E’ cominciata da poco la seconda stagione di Romanzo Criminale, la serie tv tratta dal romanzo di Giancarlo De Cataldo, ispirata ai fatti legati alla Banda della Magliana. Ma chi erano in realtà i componenti di questa banda e come si sono svolti realmente i fatti?

Per prima cosa, chi erano i veri componenti della banda?

Franco Giuseppucci (il “Libanese” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Enrico De Pedis (il “Dandi” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Maurizio Abbatino (il “Freddo” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Edoardo Toscano (“Scrocchiazeppi” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Libero Mancone (il “Fierolocchio” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Marcello Colafigli (il “Bufalo” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Giuseppe e Vittorio Carnovale (i “Fratelli Buffoni” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Antonio Mancini (“Ricotta” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Claudio Sicilia (“Trentadenari” del film e della serie TV di Romanzo Criminale)
Danilo Abbruciati (“Nembo Kid” della serie TV di Romanzo Criminale)
Gianfranco Urbani (il “Puma” della serie TV di Romanzo Criminale)

 

 

Storia della Banda

La storia della banda ha inizio nel lontano 1976. Franco Giuseppucci è un piccolo criminale del quartiere di Trastevere: nasconde e trasporta armi per conto di altri criminali.

Un giorno, con l’auto carica di armi, si ferma davanti ad un bar per prendere un caffè; fatalità vuole che l’auto, una Volkswagen “Maggiolone”, gli venga casualmente rubata. Le armi contenute nel bagagliaio della Volkswagen sono di un suo amico, Enrico De Pedis, un rapinatore di Trastevere che gode di buon rispetto all’interno della malavita romana.

Giuseppucci trova il ladro che gli ha sottratto l’auto, ma le armi sono state vendute ad un gruppo di rapinatori appena formatosi nel nuovo quartiere romano della Magliana soliti ritrovarsi in un bar di Via Chiabrera.

Giuseppucci decide allora di andare a parlare con quelli di via della Magliana

Giuseppucci decide allora di andare a parlare con quelli di via della Magliana, in particolare cerca e trova Maurizio Abbatino, un giovane rapinatore dal sangue freddo che aveva acquistato le armi. I due, curiosamente, anzichè litigarsi il possesso delle armi, si accordano per compiere alcuni colpi; nel gruppo rientrano anche De Pedis e gli altri della Magliana.

Da semplice associazione di rapinatori, il patto prende la forma di una potenziale organizzazione per il controllo della criminalità romana, nella quale iniziano a lavorare anche criminali di altre zone: Marcello Colafigli, Edoardo Toscano e Claudio Sicilia.
Il loro primo lavoro, fu il sequestro del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, finito male, dal quale però la Banda riuscirà comunque ad ottenere due miliardi di lire di riscatto.

Di comune accordo la Banda decise di fare cassa comune del riscatto per reinvestirlo in altre attività criminali.

Questa decisione e l’associazione con altre bande criminali operanti in Roma, diede vita ufficialmente alla Banda della Magliana.

Da allora iniziò un escalation che portò in poco tempo quel piccolo gruppo di criminali a diventare i veri e propri re di Roma, gli unici in grado di prendere il controllo di tutta la città. Il motivo per cui la Banda riuscì a raggiungere per la prima volta il controllo di una metropoli come Roma è da ricercarsi nei metodi che il gruppo introdusse nel panorama capitolino. Primo fra tutti, gli omicidi.

Eravamo i più potenti, perché eravamo gli unici che sparavano

avrebbe detto anni dopo in un’aula di tribunale uno di loro.

Gli affari della Banda della Magliana, dalle semplici rapine, si allargarono in poco tempo ai sequestri, alle scommesse ippiche, ai colpi ai caveau e soprattutto al traffico di droga, affare per cui era necessario avere un controllo capillare del territorio.

La Banda, a differenza di altri nuclei criminali organizzati, come la Camorra o Cosa Nostra, non presentava un’organizzazione piramidale: non aveva infatti un solo capo, ma diversi, divisi in gruppi, che spesso lavoravano anche singolarmente e senza la necessità che gli altri lo sapessero. Questa gerarchia non piramidale ha avuto come effetto collaterale quello di consentire di volta in volta ad entità esterne di fare uso della Banda per i propri scopi, come alcuni ritengono possano aver fatto branche deviate dei servizi segreti.

 

I proventi dei crimini erano comunque divisi sempre in parti uguali

I proventi dei crimini erano comunque divisi sempre in parti uguali, ogni membro riceveva la cosiddetta “stecca”, una sorta di dividendo indipendente dal lavoro svolto in quel periodo che anche i membri detenuti continuavano comunque a ricevere attraverso la famiglia. I vari componenti erano tenuti in ogni caso a continuare a partecipare all’attività criminale: anche quando alcuni di loro divennero veramente ricchi, girando su Ferrari con Rolex al polso, continuarono ad essere degli operai del crimine.

Il primo, grave contraccolpo all’organismo della Banda avvenne ad inizio anni ottanta, quando si sviluppò una sanguinosa faida all’interno della malavita romana tra questa ed il clan criminale della famiglia Proietti. Vittima eccellente di questa guerra fu Franco Giuseppucci, ucciso a Piazza San Cosimato (Trastevere) il 13 settembre 1980 a colpi di pistola.

All’inizio la morte di Giuseppucci fu un pretesto per scatenare una guerra contro il clan Proietti, guerra che segnò però l’inizio della disgregazione della Banda: da quel momento i criminali si divisero i due sottogruppi, i Testaccini di De Pedis da una parte, quelli della Magliana guidati da Abbatino dall’altra, la Banda entrò così in una fase di continua tensione.

Nel 1986 però Abbatino fuggì da una clinica dell’EUR (dove si era fatto ricoverare per un tumore avanzato), e scappò in Venezuela per cercare di rifarsi una vita. Fu poi ritrovato, arrestato ed estradato nel 1992. Diventò un collaboratore di giustizia ed è tuttora l’unico componente della Banda ancora in vita.

Colpita al cuore dagli omicidi, dalle fughe e dal lavoro della magistratura, la Banda della Magliana si avviò verso il tramonto

Colpita al cuore dagli omicidi, dalle fughe e dal lavoro della magistratura, la Banda della Magliana si avviò verso il tramonto, guidata dal suo ultimo storico capo Enrico De Pedis. De Pedis muore nel febbraio del 1990 ucciso in pieno giorno in via del Pellegrino, tra la folla del mercato di Campo de’ Fiori.

Nell’arco degli anni la Banda della Magliana è stata accostata anche a molti fatti misteriosi di cronaca come: l’omicidio di Mino Pecorelli, l’attentato a Roberto Rosone, il caso Roberto Calvi, ritrovamento dell’arsenale custodito nei sotterranei del Ministero della Sanità, i depistaggi nell’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, le ricerche di Aldo Moro e la Loggia P2. Tuttavia solo in un paio di occasioni si può trovare traccia concreta della Banda, le altre rimangono congetture più o meno fantasiose, ma forse proprio per questo anche più vere di quanto si possa pensare.

 

 

 

La Banda oggi

Secondo diverse opinioni, alcune delle quali molto autorevoli, la banda della magliana è ancora attiva nonostante gli arresti e i morti.

Antonio Mancini, ha affermato che:

la Banda della Magliana esiste ancora. Ha usato e continua ad usare i soldi di chi è morto e di chi è finito in galera. E non ha più bisogno di sparare. O almeno, di sparare troppo spesso

QUI la pagina Wiki della Banda.

P.s. Chiedo perdono per la lunghezza del post, ma la storia è lunga ed interessante, ho cercato di accorciarla più che potevo.