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L’Autoreattore (a.k.a. Statoreattore, Dinamogetto, Ramjet), è uno dei motori aeronautici che più mi ha incuriosito durante gli anni di superiori. Quando lo studiai per la prima volta rimasi a bocca aperta per la genialità della cosa.

Si tratta di un motore a reazione, concettualmente il più semplice fra gli [url=http://it.wikipedia.org/wiki/Esoreattore]esoreattori[/url]. Esso riduce la complessità del turbogetto semplice eliminando il compressore e, di conseguenza, la turbina che deve trascinarlo, grazie alla velocità stessa del velivolo la quale comprime l’aria entrante nella presa d’aria. Questo significa quindi, che lo statoreattore non è in grado di funzionare da fermo (rispetto all’aria), ma ha bisogno di una spinta iniziale impressa da un elemento esterno al sistema, oltre che ad avere prestazioni scadenti alle basse velocità. Il basso rapporto di compressione ricavato dalla presa d’aria infatti non permette lo sviluppo di una spinta ideale.

Il principio di funzionamento dello statoreattore è lo stesso del motore a reazione tradizionale: l’aria esterna entra in una presa dinamica e viene compressa, tramite il restringimento del canale di immissione, e miscelata con il combustibile, per passare poi nella camera di combustione e quindi venire espulsa dalla parte posteriore attraverso un ugello di scarico, [u]a velocità superiore a quella di entrata[/u].
Quando l’aria entra in questo tipo di motore a reazione, anche se il velivolo procede a velocità supersonica, viene rallentata a velocità subsonica a causa della particolare geometria dei condotti, conformati per generare un sistema di urti obliqui. Nell’attraversamento di tali settori del motore la velocità del flusso diminuisce, mentre aumenta la pressione, producendo compressione dinamica. Ad alta velocità questo processo può essere molto efficiente e può comprimere abbastanza aria, per permettere una combustione efficace nel motore.

Attraverso una progettazione accurata della forma della presa d’aria, l’autoreattore è costruito appositamente per sfruttare questo effetto di compressione. Non avendo organi mobili, questo tipo di motore può essere descritto come [i]un lungo tubo a sezione variabile[/i] ed è fra i più leggeri motori a reazione esistenti.
Rispetto al turboreattore, l’autoreattore ha eliminato la [i]turbina[/i] e il [i]compressore[/i], permettendo di raggiungere temperature di combustione più elevate e di conseguenza velocità di efflusso maggiori. L’eliminazione del compressore è resa possibile dal fatto che la pressione di ristagno all’uscita della presa d’aria è già ad un livello che permette una ottima sfruttabilità cinetica dell’energia.
L’elevata pressione in camera è dovuta alla elevata pressione dinamica dell’aria: questo motore infatti, può funzionare solo se la velocità relativa fra aria e velivolo è elevata al punto da generare una notevole pressione dinamica.
Importante è il ruolo svolto dalla presa d’aria che ha il compito di “recuperare” l’energia cinetica posseduta dall’aria con la massima efficienza. Una presa d’aria ad elevata efficienza permette di realizzare in camera di combustione una pressione pari quasi alla pressione di ristagno dell’aria entrante.
In un autoreattore ideale la pressione di ristagno si mantiene costante ed uguale a quella ambiente in tutto il motore.

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L’autoreattore è poco performante a velocità subsoniche, infatti per poter entrare in funzione deve essere spinto ad alte velocità. Per renderli utilizzabili su un ampio spettro di velocità si rendono necessari molti interventi progettuali che comporterebbero la perdita dei vantaggi tipici di questa formula di motori. In pratica gli statoreattori funzionano solamente in un intervallo attorno alla velocità e alla quota per le quali sono stati progettati. In tale intervallo gli autoreattori superano sempre in prestazioni gli equivalenti motori turbogetto tradizionali e nei confronti dei motori a razzo sono più prestanti per quello che riguarda il consumo di combustibile.
Il limite superiore di applicazione di questo tipo di propulsore è fissato all’incirca a Mach 6, più che dalla resistenza dei materiali alle elevate temperature, dall’elevata temperatura di ingresso in camera di combustione, la quale non permetterebbe un salto di temperatura sufficiente ad accelerare il getto.
Il limite inferiore invece dipende in larga parte dalla progettazione aerodinamica della presa d’aria, la quale deve fornire l’adeguato rapporto di compressione.

Gli autoreattori hanno trovato largo impiego quali motori per missili. In questo caso vengono spinti alla velocità supersonica operativa da un motore a razzo oppure vengono trasportati a queste velocità da un altro velivolo, quasi sempre un caccia. Attualmente gli statoreattori sono stati rimpiazzati da piccoli motori turbofan o da motori a razzo. Una variante dello statoreattore è il motore a ciclo combinato che intende superare le limitazioni insite nello statoreattore puro. Un esempio di questo motore è rappresentato dal motore ATR che funziona come un normale turboventola alle velocità subsoniche e come statoreattore a velocità supersoniche.
Un’altra variante dello statoreattore puro è il Pratt & Whitney J58, un autoturboreattore installato sul mitico SR-71 Blackbird. Questo tipo di motore è un turbogetto semplice circondato da uno statoreattore. I due motori funzionano a seconda della posizione delle valvole dei condotti di ammissione dell’aria.

Il Pulsoreattore è un’altra variante dell’autoreattore: a differenza di quest’ultimo però è provvisto di valvole a ritegno lamellari che lasciano passare il flusso d’aria in una direzione ma bloccano i gas combusti della combustione che sono forzati ad uscire solo posteriormente fornendo la spinta.

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La spinta è realizzata in maniera impulsiva (molti impulsi al secondo). Entrambi i motori hanno delle candele a scintille usate solo all’accensione in quanto in seguito la combustione avviene per autoaccensione e necessitano di stabilizzatori di fiamma.