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Radiazione di Corpo Nero

Questo è il primo di una serie di articoli, che ci porteranno in un viaggio attraverso la meccanica quantistica ed il mondo della fisica nuculare nucleare e subnucleare. Questi articoli si avvarranno della collaborazione del mons. @pri2p che, oltre ad aver collaborato alla stesura di questo, più avanti scriverà qualche articolo.

Per cominciare, vediamo i motivi che hanno portato alla formulazione di questa teoria, partendo dalla radiazione di corpo nero che, come vedremo, porteranno ad una rivoluzione della fisica dell’epoca, decretando la crisi della fisica classica.

Crisi della Fisica Classica

La fisica classica raggiunse il suo apice nella metà del XIX secolo, quando la branca della meccanica analitica, grazie ai contribuiti di gente come il torinese ( :res: ) Lagrange ed Hamilton, riesce a trovare il modo di descrivere ogni sistema fisico fino ad allora conosciuto. Parallelamente le equazioni di Maxwell diedero una descrizione completa dell’elettromagnetismo.
I primi guai nacquero proprio dalle stesse equazioni di Maxwell, che contengono la velocità della luce al loro interno e dalle onde elettromagnetiche che violano la relatività galileiana. Ci penserà Einstein a spiegare il tutto, come abbiamo visto nella rubrica sulla relatività.
Sempre la luce la faceva da padrone con “problemini” come lo spettro del corpo nero, l'effetto fotoelettrico, l'effetto compton, le righe spettrali degli atomi ed i raggi X.

Spettro del corpo nero

Per corpo nero in fisica si intende un oggetto che assorbe tutte le radiazioni elettromagnetiche incidenti, senza rifletterle; le uniche emissioni di onde elettromagnetiche sono dovute, pertanto, all'irraggiamento.

Tali oggetti, ovviamente, non esistono in natura, ma il Sole e le varie stelle, per esempio, possono essere approssimati tali per lo studio del loro spettro (e questo è il motivo della foto “astronomica”). Sperimentalmente se ne può realizzare uno prendendo una particolare scatola e aprendo in una delle pareti un microscopico foro attraverso il quale verrà scambiata la radiazione, che all’interno della scatola stessa è continuamente assorbita e riemessa dalle pareti. Questo modello sarà equivalente a quello del corpo nero vero e proprio a condizione che la radiazione abbia lunghezza d’onda molto minore della dimensione del foro.

Il grafico sottostante rappresenta lo spettro di un corpo nero (in particolare con T1<T2<T3), possiamo vedere come l’intensità d’emissione varia in base alla temperatura; per ora non guardiamo la linea rossa.
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L’emissione di onde elettromagnetiche è dovuta all’oscillazione degli elettroni degli atomi che compongono l’oggetto che causa, per le leggi dell’elettromagnetismo, un’emissione di energia elettromagnetica. Frequenza ed intensità dipenderanno da quanto intensamente gli elettroni oscillano, che non è altro che l’agitazione termica; esiste perciò una relazione tra temperatura e spettro di emissione. I primi a calcolarla furono Rayleigh e Jeans, autori dell’omonima formula che, utilizzando i concetti della fisica classica, descriveva così la dipendenza tra l’intensità di emissione della radiazione e la sua frequenza e la temperatura del corpo nero:

$latex {I=\frac{2kT\nu^2}{c^2}}$

dove I è l’intensità dell’emissione, $latex {\nu}$ è la frequenza della stessa, c è la velocità della luce, $latex {k=1,38*10^-23\frac{J}{K}}$ è la costante di Boltzmann, mentre T è la temperatura, in questa formula misurata in Kelvin.

Disegnandola, si ottiene la linea rossa del grafico di cui sopra che, come potete vedere, descrive bene il comportamento a basse frequenze, ma malissimo quello ad alte. La legge infatti descriveva un andamento quadratico dell’intensità in base alla frequenza che portava al paradossale risultato che un corpo, anche a temperatura ambiente, dovesse emettere una quantità infinita di energia e raggi UV e X.
Questo prese il nome di catastrofe ultravioletta e bisogna aspettare l’arrivo di Max Planck che, tra il 1900 ed il 1901, riuscì ad interpretare lo spettro di emissione del corpo nero, lavoro per cui vinse il premio Nobel per la Fisica 1918.

Quantizzazione dell’energia

L’idea di Planck fu di ipotizzare che gli scambi di energia nei fenomeni di assorbimento ed emissione di energia delle radiazioni e.m. non avvengano in forma continua (come previsto dalla teoria classica), ma discreta o quantizzata; si può quindi vedere l’energia come composta di unità finite e discrete chiamati quanti. La celebre formula che lega questi quanti di energia alla frequenza dell’onda em (non parlo ancora di fotoni perché all’epoca si pensava ancora fosse soltanto un’onda) è questa:

$latex {E=h\nu}$

dove $latex {h=6,62*10^{-34}Js}$ è la costante di Planck, che ci seguirà durante tutto lo svolgimento della rubrica, alla stregua di Virgilio.

Questa formula dice che un’onda em di frequenza $latex {\nu}$ può trasportare solo multipli interi (“pacchetti”) di questa energia fondamentale.
Interpretando così gli scambi di energia, Planck riuscì a ricavare la formula per la radiazione di corpo nero:

$latex {I=\frac{2h\nu^3}{c^2}\frac{1}{e^{\frac{h\nu}{kT}}-1}}$

Questa legge che non vi chiederò all’esame descrive perfettamente i dati sperimentali del corpo nero (disegnare con Wofram Alpha per credere), ma non convinceva appieno, perché il discretizzare (o quantizzare) l’energia pareva una forzatura anche allo stesso Planck. In suo soccorso arrivò Einstein che, interpretando l’effetto fotoelettrico, scoprì che la luce è composta da quanti di luce ad energia $latex {h\nu}$ ma questo sarà argomento del prossimo articolo, che ci svelerà come, in realtà, luce e materia siano sia delle particelle che delle onde.

APPROFONDIMENTI:
-Derivazione della legge di Rayleigh-Jeans
-Legge di Planck
-Meccanica analitica

[Lezioni di Fisica] è la rubrica di divulgazione scientifica curata da @il-cavaliere-di-berzelius in collaborazione con @pri2p

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