[image]https://leganerd.com/wp-content/uploads/LEGANERD_045621.jpg[/image]
Altri autori hanno già parlato di uomini le cui capacità sono andate oltre quelli che vengono ritenuti i confini dell’umanamente possibile. Alcuni esempi sono quelli di [url=https://leganerd.com/2011/01/10/shackleton-e-la-spedizione-endurance/]Ernest Henry Shackleton[/url], [url=https://leganerd.com/2010/12/24/simo-hayha-a-k-a-%D0%B1%D0%B5%D0%BB%D0%B0%D1%8F-%D1%81%D0%BC%D0%B5%D1%80%D1%82%D1%8C-la-morte-bianca/]Simo Häyhä[/url] e [url=https://leganerd.com/2010/12/25/quattro-super-soldati/]altri quattro super-soldati[/url].
Leggendo queste storie mi è venuto in mente un altro uomo straordinario, il chirurgo Russo Leonid Rogozov, la cui incredibile storia è stata pubblicata sul British Medical Journal nel 2009 nell’articolo [url=http://www.bmj.com/content/339/bmj.b4965?view=long&pmid=20008968]Auto-appendectomy in the Antarctic: case report[/url].
[title]La spedizione[/title]
La nave Ob, con a bordo la sesta spedizione Antartica Sovietica, salpò da Leningrado il 5 Novembre 1960. Dopo 36 giorni in mare lasciò parte della spedizione su una piattaforma di ghiaccio sulla Princess Astrid Coast. Il loro compito era di costruire una nuova base polare Antartica nell’entroterra all’Oasi Schirmacher e svernare lì. Dopo 9 settimane, il 18 Febbraio 1961, venne aperta la nuova base, chiamata Novolazarevskaya.
Avevano finito giusto in tempo. L’inverno polare stava già sopraggiungendo, portando con sé mesi di buio, tempeste di neve e gelate estreme. Il mare era ghiacciato. La nave era ripartita e sarebbe ritornata solo dopo un anno. I contatti con il mondo esterno non erano più possibili. Per tutta la durata del lungo inverno i 12 residenti di Novolazarevskaya avrebbero avuto solo loro stessi su cui contare.
Uno dei membri della spedizione era il ventisettenne chirurgo di Leningrado, Leonid Ivanovich Rogozov. Aveva interrotto una promettente carriera accademica partendo con la spedizione poco prima della discussione della sua tesi sui nuovi metodi di operare il cancro dell’esofago. In Antartide era prima di tutto il medico della squadra ma ricopriva anche il ruolo di meteorologo e conducente dei veicoli.
[title]26 Aprile 1961[/title]
Dopo diverse settimane Rogozov si ammala. Nota come sintomi debolezza, malessere, nausea e, dopo, dolore ai quadranti superiori dell’addome, che si sposta poi al quadrante inferiore destro. La sua temperatura corporea sale a 37,5°C. Rogozov scrive nel suo diario:
[quote]“Sembra che io abbia l’appendicite. Continuo a mostrarmi tranquillo, perfino a sorridere. Perchè spaventare i miei amici? Chi potrebbe essermi d’aiuto? L’unico incontro di un esploratore polare con la medicina è probabile che sia stato sulla sedia di un dentista.”[/quote]
Come chirurgo Rogozov non ha difficoltà nel fare diagnosi di appendicite acuta. In questa situazione, tuttavia, è un crudele scherzo del destino. Sa che se ha intenzione di sopravvivere si dovrà sottoporre a un’operazione. Ma si trova nelle condizioni di frontiera di una colonia Antartica appena fondata alla vigilia della notte polare. Il trasporto è impossibile. Volare è fuori questione a causa delle tempeste di neve. E c’è un altro problema: è l’unico medico nella base.
[title]30 Aprile 1961[/title]
Inizia tutti i trattamenti medici disponibili (antibiotici, applicazioni fredde locali) ma le sue condizioni generali stanno peggiorando: la sua temperatura corporea sale e il vomito si fa più frequente.
[quote]“La notte scorsa non ho dormito affatto. Mi fa male come il diavolo! Una tempesta di neve frusta la mia anima, che si lamenta come un centinaio di sciacalli. Ancora nessun sintomo evidente di perforazione imminente, ma un opprimente presentimento pende su me… Questo è tutto… Devo prendere in considerazione l’unica possibile via d’uscita: eseguire un’operazione su me stesso… E’ quasi impossibile… ma non posso incrociare le braccia e arrendermi.
Ore 18:30. Non mi sono mai sentito così male in tutta la mia vita. La struttura trema come un piccolo giocattolo nella tempesta. I ragazzi l’hanno scoperto. Continuano a venire per cercare di tranquillizzarmi. E sono arrabbiato con me stesso, ho rovinato le vacanze a tutti. Domani è il Primo Maggio. E ora sono tutti indaffarati a preparare l’autoclave. Dobbiamo sterilizzare la biancheria da letto, perché stiamo per operare.
Ore 20:30. Sto peggiorando. L’ho detto ai ragazzi. Ora inizieranno a portare via dalla stanza tutto quello di cui non abbiamo bisogno.”[/quote]
[title]La preparazione dell’operazione[/title]
Seguendo le istruzioni di Rogozov, i membri della squadra assemblano una sala operatoria improvvisata. Portano via tutto dalla stanza di Rogozov, lasciando solo il letto, due tavoli e una lampada da tavolo. Gli aerologisti Fedor Kabot e Robert Pyzhov passano la stanza agli ultravioletti e sterilizzano la biancheria da letto e gli strumenti.
Così come Rogozov, il meteorologo Alexandr Artemev, il meccanico Zinovy Teplinsky, e il direttore della stazione Vladislav Gerbovich, vengono selezionati per sottoposi a un lavaggio sterile. Rogozov spiega la procedura dell’operazione e assegna loro i compiti: Artemev sarà il ferrista; Teplinsky terrà lo specchio e si occuperà dell’illuminazione con la lampada da tavolo; Gerbovich sarà lì di riserva, pronto a sostituire chi degli altri due dovesse sentirsi male o svenire.
Nel caso in cui Rogozov perdesse coscienza, ha istruito il suo team su come iniettargli i farmaci usando le siringhe che ha preparato e su come fornirgli la ventilazione artificiale. Poi lava chirurgicamente di persona le mani di Artemev e Teplinsky, disinfetta le loro mani e li aiuta a indossare i guanti di gomma.
Quando i preparativi sono completati Rogozov si lava e si posiziona. Sceglie una posizione semi-sdraiata, con l’anca destra leggermente rialzata e la metà del corpo sollevata con un angolo di 30°. Poi disinfetta l’area da operare e vi dispone attorno le lenzuola. Sa che per orientarsi dovrà contare soprattutto sul tatto e così decide di operare senza guanti.
[title]L’operazione[/title]
L’operazione inizia alle 2 del mattino, ora locale. La parete addominale viene infiltrata in più punti con 20 ml di procaina allo 0,5%. Dopo 15 minuti Rogozov parte con l’incisione, di 10-12 centimetri, e subito si rende conto che la visibilità del campo operatorio, specie in profondità, è scarsa, tanto che deve spesso tirare su la testa o usare lo specchio, e comunque deve fidarsi di quello che le sue mani riescono a sentire.
Dopo 30-40 minuti Rogozov è costretto a fare delle brevi pause a causa della debolezza generale e delle vertigini. Alla fine rimuove l’appendice gravemente infiammata, applica degli antibiotici nella cavità peritoneale e sutura la ferita. L’operazione in tutto è durata un’ora e 45 minuti. Durante l’operazione Gerbovich chiama Yuri Vereshchagin per scattare fotografie dell’operazione.
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[more]Gerbovich quella notte scrive nel suo diario:
[quote]“Quando Rogozov ha fatto l’incisione e stava manipolando i suoi stessi visceri, così come quando ha rimosso l’appendice, il suo intestino gorgogliava, il che è stato molto sgradevole per noi; ha fatto venire voglia di allontanarsi, scappare, di non guardare, ma ho mantenuto la testa e sono rimasto. Anche Artemev e Teplinsky sono rimasti al loro posto, anche se poi dopo è venuto fuori che entrambi avevano avuto le vertigini e erano stati vicini allo svenimento… Rogozov stesso era calmo e concentrato sul suo lavoro, ma il sudore gli grondava sul volto e ha chiesto spesso a Teplinsky di asciugargli la fronte. L’operazione è finita alle 4 di mattina, ora locale. Verso la fine Rogozov era molto pallido e stanco, ovviamente, ma ha portato tutto a termine.”
[/quote][/more]
[title]Dopo l’operazione[/title]
Successivamente Rogozov mostra ai suoi assistenti come lavare e riporre gli strumenti e gli altri materiali. Una volta che tutto è stato completato, Rogozov è sfinito e si addormenta con l’aiuto di un sonnifero. Il giorno dopo la febbre è a 38,1°C; definisce le sue condizioni “moderatamente scarse” ma nel complesso si sente meglio. Prosegue la terapia antibiotica. Dopo quattro giorni il suo intestino riprende a funzionare e i segni di peritonite localizzata scompaiono. Dopo cinque giorni la temperatura è tornata normale, dopo una settimana può togliere i punti e nel giro di 2 settimane torna alle sue normali funzioni e al suo diario.
[title]8 Maggio 1961[/title]
Il chirurgo riprende il suo diario e scrive dell’operazione:
[quote]“Non mi sono concesso di pensare a nient’altro che al compito che avevo davanti. Era necessario armarsi di coraggio e stringere i denti. Nel caso avessi perso coscienza, avevo dato a Sasha Artemev una siringa e gli avevo mostrato come farmi l’iniezione. Avevo scelto una posizione semi-seduta. Avevo spiegato a Zinovy Teplinsky come tenere lo specchio. I miei poveri assistenti! All’ultimo minuto ho guardato verso di loro: se ne stavano lì, sbiancati più dei loro camici. Anche io ero spaventato. Ma quando ho preso la siringa con la novocaina e mi sono fatto la prima iniezione, in qualche modo sono passato automaticamente in modalità operativa, e da quel momento in poi non ho fatto caso ad altro.
Ho operato senza guanti. Era difficile vedere. Lo specchio aiuta, ma ostacola anche, del resto mostra le cose al contrario. Ho lavorato soprattutto col tatto. Il sanguinamento era abbastanza abbondante, ma mi sono preso il mio tempo, cercando di lavorare in sicurezza. Aprendo il peritoneo ho lesionato l’intestino cieco e ho dovuto ricucirlo. All’improvviso un lampo nella mia mente: c’è più di una lesione e non me ne accorgo… Diventavo sempre più debole, la testa ha cominciato a girare. Ogni 4-5 minuti mi riposavo per 20-25 secondi. Alla fine, eccola, l’appendice maledetta! Ho notato con orrore la macchia scura alla sua base. Ciò significa che solo un giorno in più e sarebbe scoppiata e…
[…]
Nel momento peggiore dell’asportazione dell’appendice ho avuto un mancamento: il mio cuore si è notevolmente rallentato; le mani sembravano di gomma. Beh, ho pensato, sta andando a finire male. E tutto quello che rimaneva era rimuovere l’appendice…
[…]
E poi mi sono accorto che, in fondo, ero già salvo.”[/quote]
[title]Il ritorno dall’Antartide[/title]
Più di un anno dopo la squadra Novolazarevskaya lasciò l’Antartide e il 29 Maggio del 1962 la loro nave ormeggiò al porto di Leningrado. Il giorno dopo Rogozov tornò al suo lavoro in clinica. Poco dopo discusse con successo la sua tesi. Ha lavorato e insegnato nel Dipartimento di Chirurgia Generale del Primo Istituto Medico di Leningrado. Non è mai tornato in Antartide ed è morto a San Pietroburgo (prima nota come Leningrado), nel 21 Settembre 2000.
[title]I confini dell’umanamente possibile[/title]
Esistono dei riferimenti ad auto-appendicectomie in letteratura. Il più vecchio è forse a quella eseguita dal dottor Kane nel 1921; ma in quel caso in realtà l’intervento fu solo iniziato dallo stesso paziente, e venne poi completato da alcuni assistenti. Sappiamo che Rogozov non ne aveva sentito parlare prima di eseguire la sua operazione.
L’auto-operazione di Rogozov è stata probabilmente il primo atto di tale successo intrapreso in terra selvaggia, fuori dal contesto ospedaliero, senza possibilità di aiuto esterno e senza alcun altro professionista medico intorno. Rimane un esempio della determinazione e della volontà di vivere dell’uomo. Negli anni successivi Rogozov stesso ha respinto tutti i tentativi di glorificazione della sua azione. Quando tale ipotesi gli veniva proposta di solito rispondeva con un sorriso e queste parole: “Un lavoro come un altro, una vita come tutti gli altri.”
Morirà il 21 settembre 2000, quindi quasi quarant’anni dopo lo straordinario intervento. Quarant’anni di vita che non sarebbero esistiti senza il coraggio e la perizia di quel giovane chirurgo.
[url=http://www.bmj.com/content/339/bmj.b4965?view=long&pmid=20008968]BMJ 2009;339:b4965 – “Auto-appendectomy in the Antarctic: case report.”[/url]
[url=http://it.wikipedia.org/wiki/Leonid_Rogozov]Leonid Rogozov – wikipedia[/url]