La morte è brutta e cattiva, facce tristi e lacrime everywhere, un brutto affare. Ma tralasciamo per un attimo il lato umano, il lutto e la sofferenza di coloro che rimangono, e pensiamo all’incidenza della morte sul lato economico.
Toccata di balle generale e introduciamo il mestiere più ovvio, figura che non porta a casa la pagnotta senza cadaveri: il becchino. Nell’Old West ogni qual volta un duro se ne usciva con la solita frase “questa città è troppo piccola per tutti e due” o “uscirai di qui coi piedi davanti”, nel fuggi fuggi generale compariva lui, sfregandosi le mani nel suo abito nero completo di cilindro, facendo bei soldoni. Non ci saranno più le sparatorie da saloon, ma in quel campo il lavoro non manca mai.
Parafrasando il codice civile, se vuoi un oggetto gratis devi ammazzare il titolare della proprietà di quel bene, e ogni altro pretendente. E’ stata una regola di comportamento molto apprezzata e utilizzata nell’antichità, prassi nota come saccheggio o, su larga scala, guerra.
Questa infatti, prima di una cosciente politica economica, è stata a lungo lo strumento di guadagno prediletto da reami e nazioni in generale: passare a fil di spada chiunque si frapponesse tra loro e la cosa desiderata. Mossa furba.
Ovviamente la guerra è un ottimo business per chi non la intraprende e per chi non ne muore: rifornimenti, mezzi di trasporto, ma sopratutto armi.
Il danaro scorre a fiumi, e va a finire nelle tasche dei vari Krupp: gli esempi storici più lampanti sono il boom economico dell’America nella prima guerra mondiale, e la ripresa degli stati europei dalla Grande Depressione grazie, tra le varie corse, al riarmo.
Non dimentichiamoci dello sciacallaggio: detto anche opportunismo di livello epico, questa pratica molto ben vista trova un fulgido paradigma nei gentili prelievi che Hitler fece fra le ricchezze delle famiglie ebree (parte del cosiddetto oro nazista).
La morte è anche il miglior talent scout che esista: musicisti caduti nel dimenticatoio (o sempre stati nell’ignoratoio della massa) che dopo la morte resuscitano artisticamente e vedono i loro dischi comprati a palate da una masnada di fan-da-sempre, posseduti da una sorta di spirito di compassione che reca conforto solo ai portafogli dei detentori del copyright.
La peste nera del 1348 fece circa 100 milioni di vittime, uccise più di 1/3 della popolazione europea, e diede il via a uno dei più importanti processi di sviluppo economico della storia.
Il vecchio continente non è mai stato eccessivamente ricco di risorse, e all’epoca le si utilizzava anche male; una simile strage fu, economicamente parlando, un toccasana che permise la ridistribuzione delle risorse, un conseguente aumento della ricchezza pro capite e la creazione di piccoli risparmi da investire nello sviluppo.
Si è verificato il semplice principio che meno persone ci sono a spartirsi delle risorse, più la ricchezza sale: banalmente l’ultimo uomo della razza possederà tutte le ricchezze del mondo. Il tutto ovviamente da inserire nel contesto economico.
Senza una catastrofe di quelle proporzioni, l’inizio della circolazione di capitali e tutte le migliorie che ne conseguono sarebbe stata rinviata di un indefinibile lasso di tempo, ridisegnando completamente il mondo come lo conosciamo oggi.
Potrei azzardare un collegamento fra paura della morte e soldi spesi per la salute (per la giuoia di sanità e farmaceutica), ma se mi dessi a questo volo pindarico dovrei includere anche le palestre e i corsi di Zumba, ergo mi fermo qui.