This is the original H1 clock made by John Harrison. Currently being renovated in the workshops at the Royal Observatory, Greenwich, London.

Questo post è ispirato da una mia recente visita al Greenwich Royal Observatory, l’antico osservatorio astronomico che si trova su una amena collina nel sud-est di Londra:
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The home of the prime meridian celebrates being the centre of time and distance.

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Merita davvero una visita, un luogo che trasuda storia, scienza e avventura.

Se ci capitate entrate nell’osservatorio-museo e state ad ascoltare il breve ma avvincente racconto che vi riporto nel seguito.

Quella che vorrei raccontarvi è infatti la vita di John Harrison, il vincitore della più straordinaria lotteria della storia: il Longitude Prize, il premio messo in palio dal governo inglese nel 1714 per risolvere il Problema della Longitudine.
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Qui però s’impone una premessa: chi di voi lo ha studiato per qualche motivo o semplicemente ha letto L’isola del giorno prima di Eco sa già di cosa stiamo parlando.

Per i marinai dell’antichità, oltre al casino generale di portare una nave di legno, corda e stoffa in giro per gli oceani basandosi su carte nautiche spesso degne di un libro fantasy, c’era la questione di fondo di essere sostanzialmente incapaci di determinare la propria posizione.

Per farla breve, come tutti sappiamo la posizione sul globo è data dalla latitudine (l’angolo che misura la distanza dall’equatore) e la longitudine (l’angolo che misura la distanza da un meridiano di riferimento, il meridiano “zero”, che guarda caso è proprio quello che passa da Greenwich).

La latitudine è una passeggiata: con un sestante si misura l’altezza (sempre in gradi) del Sole rispetto all’orizzonte a mezzogiorno oppure della Stella Polare o della Croce del Sud durante la notte.

Ma la longitudine?!?

All’inizio del XVIII secolo, quando potenze quali Inghilterra, Spagna e Portogallo fondavano le loro ricchezze ed i loro imperi coloniali sul traffico navale, non c’era ancora un metodo sicuro per capire dove diavolo stava una nave in mezzo al mare.

Le tragedie, vuoi per schianti su scogliere che si credevano distanti giorni di navigazione, vuoi per morte di fame e/o sete dell’equipaggio dopo settimane di girotondi, erano all’ordine del giorno e, ovviamente, il problema non erano le vite umane ma il valore spesso enorme delle merci trasportate.

In realtà avevano individuato due sistemi:
[title]1 – Astronomico[/title]
L’osservatorio di Greenwich, affidato di volta in volta all’Astronomer Royal di turno è stato istituito proprio per:

“apply himself with the most exact care and diligence to the rectifying of the tables of the motions of the heavens, and the places of the fixed stars, so as to find out the so much desired longitude of places for the perfecting of the art of navigation.”

Si era capito infatti che avendo a disposizione mappe delle stelle molto precise e complete, riportando le misurazioni su un librone detto Almanacco, era possibile calcolare la longitudine traguardando la posizione di luna e stelle.

La posizione della luna rispetto alle stesse fisse, calcolata da un ideale punto al centro della terra, è infatti uguale in qualunque punto del globo a meno dell’errore di parallasse che può comunque essere corretto.

Scopo dell’osservatorio era appunto realizzare un Almanacco preciso e completo in grado di garantire la supremazia navale all’Inghilterra.

[title]2 – La misura del tempo[/title]
Altro modo è quello di calcolare la distanza da Londra in termini di… fuso orario: dividendo il globo in 24 fusi, pari alle 24 ore, ogni fuso corrisponde ad un angolo di 15 gradi.

Conoscendo con precisione l’ora locale e l’ora di Londra sarebbe stato un gioco da ragazzi ricavare la longitudine.

Purtroppo non esistevano orologi in grado di mantenere una adeguata precisione (nell’ordine di pochi secondi al mese) a bordo di una piccola nave sottoposta a caldo, freddo, secco, umido e sopratutto immani rollii e beccheggi.

La tecnologia degli orologi a pendolo aveva raggiunto precisioni impressionanti ma il pendolo è estremamente sensibile ai movimenti del suo fulcro ed erano pertanto utilizzabili solo sulla terraferma.

Restava quindi solo la possibilità di calcolare l’ora di Londra col primo metodo (la Luna), quella locale col Sole e contare il tempo tra le due misurazioni con un orologio da tasca… potete immaginare la complicazione e l’approssimazione del risultato.

Insomma, dopo lustri di inutili e frustranti ricerche la potente casta degli astronomi continuava le sue analisi ma non se ne veniva fuori.

[title]Il Longitude Prize[/title]
Il governo decide allora di mettere in palio 20.000 sterline (equivalenti a circa 3 milioni di sterline attuali) per chi fosse riuscito a risolvere il problema della longitudine sottoponendo la soluzione al Board of Longitude.

Visto che i maggiori scienziati dell’epoca (gente tipo Huygens, Halley, Newton etc) erano già al lavoro, si è chiaramente scatenata una ridda di proposte fantasiose e improbabili.

E qui entra in gioco il nostro John Harrison: un anonimo falegname di provincia, figlio di un falegname, autodidatta, col pallino per la meccanica e gli orologi, in grado di costruire orologi in legno tutt’ora funzionanti e che nel 1730 si presenta al Board chiedendo 250 sterline in prestito per realizzare un orologio adatto alla navigazione.

Mostra i suoi disegni, riesce ad ottenere il danaro e in 5 anni realizza quello che vedete nel primo video, l’H1: un orologio in metallo con un sistema di molle e bilancieri in grado di neutralizzare i movimenti del supporto e che non necessita di alcuna lubrificazione (quello che vedete è l’originale, che funziona ancora ed è visibile nelle stanze dell’osservatorio).

La sperimentazione in mare dimostra il salto epocale nella precisione e affidabilità, ma non era ancora abbastanza.

Allora Harrison ottiene altre 500 sterline e costruisce in tre anni l’H2, con un meccanismo più compatto e robusto.

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La guerra con la Spagna impedisce però di sperimentarlo come si deve (se fosse caduto nella mani del nemico sarebbe stato come per i tedeschi perdere la macchina Enigma, non so se mi spiego ;) ).

Harrison ne approfitta allora per chiedere altre 500 sterline in prestito e costruire l’H3, un oggetto che sebbene non fosse ancora all’altezza dele sue ambiziose aspirazioni, ci ha lasciato due innovazioni fondamentali: la lamina bimetallica per compensare le variazioni di temperatura e il cuscinetto a sfere per limitare gli attriti.

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Ma il salto di qualità lo fa abbandonando il sistema a molle e contrappesi per passare al perfezionamento del sistema con scappamento, bilanciere e molla di carico a spirale, secondo il principio fondante dei cronometri da lì in avanti.

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L’H4 gli costa altri 6 anni di lavoro, ormai ne ha 68 e per testarlo portandolo in Giamaica manda il figlio William.

La sfida tra la misurazione astronomica e quella meccanica vede l’H4 vincitore: 16km di errore contro 48 (e a costo di complesse misurazioni e calcoli astrusi).

A questo punto direte: si è meritato il premio!

E invece no, dopo una vita spesa a concepire i suoi meccanismi, il Board gli propone 10.000 sterline subito, la metà, e il resto solo dopo che si sia verificata e resa possibile la duplicazione su larga scala dell’orologio (obiezione comprensibile, visto che si trattava di oggetti costruiti a mano in anni di lavoro mentre ne sarebbe servito uno su ogni nave) e l’esito della verifica da parte degli astronomi di Greenwich.

Sfiga vuole che l’astronomo della sfida in Giamaica è diventato Astronomer Royal e ovviamente manda a monte le speranze di Harrison sostenendo che la macchina è inaffidabile.

Harrison, che per non saper nè leggere e nè scrivere ha intanto realizzato l’H5 che vedete sotto, a questo punto si incazza e ottiene udienza dal Re che, pure lui stufo dei parrucconi del Board, prova personalmente l’H5 e gli fa assegnare il tanto agognato premio in denaro (mentre il riconoscimento ufficiale non è mai stato assegnato a nessuno!).

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Insomma, alla fine, ormai ottantenne, Harrison diventa un milionario anche se i suoi soldi se li godrà sopratutto il figlio, che non ha mai progettato neppure una clessidra e se l’è spassata tutta la vita…