[Neapolis Cooking Pro] ‘o Rraù

Una raffinatissima, lentissima, perfetta invenzione gastronomica: e a sorvegliare il tegame di creta che su esiguo fuoco sobbolle e crepita è chiamato di solito il membro più anziano della famiglia, dalla lunga esperienza e dalla perfettissima calma, che sa attendere ore e ore che la carne, ben cotta e benissimo insaporita, ceda al suo sugo ogni sua più lieve e segreta fragranza, rosolandosi, braciandosi, cuocendosi fino a diventare tenerissima mentre la salsa si raddensa, si scurisce, perde ogni aspressa e ogni crudezza, si fa ricca, vellutata, morbida, pingue: tale insomma da poter condire i maccheroni che ora, appena tolti dall’acqua dove hanno acquistato la loro elastica mollezza di quel sugo si bagnano, s’intridono, si nutrono e di quel sublime odore – l’odor delle mattinate domenicali di Napoli! – si vestono.

Cfr. Mario Stefanile Partenope in cucina

Con una cascata di superlativi assoluti, ci avviciniamo oggi a quello che è il piatto sovrano della tradizione culinaria napoletana. Il ragù (ovviamente napoletano e non bolognese) è entrato a tutti gli effetti nell’olimpo della gastromia ed è l’emblema della napoletanità domenicale, della famiglia riunita e dell’uso sopraffino del tempo.
È un piatto piuttosto complesso che necessita di ingredienti non facili a trovarsi (ad esempio ’a cunserv, cioè la conserva di pomodoro, salsa concentrata al sole nei giorni estivi e conservata sotto foglie di fico per l’inverno) e di utensili, come il tegame in creta, ormai non più disponibili se non nelle cucine degli aficionados.
Quasi come un rito da celebrare con devozione, il ragù veniva preparato dal giorno prima (spesso il sabato) con il massimo empirismo possibile. Un’esperienza sensoriale estrema, che si perpetua per almeno 9 ore nell’arco di due giorni.

Potrete provare a cimentarvi, ma sappiate che occorrono anni e anni di esperienza per ottenere risultati ragionevoli. Comunque sia in approfondimento trovate la ricetta tradizionale con tutta la preparazione e la sua poesia, in versione rigorosamente Uncutted.

[more]Girello o prosciutto di maiale 1 kg. – cipolle gr. 350 – conserva di pomodoro gr. 200 – Concentrato di pomodoro gr. 400 – Sugna o olio gr. 200 – Gallinelle di maiale o “tracchiulelle” 6 – Vino rosso, possibilmente Gragnano, 1/4 di litro.

Vi è una prima fase di preparazione, come si cantasse il Vespro prima dell’Introito, per la celebrazione di questo sacro rito. Questa consiste nel legare il pezzo di carne qualora non ve l’abbia già preparato il vostro macellaio che in questo caso, prima di raffrenare il pezzo di carne con la cordicella potrà anche provvedere a contornarlo con piccole trance di pancetta. Poggiate quindi la carne sulle cipolle tritate e sul condimento e mettete la pentola sul fuoco, a calore medio. Carne e cipolla rosoleranno insieme: la prima comincerà a fare la sua crosta scura, a chiudersi, come dicono al nord; le seconde devono appassirsi senza bruciare. Per ottenere questo risultato dovete restar lì inchiodati vicino al fornello, tenervi sempre pronti col mestolino di legno, ed innaffiare con due dita di bicchiere di vino appena vi sembra che il contenuto della pentola possa bruciare. Le cipolle si devono, come si dice nel linguaggio tecnico, consumare; devono cioè quasi scomparire. Quando la carne sarà diventata di un bel colore marroncino tutt’intorno, sarà venuto il momento di mettere la conserva, che cercherete di sciogliere nel grasso col cucchiaio di legno. Non stancatevi mai di rigirarla e se per fare questo mestiere la carne dovesse darvi fastidio potrete anche temporaneamente accantonarla o toglierla dalla pentola. Vedrete che man mano il grasso verrà in superficie e la conserva diverrà sempre più scura. Quando comincerà ad attaccare sul fondo della pentola, tiratela col vino, o se questo fosse terminato, con poca acqua, e cominciate poi pian piano ad aggiungere delle cucchiaiate di concentrato di pomodoro. Mentre la conserva è già scura dall’inizio, il concentrato, che è di un rosso vivo, deve anch’esso scurirsi come la conserva. È utile aggiungere che questa fase comporta circa tre ore di lavoro dall’inizio. Quando avrete finito col pomodoro, rimettete nella pentola la carne che avevate tolto per poter meglio rigirare, aggiungete acqua fino a coprirla, assaggiate se il sugo n giusto di sale e, se manca, salate e pepate. Ponete il coperchio sul tegame senza chiuderlo del tutto, in modo che resti un piccolo sfiatatoio e, non appena il pomodoro avrà ripreso il bollo mettete il fuoco al minimo, in modo che il ragù possa pippiare, ossia bollire a malapena. Soltanto ora, finalmente, potrete allontanarvi dalla pentola, e basterà che diate uno sguardo di tanto in tanto per assicurarvi che il sugo non si addensi troppo e che non attacchi sul fondo. Man mano che la carne si cuoce, è consigliabile sollevarla dal sugo, in quanto le tracchiulelle cuoceranno molto prima del grosso pezzo di manzo o di maiale. Tenete però sempre presente che la carne a ragù deve essere molto cotta, e quindi le tracchiulellie sarannno cotte quando cominceranno a distaccarsi dalle ossa, ed il pezzo intero quando la forchetta vi penetrerà con estrema faciltà. Fate quasi raffreddare la carne prima di affettarla e rimettetela poi nel sugo, in modo da servirla ben calda. Con questo sugo potrete condire zitoni, paccheri, regine, penne, fusilli, orecchiette, cannelloni, gnocchi, insomma preferibilmente pasta grossa, e la famosa lasagna alla napoletana. lo vi consiglio gli zitoni lunghi da spezzare, togliendo gli archetti che serviranno, con la « minuzzaglia », da mischiare ai fagioli o alle patate. Per contorno sono da preferirsi i friarielli saltati in padella, con aglio, olio e peperoncino e, come vuole la tradizione, a crudo.[/more]

Buona lettura e buon appetito!

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