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Esistono ancora tesori nascosti, sepolti da qualcuno secoli fa e rimasti tali fino ai nostri giorni? Una storia d’altri tempi, perfetta come sceneggiatura per un film western, sembrerebbe confermare quest’ipotesi.
Nel 1825, a Lynchburg, Virginia, un forestiero di nome Thomas Beale affidò a Robert Morriss, proprietario dell’Hotel Washington, una scatola metallica chiusa a chiave da conservare in cassaforte. Beale disse a Morriss che la scatola contiene documenti di importanza vitale per le fortune sue e di altri suoi soci in affari; il forestiero chiese quindi a Morriss di conservare la scatola fino al suo ritorno e, se ciò non fosse avvenuto nel giro di dieci anni, di aprirla; vi troverebbe documenti incomprensibili senza l’aiuto di una chiave che gli verrà recapitata non prima del termine dei dieci anni.
L’albergatore custodì la scatola aspettando il ritorno di Beale per ben vent’anni, ma né lui né altri si fecero vivi per reclamarla; anche della chiave per interpretare i documenti nessuna traccia. Nel 1845 quindi, vinto dalla curiosità, Morriss decise finalmente di aprire la misteriosa scatola. Vi trovò tre fogli pieni di numeri e un biglietto scritto a mano da Beale. Il biglietto chiarì il mistero in cui si trovava coinvolto l’albergatore.
Nel 1817 Beale aveva intrapreso un viaggio verso ovest attraverso l’America con un gruppo di trenta persone. Giunti dopo un anno a nord di Santa Fe, la comitiva scoprì una vena d’oro tra le rocce; nei mesi successivi Beale e i suoi compagni accumularono una grande quantità d’oro e argento che doveva essere messa al sicuro. Incaricarono proprio Beale di portare il prezioso carico in Virginia e nasconderlo in un luogo segreto. Beale tornò in Virginia a seppellire il tesoro in due occasioni, nella seconda delle quali avrebbe dovuto affidare l’esecuzione delle ultime volontà di tutti i compagni circa le rispettive quote del tesoro a una persona fidata. Beale riconobbe tale persona onesta proprio in Morriss.
Il biglietto infine chiariva in parte il contenuto dei tre crittogrammi allegati: descrivevano rispettivamente l’ubicazione del tesoro, la composizione del tesoro e gli eredi a cui ogni socio di Beale affidava la propria quota. Purtroppo Morriss, senza l’aiuto della chiave e privo di nozioni di crittografia, non riuscì mai a decifrare i tre scritti cifrati al fine di affidare il tesoro ai legittimi eredi della fortuna. Per paura che quella storia morisse con lui, Morriss affidò i documenti ad un amico.
La diffusione di tale storia si deve a questo nuovo protagonista, in quanto autore anonimo de [i]The Beale Papers[/i] (1885), un pamphlet in cui descrive proprio l’incontro tra Beale e Morriss. A questo misterioso autore si deve anche la decifratura del secondo crittogramma, quello riguardante la composizione del tesoro.
Tale crittogramma si rivelò un [url=http://en.wikipedia.org/wiki/Book_cipher]book cipher[/url]: la chiave impiega un testo ausiliario (in questo caso la [i]Dichiarazione di Indipendenza[/i]) in cui ogni parola è contrassegnata da un numero, successivamente ogni lettera del testo da cifrare viene sostituita da uno dei numeri la cui parola corrispondente inizia con la lettera da cifrare.
La decifratura del secondo crittogramma rivelò l’esistenza di un tesoro nella contea di Bedford, composto da oro, argento e gioielli, del valore attuale di circa 65 milioni di dollari.
Purtroppo non fu usata la stessa chiave anche per gli altri due crittogrammi e la decifrazione del secondo non bastava a individuare l’esatta collocazione del tesoro. L’anonimo autore precisa nel suo libretto che il tempo dedicato al lavoro di decifratura dei crittogrammi lo portò quasi alla rovina e pubblicò il testo per rendere pubblica la faccenda e allontanare così la tentazione di risolvere l’enigma da solo.
Ed eccoci giunti ai giorni nostri… già, perché dalla pubblicazione del pamphlet e la decifratura del secondo crittogramma nessun altro passo avanti è stato fatto nel rompere i codici mancanti. Ciò non significa che nessuno ci abbia provato, tutt’altro: il fior fiore dei crittanalisti del Novecento provò a mettere le mani sui crittogrammi di Beale, compresi crittanalisti professionisti dell'[i]U.S. Chiper Bureau[/i]. E ovviamente non sono mancati neanche i cacciatori di tesori, spinti nella contea di Bedford dalle seppur poche informazioni sulla collocazione del tesoro.
Molte ipotesi si sono fatte sulla difficoltà di decifrare i codici di Beale. Potrebbe essere stato usato come chiave un articolo scritto dallo stesso Beale (una sorta di antesignano dell’one time pad) e poi andato perduto, se così fosse i codici mancanti sarebbero davvero inviolabili. Altre voci vogliono che la [i]N.S.A.[/i] abbia già recuperato il tesoro, altre ancora che l’anonimo autore abbia alterato i codici prima di pubblicarli nel libretto. Infine non si può non tralasciare la possibilità che tutta la vicenda sia un’invenzione di qualche appassionato di crittografia del tempo che voleva burlarsi dei lettori del libretto; ovviamente a favore o contro questa possibilità si sono alternate diverse opinioni di storici, linguisti e altri studiosi.
Quale sia la verità, i [url=http://en.wikipedia.org/wiki/Beale_ciphers]codici di Beale[/url] riscuotono tutt’oggi grande attenzione da parte di numerosi appassionati di ogni parte del mondo: chiunque può mettersi alla prova con i testi in cifra restanti, spinto soprattutto dall’enorme valore del tesoro sepolto.
Il crittogramma all’inizio dell’articolo è il primo non ancora decifrato, il più interessante, quello che parlerebbe della precisa collocazione del tesoro.
Agli appassionati di [tag]crittografia[/tag] consiglio, se non l’hanno già fatto, di leggere il libro [i]Codici & Segreti[/i], di Simon Singh.