Il paradosso di Olbers

Curiosità Spaziali questa volta vi spiegherà un problema così complesso, ma così complesso che il solo pensarci vi farà scoppiare la testa.

Il paradosso di Olbers

Il paradosso di Olbers è riassumibile dalla seguente frase:
Come è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante l’infinità di stelle presenti nell’universo?

Il paradosso è che un universo infinitamente vecchio e statico, con un numero infinito di stelle distribuite in uno spazio infinitamente grande, sarebbe brillante anziché così oscuro.
Per dimostrare questo si divide l’universo in una serie di gusci concentrici di 1 anno luce di spessore. In tal modo ci sarà un numero determinato di stelle nel guscio compreso tra 1000000000(un miliardo) e 1000000001(un miliardo e uno) anni luce di distanza.
Se l’universo è omogeneo su larga scala e se la matematica non ci inganna (come ci insegna @pazqo), allora in un secondo guscio compreso tra 2000000000 e 2000000001 anni luce di distanza ci sarà quattro volte il numero di stelle comprese nel primo guscio.
Adesso starete pensando: Allora il secondo guscio risulterà molto più luminoso a noi!
Sbagliato.

La diffusione della luce da un punto centrale ha andamento sferico, per cui l’irraggiamento, ovvero l’energia ricevuta per unità di superficie ad una distanza r è inversamente proporzionale al quadrato di r.
Così ogni guscio di un certo spessore produrrà la rete stessa quantità di luce indipendentemente da quanto lontano è. Cioè, la luce di ogni serbatoio si aggiunge alla somma totale.
+ Gusci = + Luce

Quindi se l’universo è infinito(numero di gusci infinito) allora non ci sarebbe distinzione tra notte e giorno.
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Quanto sarebbe luminoso l’universo secondo il paradosso?
Supponiamo che l’universo non si stia espandendo, e che abbia sempre avuto la stessa densità di stelle.
L’universo avrà una temperatura media in continua crescita a causa delle radiazioni delle stelle.
Una volta raggiunti i 3000K i fotoni inizierebbero ad essere assorbiti dal plasma d’idrogeno che riempirebbe l’universo, rendendo lo spazio opaco.
La massima densità di radiazione è pari a circa 1.2×10^17 eV/m3 = 2.1×10^−19 kg/m3, pari a circa undici volte la più grande magnitudine mai osservata.
Quindi, in breve, lo spazio sarebbe 50 miliardi di volte più luminoso di quello che è adesso.
Cioè, non so se mi spiego, ti immagini che abbronzatura avremmo? Troppo Jersey Shore!
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Le origini del paradosso

Edward Robert Harrison attribuisce la concezione del paradosso a Thomas Digges, che fu anche il primo a spiegare il sistema copernicano in Gran Bretagna e potrebbe essere stato il primo a postulare un universo infinito con un numero infinito di stelle.
Anche Keplero formulò un paradosso simile nel 1610, e il paradosso ha preso la sua forma matura nel lavoro del XVIII secolo di Halley (quello della cometa) e Cheseaux.

Il paradosso è comunemente attribuito al medico e astrofilo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers, che lo descrisse nel 1823.
Ma Harrison dimostra -in modo convincente- che Olbers era tutt’altro che il primo a porre il problema, né è stata la sua soluzione al riguardo particolarmente preziosa.

Harrison sostiene che il primo a definire una soluzione soddisfacente per il paradosso fu Lord Kelvin, in un suo scritto del 1901.
Curiosamente Edgar Allan Poe, nel suo saggio Eureka, anticipa alcuni aspetti qualitativi dell’argomento di Kelvin:

Dove la successione delle stelle senza fine, e poi lo sfondo del cielo ci presenta una luminosità uniforme, quello che ci mostra la Galassia – è assolutamente inutile, in tutto questo contesto, dato che non esisterebbe una stella. L’unico modo, dunque, in cui, sotto un tale stato di cose, si potrebbe comprendere i vuoti che i nostri telescopi trovano in direzioni innumerevoli, sarebbe da supporre la distanza del fondo invisibile, immenso che nessun raggio da esso ha ancora potuto arrivare a tutti.

La soluzione al paradosso

Per spiegare il paradosso di Olbers, è necessario spiegare la relativamente bassa luminosità del cielo notturno in relazione al nostro sole.
L’universo è solo finitamente vecchio, e le stelle sono esistite solo per una parte di quel tempo.
Così, come suggerito da Poe, la Terra non riceve luce stellare da oltre una certa distanza, corrispondente alla età delle stelle più vecchie.

Tuttavia, la teoria del Big Bang introduce un nuovo paradosso: essa afferma che il cielo era molto più brillante in passato, soprattutto alla fine della epoca di ricombinazione, quando per la prima volta lo spazio è divenuto trasparente.

Tutti i punti del cielo a quell’epoca erano più luminosi del sole, a causa della elevata temperatura dell’universo in quell’epoca preistorica, e abbiamo visto che i raggi di luce non ebbero origine da una stella, ma dalla radiazione di fondo del Big Bang.

Questo paradosso si spiega con il fatto che la teoria del Big Bang coinvolge anche l’espansione del “tessuto” di spazio per sé (non solo della distanza di oggetti in quello spazio) che possono causare la riduzione dell’energia della luce emessa attraverso il redshift.

Più in particolare, i livelli estremi di radiazione proveniente dal Big Bang sono stati spostati verso il rosso fino alle lunghezze d’onda delle microonde (1100 volte inferiore alla sua lunghezza d’onda originale) come conseguenza dell’espansione cosmica, causando la radiazione cosmica di fondo.
Questo spiega la bassa densità di luce relativamente presente nella maggior parte del nostro cielo, nonostante la brillante natura assunta del Big Bang.
Il redshift influisce anche sulla luce delle stelle lontane e dei quasar, ma la diminuzione è solo di un ordine di grandezza o giù di lì, le galassie e i quasar più lontani hanno un redshift pari solo a circa 5-8,6.

Adesso il paradosso sembra quasi un problema da elementari Watson, ma ci son voluti quasi 200 anni per risolverlo.
E in questi 200 anni si sono viste le teorie più disparate: che l’universo era infinitamente vecchio e grande, che la polvere interstellare assorbiva la luce smentita dalla scoperta di una colf spaziale che usa un buco nero come aspirapolvere, che le stelle siano distribuite secondo un frattale, ecc ecc.

Quindi cosa ci insegna questa storia? Che tutte le scoperte sono solo una questione di tempo.
E quindi -forse- i nostri pronipoti produrranno energia pulita attraverso dei motori a gatto imburrato.

Link
Wikipedia
Approfondimento easy
Spiegazione un po’ meno easy

Ricordo che in questo thread potete suggerirmi le tematiche per i prossimi articoli.

[Curiosità Spaziali] è la rubrica di Lega Nerd sulle curiosità e notizie riguardanti spazio e astronomia.

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