Ernesto “Che” Guevara

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Hasta la victoria siempre. Patria o muerte.

Premessa
Con questo articolo voglio solamente illustrare, a chi non la conosce, la vita di un uomo che è entrato nella storia.
Qui constato soltanto il dato di fatto che il suo pensiero e la sua vita hanno influenzato, in positivo o in negativo, il mondo odierno.
Eventuali diatribe generate da prese di posizione politiche non sono gradite.

Perché Ernesto “Che” Guevara?
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Il soprannome di “Che” venne attribuito a Guevara dai compagni di lotta cubani in Guatemala, e deriva dal fatto che Guevara, come tutti gli argentini, pronunciava spesso la locuzione “che”. La parola deriva dalla lingua mapuche e significa “uomo” o “persona”, e venne ripresa nello spagnolo parlato in Argentina ed Uruguay, per chiamare l’attenzione di un interlocutore, o più in generale, come un’esclamazione simile a “ehi”.
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Il giovane Che
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Ernesto Guevara de la Serna nacque a Rosario, in Argentina  il 14 giugno 1928.
Figlio di una famiglia borghese benestante di origini spagnole, basche ed irlandesi. I genitori erano Ernesto Guevara Lynch e Celia de la Serna.

Guevara, nonostante soffrisse d’asma, era dedito allo allo sport, specialmente al rugby (militò per un breve periodo anche nel San Isidro), con ottimi risultati. In questo contesto acquisì il soprannome “Fuser”, contrazione di “Furibondo Serna”, suo tipico grido quando partiva all’attacco.

Ma Guevara non era solo un appassionato di sport fisici.
Sin dalla giovane età sviluppò una grande passione per gli scacchi, passione che lo porterà a disputare diversi tornei locali durante l’adolescenza.

Sempre durante l’adolescenza nasce la sua passione per la letteratura, probabilmente quella che ebbe l’effetto maggiore nello sviluppo della sua coscienza rivoluzionaria.
Egli era un lettore onnivoro, variava dalla poesia di Pablo Neruda ai classici dell’avventura di Jack London, Jules Verne ed Emilio Salgari senza escludere i saggi di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung ed i trattati filosofici di Bertrand Russell.

Nella tarda adolescenza si appassionò alla fotografia, passando molte ore a fotografare persone e luoghi. Anni dopo, avrebbe fotografato i siti archeologici visitati nei suoi viaggi.

Studiò dal 1941 nel “Colegio Nacional Deán Funes” e, nel 1948, si iscrisse all’Università di Buenos Aires per studiare medicina: dopo diverse interruzioni, si laureò il 12 luglio 1953.
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Il Che e la motocicletta
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Quando era ancora studente, Guevara passò molto tempo a viaggiare in America Latina. Nel 1951 un suo vecchio amico, Alberto Granado, un biochimico, suggerì a Guevara di prendere un anno di pausa dagli studi in medicina per intraprendere il viaggio attraverso il Sudamerica che per anni si erano proposti di fare.
Guevara ed il ventinovenne Alberto partirono quindi dalla città di Alta Gracia a cavallo di una motocicletta Norton Model 18 di 500 cc del 1939, cui Granado aveva dato il soprannome di “La Poderosa II”.

La loro idea era di passare qualche settimana nel lebbrosario di San Pablo, in Perù, sulle rive del Rio delle Amazzoni, a compiere attività di volontariato. Guevara raccontò questo viaggio nel diario “Latinoamericana” (Notas de viaje).

Dopo aver visto la povertà di massa ed esser stato influenzato dalle letture sulle teorie marxiste, concluse che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le disuguaglianze sociali ed economiche dell’America Latina. I suoi viaggi gli fornirono anche l’idea di non vedere il Sudamerica come una somma di diverse nazioni, ma come un’unica entità, per la liberazione della quale era necessaria una strategia di respiro continentale.
Cominciò ad immaginare la possibilità di una Ibero-America unita e senza confini, legata da una stessa cultura (mestizo), un’idea che assumerà notevole importanza nelle sue ultime attività rivoluzionarie.
Ritornato in Argentina, completò gli studi il prima possibile, deciso a continuare i suoi viaggi nell’America del Sud e nell’America centrale.

Da queste sue esperienze e dal suo diario venne tratto il film “I diari della motocicletta”.
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Guatemala
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Appena terminata l’università Guevara  ricominciò a viaggiare, visitando Bolivia, Perù, Ecuador,Panamá, Costa Rica, Nicaragua, Honduras e El Salvador.
Ma è il Guatemala il teatro dove il Che, l’icona, muove i primi passi della Revolución.

In quel periodo il Guatemala era governato dal presidente Jacobo Arbenz Guzmán, capo di un governo populista che cercava di portare avanti una rivoluzione sociale attraverso varie riforme, soprattutto fondiarie.
Guevara si avvicino al governo Arbenz tramite molte conoscenze fatte in quel paese, tra le quali si annovera la socialista peruviana Hilda Gadea e Antonio “Ñico” López, che aveva preso parte all’attacco della caserma “Carlos Manuel de Céspedes” a Bayamo.

Il caso volle che durante il suo soggiorno in Guatemala Carlos Castillo Armas mise in atto un tentativo di colpo di stato, organizzato con l’appoggio della CIA, dando luogo a una violenta guerriglia in tutto il paese.

Guevara entrò in una milizia armata organizzata dai giovani comunisti, ma ben presto ritornò ai suoi impegni medici. A seguito del colpo di stato, Guevara si era presentato volontario, ma Arbenz consigliò ai sostenitori dotati di cittadinanza estera di abbandonare il paese. Dopo che Hilda fu arrestata, Guevara per breve tempo si rifugiò nel consolato argentino e poi si trasferì in Messico.

Il colpo di stato contro Arbenz, consolidò l’opinione di Guevara che gli Stati Uniti fossero una potenza imperialista, che si sarebbe sempre opposta ai governi intenzionati a ridurre le disparità economiche, endemiche in America Latina e negli altri paesi in via di sviluppo. Questo rafforzò ulteriormente la sua convinzione secondo cui solo il socialismo, raggiunto attraverso la lotta armata e difeso dal popolo in armi, avrebbe risolto i problemi dei paesi poveri.
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La  Revolución
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Durante la sua permanenza in Messico Guevara consolidò la sua amicizia con López e gli altri esuli cubani che aveva incontrato nel Guatemala.
Fra questi vi era anche Raul Castro che fece da intermediario iniziale fra Guevara e suo fratello Fidel.

Dopo una fervida conversazione durata tutta la notte, Guevara si convinse che Castro era il capo rivoluzionario che stava cercando ed aderì al Movimento del 26 di luglio, che aveva in programma di abbattere il dittatore cubano Fulgencio Batista.

Anche se i piani prevedevano che Guevara avrebbe dovuto essere solo il medico del gruppo, egli partecipò all’addestramento militare insieme agli altri membri del movimento e, alla fine del corso, fu segnalato dall’istruttore, il colonnello Alberto Bayo, come il migliore degli allievi.

Il 2 gennaio 1959 la colonna del Che entra nella capitale di Cuba, La Havana, e occupa la fortezza militare “La Cabaña”, eretta al tempo della colonizzazione degli spagnoli a L’Avana.

Per i sei mesi in cui rivestì l’incarico di comandante della prigione sovrintese ai processi e alle esecuzioni di circa 55 militari, ex ufficiali del regime di Batista, membri del BRAC (Buró de Represión de Actividades Comunistas, “Ufficio repressione attività comuniste”).
Nel frattempo organizza una scuola di alfabetizzazione per tutti gli ex combattenti e incontra Salvador Allende.
Successivamente il Che dedicherà al futuro Presidente del Cile il libro “La guerra di guerriglia”:

A Salvador Allende che con altri mezzi cerca di ottenere la stessa cosa. Con affetto, Che.

Il 7 febbraio 1959, il nuovo governo nominò Guevara “Cittadino cubano per diritto di nascita”.
Il 12 giugno dello stesso anno, in rappresentanza del governo, parte per il Medio Oriente e l’Asia, alla testa di una delegazione economica che ha come obiettivo principale l’apertura di nuovi mercati.
Nello stesso anno, durante l’estate, visitò anche l’allora Jugoslavia e fece tappa anche a Fiume, dove i funzionari locali lo accompagnarono nelle fabbriche della zona, come ad esempio il cantiere navale “3 maggio”, per capire il sistema aziendale dell’autogestione delle stesse da parte dei lavoratori.

In seguito, Guevara divenne dirigente dell’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria e poi presidente della Banca Nazionale di Cuba, in un certo senso, uno scherzo del destino, poiché aveva spesso condannato il denaro. Espresse il suo disagio firmando le banconote col soprannome “Che”.
Già dal 1959, Guevara aiutò ad organizzare tentativi rivoluzionari, a Panamá e poi nella Repubblica Dominicana. Alcuni definiscono queste operazioni come una purga dei fedeli di Camilo Cienfuegos.

Nel 1960 Guevara prese parte ai soccorsi alle vittime in seguito all’esplosione della nave La Coubre. Mentre l’operazione di salvataggio era in corso, avvenne una seconda esplosione.
I morti furono oltre cento.
 Fu in questa occasione che Alberto Korda scattò la sua fotografia più famosa.

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Dopo essere stato direttore dell’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria e della Banca Nazionale di Cuba, Guevara venne nominato Ministro dell’Industria. In questa posizione, diede il suo contributo a modellare il socialismo cubano, diventando una delle figure politiche più importanti dell’isola.

Nel suo libro Sulla guerriglia, Guevara sostenne il modello cubano di rivoluzione, iniziato da un piccolo gruppo di guerriglieri (foco), senza la necessità di ricorrere a grandi organizzazioni che sostenessero l’insurrezione armata (Dottrina del focolaio). Questa strategia più tardi sarebbe fallita in Bolivia.
Nel saggio El socialismo y el hombre en Cuba (1965) sostenne la necessità di creare un “uomo nuovo” (hombre nuevo) assieme allo stato socialista.

Durante l’invasione della Baia dei Porci (1961), Guevara non partecipò ai principali combattimenti, essendo stato assegnato da Castro ad un comando nella provincia più occidentale di Cuba, Pinar del Rio, dove respinse un tentativo d’invasione (era un’operazione diversiva, escogitata per stornare l’attenzione dei cubani dal luogo del vero sbarco). Durante lo svolgimento di questo incarico, patì una ferita al volto, che affermò essere stata causata dallo sparo accidentale della sua pistola.
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Il Che e l’allontanamento da Castro
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Nel dicembre 1964 Guevara andò a New York in qualità di capo della delegazione cubana e tenne un discorso all’Assemblea Generale dell’ONU (Cliccate qui per scaricare il file audio).

In quell’occasione, apparve nel programma domenicale d’informazione Face the Nation sulla CBS ed incontrò diverse personalità ed esponenti di gruppi politici.
Tra loro, il senatore statunitense Eugene McCarthy, componenti del gruppo guidato da Malcolm X e dalla radicale canadese Michelle Duclos.

Il 17 dicembre volò a Parigi, dando inizio a un viaggio di tre mesi, in cui visitò la Repubblica Popolare Cinese, l’Egitto, l’Algeria, il Ghana, la Guinea, il Mali, il Dahomey, il Congo-Brazzavillee, la Tanzania, con soste in Irlanda, a Parigi e a Praga.

Ad Algeri, il 24 febbraio 1965, fece l’ultima apparizione pubblica sul palcoscenico internazionale, intervenendo al “Secondo seminario economico sulla solidarietà afro-asiatica”. Nel suo discorso dichiarò:

In questa lotta fino alla morte non ci sono frontiere. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a quanto accade in ogni parte del mondo. Una vittoria di qualsiasi nazione contro l’imperialismo è una nostra vittoria, come una sconfitta di qualsiasi nazione è una nostra sconfitta.

I paesi socialisti hanno il dovere morale di liquidare la loro tacita complicità con i paesi sfruttatori del mondo occidentale.

Ritornò a Cuba il 14 marzo, ricevuto solennemente all’aeroporto di L’Avana da Fidel e Raúl Castro, Osvaldo Dorticós e Carlos Rafael Rodríguez.
Due settimane dopo, Guevara si ritirò dalla vita pubblica e scomparve. Dove fosse restò il grande mistero cubano per tutto il 1965, anche se era sempre genericamente considerato il “numero due” del regime dopo Castro.

La sua latitanza fu variamente attribuita al relativo insuccesso del piano d’industrializzazione che aveva portato avanti da ministro dell’Industria, alle pressioni esercitate su Castro dai Sovietici, allarmati dalle tendenze filo cinesi di Guevara, in un momento in cui la frattura tra Mosca e Pechino si approfondiva, oppure a gravi divergenze tra Guevara ed il resto della dirigenza cubana sullo sviluppo economico dell’isola e sulla sua linea politica.

È anche possibile che Castro fosse stato reso diffidente dalla popolarità di Guevara, che poteva farlo diventare una minaccia. I critici di Fidel affermano che le sue spiegazioni sulla scomparsa di Guevara sono sempre sembrate sospette e molti trovano sorprendente che Guevara non dichiarasse mai le sue intenzioni in pubblico, ma solo con una lettera priva di data a Castro.

Durante la crisi dell’ottobre 1962, Guevara percepì come un tradimento sovietico la decisione – presa da Nikita Khruščёv senza consultare Castro – di ritirare i missili da Cuba. Divenne quindi più scettico nei confronti dell’URSS. Come emerso dal suo ultimo discorso ad Algeri, del 24 febbraio 1965, aveva iniziato a vedere l’emisfero settentrionale, guidato ad ovest dagli Stati Uniti e ad est dall’Unione Sovietica, come unica entità sfruttatrice dell’emisfero meridionale.

Il 3 ottobre 1965, Castro rese pubblica una lettera priva di data presumibilmente scrittagli da Guevara diversi mesi prima, in cui questi riaffermava la sua solidarietà con Cuba, ma dichiarava anche la sua intenzione di abbandonare l’isola e di andare a combattere altrove per la Rivoluzione.
Spiegava che:

Altri paesi nel mondo hanno bisogno dei miei modesti sforzi.

Nella stessa lettera Guevara annunciava di dimettersi da tutte le cariche che occupava, nel governo, nel partito e nelle forze armate. Rinunciò anche alla cittadinanza di Cuba, che gli era stata concessa nel 1959 per i suoi meriti nella rivoluzione.

Durante un’intervista con quattro giornalisti stranieri il 1 novembre, Castro disse di essere al corrente dove fosse Guevara e aggiunse, riguardo alle voci su una possibile morte del vecchio compagno d’armi, che questi, al contrario, godeva di ottima salute. Dove fosse Guevara restò, comunque, un mistero per i successivi due anni, durante i quali i suoi movimenti rimasero segreti.
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Congo
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Durante un incontro, durato tutta la notte tra il 14 ed il 15 marzo 1965, Guevara e Castro si trovarono d’accordo sul fatto che il Che avrebbe guidato personalmente la prima azione militare cubana in Africa.

Alcune fonti, di solito affidabili, affermano che Guevara convinse Castro ad affidargli questa impresa, mentre altre fonti, di uguale affidabilità, sostengono che fu Castro a convincere Guevara ad intraprendere la missione, argomentando che le condizioni sociali dei diversi paesi latino americani presi in considerazione come possibili “fuochi” di guerriglia non erano ancora ottimali.
Lo stesso Castro ha confermato questa seconda versione.

L’operazione cubana nell’ex Congo Belga (più tardi Zaire e attualmente Repubblica Democratica del Congo) era finalizzata al sostegno del movimento marxista dei Simba, favorevole a Patrice Lumumba.

Il proposito di Guevara era quello di esportare la rivoluzione cubana indottrinando i Simba all’ideologia comunista ed insegnando loro le strategie della guerriglia. L’incompetenza, il settarismo e le lotte intestine delle varie fazioni congolesi furono indicate da Guevara come le principali ragioni del fallimento della rivolta.

Dopo sette mesi, malato, sofferente per l’asma e frustrato dalle avversità, Guevara abbandonò il Congo con i cubani sopravvissuti (sei membri della sua colonna erano morti). Ad un certo punto fu tentato di rimandare a Cuba soltanto i feriti, rimanendo a combattere da solo in Congo fino alla fine, per offrire un esempio ai rivoluzionari. I suoi compagni d’armi e due emissari di Fidel Castro lo convinsero però a lasciare il campo di battaglia.

Dal momento che Fidel Castro aveva reso di dominio pubblico una lettera che Guevara gli aveva inviato, in cui il rivoluzionario argentino scriveva della sua intenzione a recidere ogni legame con Cuba per dedicarsi interamente alla rivoluzione in altre parti del mondo, il Che non se la sentì moralmente di tornare sull’isola e passò i successivi sei mesi vivendo clandestinamente a Dar-es-Salaam, Praga e nella Repubblica Democratica Tedesca.

Durante questo periodo, scrisse le sue memorie sull’esperienza in Congo e iniziò ad elaborare altri due libri, uno di filosofia (Apuntes Filosóficos) e uno di economia (Notas Económicas).
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Guerriglia
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Nel periodo compreso fra il suo “esilio” da Cuba dopo il fallimento in Congo e la sua riapparizione in Bolivia del Che se ne erano perse le tracce.

In un discorso tenutosi durante la manifestazione del Primo maggio 1967 al’Avana, il ministro delle forze armate facente funzione, maggiore Juan Almeida, annunciò che Guevara stava servendo la rivoluzione da qualche parte nell’America Latina.
Le notizie, sempre più consistenti, secondo cui stava conducendo la guerriglia in Bolivia vennero infine considerate degne di fede.

Su richiesta di Fidel Castro, un pezzo di terreno in una zona remota era stato comprato dai comunisti boliviani perché Guevara lo utilizzasse come base e campo d’addestramento.

Le numerose foto di Guevara e degli altri membri del gruppo, lasciate nel campo base dopo che questo fu abbandonato a seguito dei primi scontri con l’esercito boliviano, nel marzo 1967, fornirono al presidente René Barrientos Ortuño la prova della presenza del rivoluzionario argentino nel paese.

Si dice che, dopo averle viste, Barrientos espresse il desiderio di vedere la testa di Guevara piantata su una picca e mostrata nel centro di La Paz. Ordinò quindi all’esercito di dare la caccia al gruppo cubano.

Il reparto di Guevara, composto da circa 50 combattenti e denominato ELN (Ejército de Liberación Nacional de Bolivia), era ben equipaggiato e inizialmente conseguì un certo numero di successi contro le forze boliviane, nonostante si trovassero sul terreno difficile e montuoso della regione di Camiri. In settembre, tuttavia, l’esercito riuscì ad eliminare due gruppi guerriglieri, uccidendo uno dei capi.

Nonostante la natura violenta del conflitto, Guevara fornì cure mediche a tutti i militari boliviani che i guerriglieri presero prigionieri e, di seguito, li rilasciò.
Anche dopo l’ultima battaglia di Quebrada del Yuro, in cui fu ferito e catturato, quando fu condotto in un centro di detenzione provvisoria e vide che lì si trovavano diversi militari boliviani rimasti feriti nel combattimento, si offrì di fornirgli assistenza medica (offerta rifiutata dall’ufficiale boliviano in comando).

Il piano di Guevara per fomentare la rivoluzione in Bolivia si basava su alcune concezioni sbagliate:

_Si aspettava di dover affrontare solo il governo militare locale ed il suo esercito, male armato e poco equipaggiato. Al contrario, appena il governo statunitense ebbe confermata la sua presenza in Bolivia, inviò personale della CIA e di altre agenzie per aiutare ad organizzare la contro guerriglia. L’esercito boliviano venne addestrato da consiglieri appartenenti alle forze speciali dell’US Army, incluso un nuovo battaglione dei Rangers esperto in combattimento nella giungla. I reparti speciali statunitensi probabilmente presero parte anche a certi combattimenti.

_Si aspettava di ricevere assistenza e cooperazione dai locali oppositori al governo. Queste aspettative vennero frustrate ed il Partito comunista boliviano, filosovietico e non filocubano, non lo aiutò affatto, anche se alcuni membri, come Rodolfo Saldana, Serapio Aquino Tudela e Antonio Jimenez Tardiolo lo fecero a titolo personale o si arruolarono nei suoi reparti, contro la volontà dei vertici di partito.

_Si aspettava di rimanere in contatto radio con l’Avana. Al contrario, le due trasmittenti ad onde corte che gli erano state fornite erano difettose, impedendo le comunicazioni con Cuba. Dopo qualche mese, il registratore a nastro che utilizzavano per registrare e decodificare i messaggi radio provenienti da Cuba fu perso durante l’attraversamento di un fiume.

Oltretutto, la sua inclinazione al confronto più che al compromesso contribuì probabilmente alla sua incapacità di sviluppare un buon rapporto di lavoro con i dirigenti boliviani, come era avvenuto anche in Congo.
Questo tratto del suo carattere era emerso anche nel corso della guerriglia a Cuba, ma era stata tenuta sotto controllo dalla guida di Fidel Castro.

In realtà l’ipotesi che il Che stesse preparando la rivoluzione in Bolivia sembra non essere corretta. È più probabile, come confermano anche le ricerche del giornalista boliviano José Luis Alcázar, che stesse preparando una scuola d’addestramento per guerriglieri, per portare in un secondo tempo queste forze a sud ed entrare nel suo Paese d’origine, l’Argentina.
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La morte di un’icona
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Già da più di un mese, dal 31 agosto, l’avanguardia di Guevara era rimasta sola dopo l’annientamento da parte dell’esercito della retroguardia comandata da Joaquin, a Puerto Mauricio, sul Rio Grande. L’imboscata ebbe successo grazie alla delazione di un contadino, Honorato Rojas, che minacciato e picchiato da alcuni soldati, rivelò il luogo del possibile attraversamento del fiume da parte dei guerriglieri.

Guevara, durante i primi giorni di ottobre, ormai con poche informazioni, senza viveri e con scarse vie di scampo, si rifugia in un canalone (quebrada) dove è circondato da forze militari preponderanti.
Qui Guevara è catturato dall’esercito boliviano, assieme ad altri guerriglieri, l’8 ottobre del 1967 nella quebrada del Yuro, a pochi km dal villaggio di La Higuera.
Si arrese dopo essere stato ferito alle gambe e dopo che il suo fucile fu distrutto da un proiettile.

Barrientos, appena informato della cattura, ne ordinò l’esecuzione, ma diffuse un comunicato in cui affermava che Che Guevara era morto in combattimento. Guevara fu recluso nella piccola scuola del paese, dove passò la notte.
Fu ucciso nel primo pomeriggio successivo, il 9 ottobre 1967.

L’uccisore fu Mario Terán, un sergente dell’esercito scelto a sorte tra alcuni volontari. Su quanto accadde dopo esistono diverse versioni.

Qualcuno dice che Terán era troppo nervoso, al punto di uscire dal locale e dover essere ricondotto dentro a forza. Per altri, non volle guardare Guevara in faccia, così da sparargli alla gola, ferita che sarebbe stata fatale.
Per altri ancora, il sergente avrebbe avuto bisogno di ubriacarsi, al fine di portare a termine il compito.

La versione più accreditata racconta che Guevara ricevette diversi spari alle gambe, sia per evitare di deturpargli il volto ed ostacolare l’identificazione, sia per simulare ferite in combattimento, così da nascondere l’esecuzione sommaria del prigioniero. Come colpo di grazia, gli spararono al petto: ferita che gli riempì i polmoni di sangue. Guevara pronunciò diverse parole famose prima della morte. Si è detto che avrebbe accolto così il suo uccisore:

So che sei qui per uccidermi. Spara dunque, codardo, stai solo uccidendo un uomo.

Il suo corpo venne portato a Vallegrande, dove venne adagiato su un piano di lavaggio dell’ospedale e mostrato alla stampa.
Le fotografie scattate allora fecero nascere leggende come quelle di “San Ernesto de La Higuera” e “El Cristo de Vallegrande”.

Dopo che un medico militare ebbe amputato le mani al cadavere, l’esercito boliviano fece sparire il corpo, rifiutandosi di rivelare se i resti fossero stati sepolti o cremati.

La caccia a Guevara in Bolivia fu guidata da Félix Rodríguez, un agente della CIA che era stato infiltrato a Cuba per prendere contatto con i ribelli dei Monti Escambray e con ambienti anti-castristi di l’Avana, prima dell’invasione alla Baia dei Porci, e che era stato con successo fatto uscire dall’isola dopo il fallimento dello sbarco.

Rodríguez riferì la notizia della cattura al quartier generale della CIA a Langley, in Virginia, servendosi di diverse stazioni dell’Agenzia situate in Sud America. Dopo l’esecuzione Rodríguez prese per sé oggetti personali di Guevara. Negli anni seguenti, avrebbe spesso mostrato con orgoglio ai giornalisti questi cimeli.

Il 15 ottobre Castro riconobbe pubblicamente la morte di Guevara e proclamò tre giorni di lutto nazionale. La morte del Che fu vista come un grave fallimento per i movimenti rivoluzionari d’impronta socialista operanti nell’America latina e nel resto del terzo mondo.

Il 28 giugno 1997 i resti del cadavere di Guevara furono esumati in una fossa comune vicino alla pista di volo a Vallegrande. A guidare gli scavi fu l’antropologo cubano Jorge Gonzalez che il 2 luglio annuncia lo storico rinvenimento.

Pochi giorni dopo le spoglie del Che venivano riportate a Cuba e accolte nella base militare di San Antonio de los Banos, 35 km a Sud dell’Avana, da Fidel Castro, suo fratello Raul, ministro delle FAR (Forze armate rivoluzionarie), la vedova del Che, Aleida March, i figli Aleida, Celia, Camilo ed Ernesto, alcuni dirigenti politici e militari e gli amici.

Dall’11 al 13 ottobre 1997 a Cuba fu proclamato lutto nazionale: le ossa di Guevara, assieme a quelle di sei altri combattenti cubani morti durante la campagna in Bolivia, furono pubblicamente commemorate e quindi tumulate il 17 con tutti gli onori militari, in un mausoleo costruito appositamente nella città di Santa Clara, dove trentanove anni prima aveva vinto quella che era stata ritenuta la battaglia decisiva della rivoluzione cubana.

Il monumento è corredato da una grande statua con la scritta “Hasta la victoria siempre” e da una lapide recante la parte iniziale del testo del famoso ordine di servizio firmato da Fidel Castro il 21 agosto 1958, con cui venivano comunicate le istruzioni operative per la colonna numero 8, comandata da Guevara: 

Se asigna al comandante Ernesto Guevara la misión de conducir desde la Sierra Maestra hasta la provincias de Las Villas una Columna rebelde y operar en dicho territorio de acuerdo con el plan estratégico del Ejército rebelde.

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Film su Che Guevara

Canzoni su Che Guevara

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