiaramente, comincia a soffrire di ansia, depressione e attacchi di panico.

Si trasferisce in una nuova casa insieme al padre, ma comincia comunque ad utilizzare droghe e alcol.

Dopo un anno lo stalker riappare, crea una profilo di Facebook in cui utilizza come foto del profilo proprio la famosa foto di Amanda a seno nudo.

Comincia a contattare, con quel profilo, i nuovi compagni di classe ed amici di Amanda.

Amanda cambia scuola un’altra volta.

Passa il tempo e Amanda comincia a chattare con un “vecchio amico”. Il tutto la porta a casa di lui. Fanno sesso.

Amanda scopre poi che il ragazzo in questione aveva una ragazza, che quel giorno era in vacanza. Lo scopre nel modo peggiore: la ragazza va nella sua scuola insieme a degli amici, la attacca fisicamente, di fronte ai suoi compagni di classe. Le urla tutto quello che potete immaginare.

A seguito di questo altro incidente Amanda cade in una depressione più profonda e tenta per la prima volta di suicidarsi, bevendo candeggina.

Viene salvata dal padre che la porta in ospedale.

Tornata a casa trova ovviamente i peggiori messaggi sulla sua bacheca di Facebook. I suoi amici le augurano di morire, gli dicono di scegliere “una candeggina migliore” e cose simili.

Amanda torna a vivere a questo punto dalla madre e, insieme, si spostano in una nuova città per ripartire da capo.

Ma il passato stava per tornare ancora una volta a perseguitarla.

Lo stalker di Amanda adotta infatti un metodo specifico ad ogni cambio di scuola della stessa: crea un profilo finto e contatta gli studenti della nuova scuola in cui Amanda si è trasferita dicendogli che anche lui si trasferirà in quella scuola a breve, in modo tale da avere tra gli amici i futuri amici di Amanda.

Una volta guadagnata la fiducia e l’amicizia di queste persone gli invia il video di Amanda a seno scoperto. Il tutto ogni volta finisce quindi sotto agli occhi dei compagni di classe, dei genitori, dei professori.

Dopo altri sei mesi di questo delirio le condizioni di Amanda peggiorano sensibilmente e la madre decide di farla ricoverare per due giorni in ospedale.

Uscita dall’ospedale l’accoglienza verso Amanda è, come tutto il resto della sua storia, disarmante. La madre infatti racconta:

It didn’t really help that after she got out of the hospital recently some kids started calling her ‘psycho’ and saying she had been in the crazy hospital.

She went to the hospital, she had therapy, she had counselling, she was on a good track. On the day she gets out, that happens. I shake my head and I think, ‘Are kids really that nasty, do they really not think, what if it was them?’

Il 10 ottobre 2012, alle sei di sera, Amanda viene ritrovata impiccata a casa sua. 

 

 

Sono rimasto davvero esterrefatto quando ho letto questa storia un annetto fa e non ho voluto scrivere nulla sul blog perché faticavo davvero a farmi un’idea sull’accaduto.

Ancora oggi è fin troppo facile scadere in facili commenti, ma la verità è che fino a quando certe esperienze non le provi in prima persona è davvero impossibile commentare.

Al contrario di altri siti che riportano i “cattivi social media” come principali responsabili di questo come di altri casi simili che hanno portato al suicidio di teenager negli scorsi anni, vorrei sottolineare che il vero colpevole di tutto questo è, come spesso succede, l’ignoranza.

Non è mai lo strumento il colpevole, ma il suo utilizzatore. Spero che la storia di Amanda serva a scalfire un pochino di ignoranza dalla testa delle persone.

RIP Amanda Todd.