Esperimento Carcerario di Stanford part.2 – Guardie e detenuti

Parte 1

Le guardie
Come nella realtà le guardie vennero informate dell’importanza della loro mansione e dei rischi che potrebbero correre, ma (a differenza della realtà) l’unica direttiva che ricevettero fu di fare tutto ciò che ritenevano necessario per mantenere l’ordine e farsi rispettare dai prigionieri. Questo senza prima seguire alcun tipo di corso o addestramento.

Tutte le guardie indossavano una divisa color caco, vennero munite di fischietto e manganello e portavano tutte degli occhiali a specchio.
L’utilizzo degli occhiali a specchio è stato deciso per non far intravedere gli occhi e le espressioni (sintomo di emozioni e quindi di debolezza) rendendo così “inumana e forte” la loro presenza (foto 1).

Ovviamente lo studio comportamentale delle guardie era tanto importante quanto quello dei prigionieri. Ambedue i gruppi si trovavano per la prima volta a ricoprire tali ruoli.
I carcerieri erano divisi in gruppi di tre e si davano il cambio ogni otto ore.

I detenuti:
Una volta arrivati i prigionieri vennero condotti dal “direttore del penitenziario della contea di Stanford”, che li informò della loro condizione di carcerati e dei propri “crimini” e successivamente vennero perquisiti e cosparsi di una sostanza contro germi e pidocchi (foto 2).

Questa è una procedura utilizzata anche in una prigione del Texas, come documenta questa foto di Danny Lyons.

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Ad ogni prigioniero venne consegnata una uniforme da indossare senza mutande o biancheria intima, con stampato fronte e retro il numero identificativo e da quel momento si sarebbero dovuti riferire alle guardie o agli altri detenuti esclusivamente tramite quello. Non avevano più nome e cognome, solamente un numero, rendendoli così anonimi e causando la conseguente perdita dell’identità, data anche dalla rasatura dei capelli subita qualche istante prima.

Dopo aver indossato tali “uniformi” si riscontrò che i detenuti iniziarono a camminare e a sedersi in modo diverso, più femminile.

Oltre a questo venne applicata una pesante catena con lucchetto alla caviglia destra, gli vennero dati dei sandali di gomma ed un berretto fatto con calze di nylon da donna. Tale catena li opprimeva, e li rendeva consci della propria condizione di prigionieri anche mentre dormivano, perché bastava che si girassero nella branda per farla sbattere sulla caviglia dell’altro piede svegliandoli e ricordandogli l’impossibilità dell’evasione, anche in sogno (foto 3).

Il berretto veniva utilizzato in sostituzione della capigliatura, che a seconda della lunghezza può esprimere il proprio modo di essere. Questa è una pratica eseguita soprattutto nelle carceri militari.
Nella gallery trovate la fotografia di uno dei “detenuti” prima e dopo la rasatura, vi renderete subito conto dell’enorme differenza (foto 4).

I detenuti erano coscienti che avrebbero potuto subire abusi di potere, tagli delle razioni alimentari, violazione della privacy e dei diritti civili, ed avevano firmato il proprio consenso.

I carcerati erano chiusi nelle celle a gruppi di 3.

Nota: altre 24 persone attendevano pronte a subentrare nell’esperimento in caso di necessità.

So che i preamboli son stati lunghi, ma erano necessari per una corretta comprensione dei personaggi in gioco, e del fatto che nulla è stato lasciato al caso. Fin da subito si nota come si cerchi di rendere il più succube possibile ogni prigioniero.

Dal prossimo post (tra un’oretta) inizieremo ad entrare nel vivo dell’esperimento, analizzando i primi fatti che hanno comportato una vera e propria reazione psicologica a catena.

Terza parte

[ESE] è la rubrica a cura di @WebDataBank che parla degli esperimenti scientifici più controversi.

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