Un giornalista di The Verge, Paul Miller, ha deciso di trascorrere un anno senza internet. Oggi torna in rete a raccontarci come è andata.

Esattamente un anno fa, Paul Miller decise di abbandonare il mondo digitale.

Mi rende improduttivo, non ha senso, corrompe la mia anima.

Così, il 30 Aprile 2012, alle 23:59, Paul stacca il cavo Ethernet. Spegne il router Wifi. Vende lo smartphone e compra un carretto.

Inizialmente Paul aveva pensato di lasciare il lavoro e andare a vivere nella casa di famiglia, ma The Verge ha deciso di stipendiarlo perché raccontasse settimana per settimana la sua vita offline. Per posta, naturalmente.

L’obiettivo di Paul era quello di scoprire “che effetti avesse avuto internet su di lui negli anni”

L’obiettivo di Paul era quello di scoprire “che effetti avesse avuto internet su di lui negli anni”, in che modo si relazionava ad internet e quanto essere online facesse parte della sua vita.

All’inizio, pensò, “assaporerò la vita reale”, mi fermerò ad annusare il profumo di un fiore, ammirerò un tramonto e farò escursioni in bicicletta. Si è persino dato alla lettura di quasi ogni scritto della Grecia Classica.

E nei primi mesi fu effettivamente così, Paul godette di tutte quelle minuzie che la vita da criceto nella ruota delle e-mail e dei newsfeed non ci permette di godere appieno.

La cosa che gli mancava per apprezzare davvero il mondo che lo circondava era la noia.

La cosa che gli mancava per apprezzare davvero il mondo che lo circondava era la noia.

Quando su internet trovi sempre qualcosa da fare (leggere un blog, stare sui social, giocare online o guardare gattini – e non solo – su 4chan) non hai il tempo di fare ciò che ami veramente, come scrivere, o incontrare delle persone in carne ed ossa, nella vita reale.

Certo, i diti al culo non sono mancati, e potete facilmente indovinarli: niente Google Maps, cartina del Touring; non poteva andare su Wikipedia o googolare una parola se non la conosceva, doveva consultare l’Encyclopaedia Britannica; niente Twitter o Facebook per farsi i cazzi degli altri avere le notizie necessarie su cosa succedeva nel mondo.

Per fare delle foto non aveva il cellulare sempre sotto mano ma quando aveva lo spazio e la voglia portava con sé una Leica. Non sa bene se c’entri un razzo, ma ci tiene a farci sapere che ha pianto quando ha visto Les Miserables.

 

 

Ma alla fine tutto ciò è davvero servito? 

Rileggendo i suoi diari alla fine di quest’anno, Paul pensava di leggere cose del tipo “lol, oggi ho usato una cartina stradale invece del navigatore, che roba scrausa”. E invece no.

Dal punto di vista pratico la vita di Paul non è stata stravolta più di tanto.

New York è una città semplice da girare seguento l’intuito e usare le cartine stradali si è rivelato meno drammatico del previsto.

La cosa che gli è piaciuta di più è stata la posta: nessuna mail potrà mai competere con l’emozione di una lettera scritta a mano. Una ragazza, racconta il nostro eroe (non saprei definirlo altrimenti), gli scrisse “Grazie per aver lasciato internet”.

Lo stava trollando Era inteso come un complimento. Ma in fondo l’amico Paul era un culopesante™ (tipo noi della Sezione Milano) e se già andare all’ufficio postale a ritirare le lettere gli pesava (negli USA non tutti hanno una casella postale presso il proprio domicilio), trovare la voglia di rispondere era davvero improponibile.

 

Nell’articolo che ha scritto oggi, dopo 12 mesi, si accorge che

non è assolutamente vero che internet è padre di tutti i vizi,

che le proprie scelte morali vengono toccate poco e niente dall’essere online. Se sei uno che non esce di casa, non esci di casa ugualmente: negli ultimi tempi Paul ha passato una quantità esorbitante di ore chiuso in casa a leggere, ma molto più spesso a giocare alla PS3 o all’Xbox (infatti erano consentiti tutti i diabolici mezzi di rincoglionimento di massa dispositivi elettronici che fossero scollegati dalla rete, perciò anche le console).

Ricordo anche di aver letto durante l’anno un interessante articolo dove Miller trattava l’argomento della masturbazione e del fatto che una sera, esasperato dalla mancanza di pornografia online (Dio, forse nemmeno i servizi del Tg2 la chiamano più “pornografia online”) era uscito per comprare due riviste con le zinne e pure brutte, quindi quando vi hanno detto che è colpa di internet se siete pugnettadipendenti e che sareste diventati ciechi erano tutte cazzate.

L’unico vero effetto che Miller abbia avvertito a seguito dello switch-off era solo un grande senso di solitudine e di distacco, non dal mondo, ma dalle persone. Senza internet sei tagliato fuori, non c’è niente da fare. “Tanto hanno scritto contro l’amico su Facebook, quanto io vi posso garantire che è meglio un amico su Facebook che niente”, scrive il giornalista di The Verge.

Allo scoccare della mezzanotte del 1 Maggio 2013, Paul Miller è tornato online. La redazione di The Verge aveva lanciato un hashtag su tutte le piattaforme sociali, #whatshouldPaulsee, grazie al quale gli utenti potevano segnalare a Paul tutto ciò che era accaduto su internet di significativo: un’app, un sito, un video, una notizia, qualsiasi cosa, cosicché il “ritorno alla civiltà” fosse meno faticoso.

Voglio lasciarvi con questa considerazione finale di Paul, e lascio nelle fonti l’articolo da cui ho tratto le informazioni, scritto da Miller stesso. Fosse per me, andrebbe fatto leggere nelle scuole nell’ora di Informatica, invece di insegnare ad usare Power Point, che fregacazzi a nessuno, nel 2013.

My plan was to leave the internet and therefore find the “real” Paul and get in touch with the “real” world, but the real Paul and the real world are already inextricably linked to the internet.

Not to say that my life wasn’t different without the internet, just that it wasn’t real life.