Abors

Abors
Oggi mi sono svegliato senza sapere che alla fine della giornata avrei ucciso una persona.

Mi sveglio, è mattina presto e questa notte non ho dormito molto bene. La schiena mi fa male a causa del lavoro e tutti quegli acciacchi che mi porto dietro da quando ero un ragazzo e che non ho mai curato ora cominciano a farsi sentire.

Entro in cucina e sul tavolo ci sono gli avanzi della cena precedente, ero troppo stanco per metterli in ordine ieri sera.

Senza fretta preparo la colazione: caffè caldo, uova e funghi tutto accompagnato da due belle salsicce di tacchino. finito di mangiare metto il piatto vicino a quello della cena ed esco sulla veranda e aspetto il pick up per andare a lavorare.

Lavoro presso la Lindsay industries Banana Company o LIBC, come la chiamano qui in paese.

Lavoro presso la Lindsay industries Banana Company o LIBC, come la chiamano qui in paese. Una delle più grandi farm qui nel Nord Queensland.

Ho la fortuna di lavorare li da qualche giorno e il capo è da due giorni che mi fa i complimenti per il lavoro che svolgo.

Quando il Furgoncino si ferma scorgo la figura di Peter dal lato del passeggero e di Bob al volante. Salto dietro con in spalla una sacca, dentro, il pranzo e la bottiglia d’acqua.

Solita freddezza dei due nei miei confronti: non mi hanno preso in simpatia dal primo giorno. Mi appoggio al finestrino e guardo il paesaggio che scorre fuori, mentre i due davanti parlano di corse di cavalli e gare di cani, red necks, valli a capire…

Da quando ho lasciato la città alcuni mesi fa, mi sono proprio reso conto che il vivere all’aria aperta da alla testa alle persone.

Dio quanto stavo bene a casa di mia mamma, ora sono costretto a stare in questo buco di paese chissà ancora per quanto. Però almeno lavoro, certo non è il miglior lavoro del mondo ma la giornata passa via velocemente.

Il lavoro è pressochè lo stesso tutti i giorni, sembra di stare in quella fabbrica dove c’è quell’attore americano che finisce negli ingranaggi, è tutto molto veloce e frenetico in certi momenti.

D’un tratto vengo ripescato dai miei pensieri, perchè mi accorgo che la strada che facciamo normalmente è cambiata, anzi siamo proprio su un’altra strada.

In genere si viaggia per 10 minuti fuori da Innisfail e siamo arrivati, abbiamo lasciato casa mia da 20 minuti e siamo ancora in strada. Io la zona non la conosco molto bene, ma mi sembra che mano a mano la strada si faccia via via sempre più dissestata e tortuosa, infatti dopo qualche centinaio l’asfalto lascia il posto alla terra rossa tipica dell’Australia.

Chiedo ai ragazzi delle informazioni e mi dicono che da oggi avrebbe lavorato con noi un nuovo ragazzo, e che bisognava andarlo a prendere.

Nemmeno il tempo di finire la frase che Bob inchioda di fronte ad una casa abbastanza messa male, immersa tra gli alberi e la vegetazione, nessuno è fuori dalla porta, e Bob tira due colpi di clacson. Dalla porta laterale esce una figura che corre verso il furgoncino.

Io sono distratto da tutta la natura che c’è in questo posto, per uno venuto da una grande città come me tutto questo non è normale. Sento chiudersi la porta dietro di me, mi volto e c’è un aborigeno seduto accanto a me.

mi volto e c’è un aborigeno seduto accanto a me

Io odio gli Abors, e ora ne ho uno seduto accanto a me. Voi non potete sapere quanto schifo mi fanno, voi dall’Europa dite “oh poverini sono stati sterminati” no, cazzate, sono tutte cazzate. Sono stati conquistati e come tale dovrebbero ammettere la sconfitta e sottomettersi alla nostra cultura.

Le case in cui vivono sono dei tuguri pieni di merda sulle pareti, questi animali si cacano in mano e dopo lanciano merda sulle pareti. Porci bastardi, stuprano le bambine, ma gli sbirri sono troppo occupati a cercare gli spacciatori per arrestarli.

Passano tutta la giornata a ubriacarsi come delle spugne e tutta la notte a urlare insulti contro noi bianchi “FUCKING CUNT, WHITE ASS YOU ARE A FUCKING CUNT!” come se la colpa delle morti avvenute in passato fosse mia.

Questa scimmia sta sudando da ogni poro della sua pelle, e puzza da fare schifo, saranno 2 mesi che non si fa una doccia.

Intanto siamo arrivati a lavoro, il negro esce e mi chiude la porta in faccia, deve aver capito che non mi piace. Il padrone ci raduna davanti alla piantagione e ci spiega i turni di lavoro odierni. Il mio compagno per l’intera settimana è l’aborigeno, si presenta e mi dice di chiamarsi John, cazzate, sarà un qualche “stella lucente” o “pianta verde” uno di quei nomi assurdi che porta la sua gente.

Cominciamo a spruzzare il diesel sulle piante e intanto lui attacca a parlarmi, con un inglese che faccio fatica a comprendere, mi parla della scopata che ha fatto l’altra sera e di come sia incazzato perchè deve lavorare a gratis.

Il caldo aumenta rapidissimamente e in poche ore raggiungiamo i 32°. Ho caldo e quella bestia accanto a me continua a parlarmi della sua fottutissima vita. Non mi importa niente, mi avevano avvertito che gli abors parlano un sacco sul lavoro e che sono pigri e sfaticati, ma non credevo così tanto, ogni 3 banane si ferma a fissare il nulla e io devo tornare indietro per completare il suo lavoro.

Ovviamente restiamo indietro rispetto agli altri e quando poco prima della pausa pranzo arriva il farmer per controllare come sta procedendo il lavoro, mentre quel bastardo è indietro di almeno 5 piante il capo riprende me e mi dice che se continuo così posso ritenermi licenziato. Mi scuso e gli dico che non capiterà più.

Vado a parlare con quello stronzo e gli dico che si deve muovere, perchè il lavoro per colpa sua non lo voglio perdere. Lui si mette a ridere e dice che ha fame e che vuole mangiare.

Ci sediamo sotto una palma, tiro fuori il mio pranzo e comincio a mangiare, in quel momento mi rendo conto che l’abor non ha ne acqua ne niente da mangiare. Non mi fa nemmeno porre la domanda , mi dice che mangerà qualche banana sull’albero e berrà dalla mia borraccia, io gli dico che non è una cosa fattibile perchè dalla mia borraccia non lo farò mai e poi mai bere, mi alzo e vado a pisciare dietro ad una palma.

Quando torno vado per chiudere la borraccia e mi accorgo che è vuota, lo stronzo l’ha bevuta tutta. l’acqua che doveva bastarmi per una giornata intera a mezzogiorno era già finita, proprio durante le ore più calde.

Mi lancio contro di lui e gli lancio la borraccia in faccia, mentre si ripara lo colpisco con dei calci nello stomaco e sul visto, intanto lo insulto e quando ho finito gli sputo addosso.

Lui è li che si contorce a terra come un verme, quando in lontananza scorgo una figura. E’ il farmer che da lontano aveva visto tutta la scena, bene penso, posso far cacciare questo bastardo dalla farm e continuare a lavorare in santapace.

Il farmer si avvicina con passo svelto verso di me, mi strattona per la camicia e mi butta a terra, mi insulta e fa per tirarmi un calcio

«ma cosa ti salta in mente, sei impazzito?» dice lui

«cosa? io? quello stronzo mi ha bevuto l’acqua! e lei se la prende con me?»

«non voglio storie, fai le tue cose fuori da qui, non voglio problemi nella mia farm, questo stronzo fuori da qui lo puoi anche ammazzare, ma io qui non voglio problemi. hai capito? ora vai a prendere le tue cose e vattene di qui»

Rimango senza parole.

Mentre il capo se ne va via sento in sottofondo una risata, è quella dell’aborigeno.
Ride a crepapelle e quando mi giro verso di lui mi dice

«ti ha licenziato! non ci posso credere! e invece a me non ha fatto niente”»

Mi scaravento contro di lui, i pugni cominciano a sfondargli la faccia prima uno, poi l’altro poi ancora il primo. Sei, sette, otto pugni uno di seguito all’altro.

Infine gli metto le mani sul collo e comincio a stringere più forte che posso

Lo guardo negli occhi lividi e pieni di sangue e vedo che poco a poco l’occhio si fa sempre più spaventato, come se la linfa vitale stesse uscendo da li. A causa di questo stronzo ho perso il mio lavoro, la mia vita è fottuta adesso.

Questa scimmia merita di morire.

Stringo sempre più a fondo, le sue unghie graffiano la mia faccia e con le mani cerca di respingermi, finchè mi rendo conto che ha smesso di respirare.

Indietreggio di alcuni passi, e mi rendo conto di quello che ho fatto, mi siedo e aspetto. Aspetto il farmer.

Comincia ad urlarmi addosso che non dovevo fare una cosa del genere e che adesso se non ci sbarazziamo immediatamente del corpo lui finirà in un mare di guai.

Carichiamo il corpo su una cariola e lo portiamo vicino al fiume dove qualche coccodrillo lo mangerà.

Non mi sento pentito di quello che ho fatto, fu la prima cosa che dissi quando mi costituii alla centrale di polizia.

 

 

Questo racconto è ispirato ad una storia vera

La storia mi è stata raccontata l’altro giorno dai miei colleghi, l’australiano, un ragazzo, dopo essere stato in un carcere minorile ottenne una seconda chance dal giudice che gli concesse di lavorare nel Nord del Queensland in cambio della libertà alla fine della stagione.

Ma se qualcosa fosse andato storto durante la stagione sarebbe stato condannato come un adulto per il crimine commesso.

Nonostante si sia autocostituito il giorno dopo non scontò mai un giorno di carcere, questo accadde negli anni quaranta.

Ora molte persone pensano che gli australiani abbiano un certo rimorso nei confronti degli aborigeni a causa del genocidio e dell’epurazione razziale continuate fino agli anni 70.

In realtà a tutt’oggi molti australiani continuano a ritenere la popolazione aborigena (1,5%) un peso per la società, e che il problema aborigeno debba essere risolto con le maniere pesanti.

Chiedo scusa per la crudeltà del racconto, ho deciso di scriverlo così forte proprio per cercare di darvi l’impressione di quanto forte sia l’odio che i bianchi hanno nei confronti degli aborigeni.

Io quando ho sentito questa e altre storie (come quella di “Murdering Point”) sono rimasto a bocca aperta, non solo perchè sono avvenute pochi anni fa, ma sopratutto perchè non c’è informazione riguardo a questo genocidio e molti (e non è per esagerare o generalizzare) australiani che ho incontrato ritengono giusto il trattamento ricevuto dai bianchi.

 

CoolStoryBro è la rubrica di Lega Nerd dedicata alla letteratura amatoriale.

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