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I dimenticati di Saint-Paul

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Mi ha sempre affascinato la forza irresistibile che dagli albori della civiltà spinge l’uomo alla conquista di nuove terre da esplorare, sfruttare, abitare. L’esplorazione è una sfida, una necessità e una manifestazione dell’innata curiosità della nostra specie. Ma ai tempi in cui le mappe non coprivano ancora la totalità delle terre emerse, ogni nuova scoperta poteva anche essere all’origine di enormi ricchezze.

Per questo, fin dall’epoca dei grandi navigatori, le potenze coloniali hanno lottato per accaparrarsi le grandi terre da strappare alla natura o ai ‘selvaggi’ dei nuovi continenti. Ma anche per mettere le mani su ogni scoglio, anche il più inaccessibile o remoto, che affiorasse dagli oceani.

L’insediamento umano, nel caso delle isole sperdute, non era che il pretesto per rivendicare la sovranità di uno stato su un nuovo possedimento. Costruire un faro, un osservatorio, una stazione meteo o una base scientifica è come piazzare un segnaposto. Significa poter costruire, un domani, una base militare o un attracco mercantile, o poter sfruttare le acque territoriali con flotte di pescherecci, senza che altri paesi (si presume) possano rivendicare il territorio.

L’isola di Saint-Paul

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Quando la Francia si accaparrò l'isolotto vulcanico di Saint-Paul, lo accorpò al dipartimento delle Terre australi e antartiche francesi. Era chiaro, comunque, che non sarebbe stato facile sfruttarlo. L’isola è lontanissima da qualsiasi luogo abitato e distante dalle rotte commerciali: si trova in mezzo all’Oceano Indiano meridionale, 2.900 Km a sud-est dell’isola di Réunion. Rocciosa e scoscesa, Saint-Paul è priva di risorse naturali e di acqua potabile. La vegetazione è limitata ad un manto erboso che durante l’inverno si riduce a poche macchie rade.

La sola ricchezza di Saint-Paul è la biodiversità animale: una nutrita colonia di leoni marini e numerosissime specie di uccelli, compresi i pinguini, vivono indisturbati sulle scogliere e sulle pendici del cratere. Per non parlare dei pesci e dei crostacei che affollano il mare incontaminato circostante.

La fabbrica alla fine del mondo

Dopo il fallimento alle Kerguelen (alle quali ho già dedicato un articolo), nel 1928 i fratelli Bossiére puntarono tutto sullo sfruttamento dell’isolotto, parte dello stesso territorio e distante circa 2.000 Km verso est. La sfida, questa volta, era trasformare uno scoglio inabitabile in un insediamento per lo sfruttamento di acque pescose. Dopo le necessarie ricognizioni, i fratelli decisero di puntare sulla pesca delle aragoste e scelsero coraggiosamente di costruire un conservificio in loco, nonostante le condizioni proibitive.

28 uomini, esperti pescatori bretoni, raggiunsero l’isola dopo 49 giorni di navigazione da Le Havre. Furono loro stessi a edificare lo stabilimento su una delle piattaforme naturali relativamente piatte che chiudono il cratere. Si trattava di persone attirate dall’avventura e dall’opportunità di guadagno, disposte a passare mesi di duro lavoro in un avamposto dell’umanità senza contatti con l’esterno. Lavoratori che sapevano di andare incontro a fatica, sacrifici e solitudine, ma che speravano di trovare fortuna.

L’impresa eccezionale

Il successo della prima stagione di pesca superò ogni aspettativa. La quantità di aragoste pescate toccava talvolta i 20.000 esemplari al giorno. La vita dei lavoratori, come previsto, fu dura, ma le temperature estive di Saint-Paul non sono insostenibili e la spedizione era stata preparata con cura. Gli alloggi (anch’essi costruiti appositamente dai pescatori/operai) si rivelarono relativamente confortevoli; le provviste erano abbondanti. La stagione di pesca si concluse nel marzo del 1929 con il rientro in patria di tutti i lavoratori, ben felici di abbandonare l’isolotto desertico dopo tanta fatica.

Visto il successo, i fratelli Bossiére decisero di iniziare lo sfruttamento intensivo. Le voci dell’impresa dell’anno precedente si erano diffuse rapidamente, perciò non fu difficile reperire altri uomini. Per la seconda stagione furono ingaggiati una decina di pescatori bretoni e 90 malgasci; questa volta la spedizione comprendeva anche qualche donna, perché ai lavoratori fu concesso di portare con sé le mogli.

La fabbrica fu riaperta e ampliata; nuovi dormitori videro la luce all’ombra del vulcano di Saint-Paul. I pescatori massacrarono a bastonate centinaia di pinguini per ricavare esche dalle loro carcasse; una montagna di rifiuti iniziò ad ammucchiarsi sulle pendici della montagna. La campagna terminò nuovamente alla fine dell’estate australe.

Isolamento estremo

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A fine stagione, poiché la costruzione dell’impianto aveva richiesto grandi investimenti, la compagnia si pose il problema della manutenzione invernale e cercò di ingaggiare alcuni guardiani. Sei uomini e una donna accettarono l’incarico, allettati dal generoso compenso promesso: sarebbero stati i primi esseri umani ad affrontare l’inverno sub-antartico sull’isola di Saint-Paul.
I coniugi Victor e Louise Brunou, oltretutto, aspettavano un bambino, visto che la donna era incinta di sette mesi. Gli altri uomini erano i bretoni Emmanuel Puloc’h, Julien Le Huludut, Pierre Quillivic, Louis Herlédan e il malgascio François Ramamonzi. Una nave della compagnia rimpatriò i lavoratori stagionali.

Dopo poche settimane la donna diede alla luce una bambina, Paule, unico essere umano della storia nato sull’isola di Saint-Paul. La bambina sopravvisse solo due mesi; la madre fu ovviamente segnata dalla tragedia e non poté nemmeno depositare un fiore sulla tomba improvvisata.

La sopravvivenza sull’isola si dimostrò una sfida anche per gli adulti, anche se erano giovani e in salute. L’alimentazione era limitata alle provviste di carne in scatola; ma furono alcuni fattori psicologici determinanti a rendere ardua la permanenza. Su tutti gravava il peso della noia e della solitudine. Anche le dimensioni limitate dell’isola, il suo grigiore e l’impossibilità di spostarsi per più di poche decine di metri fecero sì che i guardiani di Saint-Paul si sentissero in trappola. Tutto ciò che potevano fare, oltretutto, era aspettare e lasciar passare i giorni al riparo dal vento gelido, sull’unica striscia di terra pianeggiante che ospitava gli edifici.

L’abbandono

La sopravvivenza su un’isola non autosufficiente dipende ovviamente dai rifornimenti. Quando la nave con le provviste non passò alla data prestabilita, gli sfortunati capirono di essere stati abbandonati al proprio destino e la disperazione si impadronì di loro.

Iniziarono anche ad accusare problemi di salute dovuti all’alimentazione. Emmanuel Puloc’h iniziò ad essere vittima di forti dolori. Le sue caviglie gonfie e violacee fugarono subito ogni dubbio: lo scorbuto lo uccise dopo settimane di atroce agonia. L’unico malgascio del gruppo subì la stessa sorte pochi mesi dopo. I sopravvissuti, anch’essi in cattive condizioni fisiche, cercarono di nutrirsi il più possibile di pesce fresco e uova di pinguino. Un’altra tragedia si verificò quando Pierre Quillivic uscì in mare con l’unica barca e non fece più ritorno.

Louis Herlédan scrisse sul suo diario:

Su quest’isola dove non c’è niente, abbiamo costruito un cimitero.

Cambiamenti ai vertici della società dei fratelli Bossiére determinarono inefficienze e ritardi. La nave dei rifornimenti non passò perché i guardiani erano stati a tutti gli effetti dimenticati. Nessuno si ricordò di loro, ma la società lavorava alacremente alla preparazione di una terza stagione di sfruttamento ancora più ambiziosa.

L’ultima catastrofe

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I tre superstiti furono recuperati solo a dicembre del 1930, a estate inoltrata, perché ulteriori ritardi si erano accumulati nella messa a punto della nuova stagione di pesca. Louis Herlédan lasciò finalmente l’isola, liberandosi dal peso della prigionia. Ma i coniugi Brunou, incredibilmente, decisero di restare per la nuova stagione lavorativa: la disperazione e lo stato di prostrazione psicologica, probabilmente, determinarono la loro scelta di prolungare il proprio esilio volontario.

L’accampamento arroccato sul cratere continuò ad ospitare i lavoratori (130, questa volta) e l’isolotto vide un accumulo di lattine, barili e altri rifiuti. Tutto, comunque, parve andare bene fino ad un'epidemia virale che colpì i lavoratori provenienti dal Madagascar: in pochi giorni 40 di loro persero la vita. Il virus, in quell’ambiente senza sbocchi verso il mondo esterno, si diffuse rapidamente e inesorabilmente. Fu subito chiaro che mancavano i mezzi per prestare ai malati le cure necessarie; inoltre non c’era abbastanza spazio abitabile per istituire una zona di quarantena.

La missione fu immediatamente interrotta e tutti i lavoratori furono rimpatriati.

La notizia dei Dimenticati di Saint-Paul giunse rapidamente a Parigi. I fratelli Bossiére furono accusati di negligenza e sfruttamento. La stampa, indignata, iniziò una campagna contro gli schiavisti dell’isola della morte. Lo scandalo ebbe una certa risonanza a livello nazionale: i fratelli dovettero dichiarare bancarotta e caddero definitivamente in disgrazia.

La seduzione dell’isolamento

La storia dei Dimenticati è terribile e affascinante, e parla di un grado di isolamento da alcuni ritenuto il massimo mai raggiunto da un gruppo umano. Persone che si ritrovarono ad affrontare il terribile inverno australe sull’isola più lontana, inaccessibile, inospitale e sconosciuta del pianeta. Costrette ad affrontare la paura, a fronteggiare la propria fragilità. Dimenticate dal mondo intero. Forzate a sperimentare un adattamento all’ambiente ostile, con risorse insufficienti e uno spazio limitatissimo. Il tutto in un’epoca di tecnologie primitive e di comunicazione impossibile.

È anche l’ennesimo disastro causato dall’avidità, che in poco tempo ha finito per trasformare un’isolotto mai toccato dall’uomo in un relitto post-industriale abbandonato in mezzo all’oceano e coperto di tombe.

Il ‘lieto fine'

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Fortunatamente, nel dopoguerra l’isola è stata bonificata dai rifiuti. Saint-Paul è diventata una riserva naturale integrale con divieto di approdo.
Oggi è nuovamente un paradiso per gli uccelli e per gli animali marini.

Fonti:
Wikipedia
I dimenticati di Saint-Paul
Paragrafi da Google Books

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