Il disastro della John Harvey

Il 2 dicembre del 1943 è avvenuta una vera e propria Pearl Harbour italiana. Una flotta di bombardieri della Luftwaffe nazista bombarda il porto di Bari, in cui erano ormeggiate circa 30 navi alleate. Tra queste una, la John Harvey, trasportava segretamente un potente gas venefico: l'iprite.

Oltre alle vittime del bombardamento vero e proprio, vi furono moltissime morti a causa del gas sprigionato nell’aria, in totale quasi un migliaio. La vicenda della John Harvey è una strage dimenticata per anni, insabbiata dai governi, su cui ci sono state poche eclatanti rivelazioni. Ora un documentario, Top Secret: Bari, 2 dicembre 1943 scritto dallo sceneggiatore pugliese Francesco Morra e realizzato dalla Sd Cinematografica di Roma, cercherà di fare luce sulla vicenda.

Nel primo spoiler ho inserito un lunghissimo quote di un bell'articolo del 1994 apparso su Corriere della Sera. Per chi non avesse la pazienza di leggerselo tutto, qui potrete trovare un articolo più recente e più breve, o andare direttamente al trailer di sei minuti del documentario.

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Il 2 dicembre 1943 nessuno a Bari si sarebbe aspettato un bombardamento aereo da parte dei tedeschi. La citta’ era stata liberata da quasi tre mesi, le truppe americane e inglesi puntavano verso Nord. Gli Alleati si erano sistemati nei migliori palazzi e nei migliori alberghi, li’ batteva il cuore della rinascente vita politica italiana, a fine gennaio si sarebbe tenuto il primo congresso delle forze democratiche antifasciste. Nelle strade c’ era grande animazione e movimento, sospeso in pratica il coprifuoco, riaperta l’ universita’ , ampia scelta di “segnorine” a disposizione dei vincitori, fiorente mercato nero e file di navi da carico in attesa di entrare in porto e di scaricare merci e armi. Il porto era stato trovato intatto dagli Alleati. Lo aveva salvato, respingendo i tedeschi in ritirata, uno dei non molti generali italiani disposti a battersi dopo l’ annuncio dell’ armistizio. Era il generale Nicola Bellomo, comandante della Piazza: gli inglesi lo avrebbero fucilato nel febbraio 1945 a Nisida, con l’ accusa di aver sparato contro un loro ufficiale catturato dopo una fuga dal campo di concentramento. Unico caso, credo, di ufficiale “alleato”, fucilato dagli Alleati. A Bari, in quel dicembre 1943, quasi non si pensava piu’ alla guerra guerreggiata. Tanto meno si pensava che l’ aviazione tedesca, ormai quasi cancellata dai cieli italiani, potesse osare un raid contro una citta’ divenuta di cosi’ grande importanza strategica, che si sarebbe supposta difesa contro qualsiasi attacco, specialmente dal cielo. C’ era tra la gente come un distacco dalla realta’ . Molti avevano trovato lavoro nei comandi, o negli accantonamenti, o nelle mense degli Alleati, la sera il passeggio animava corso Vittorio. Alla miseria dei poveri, dei sinistrati, dei soldati che avevano gettato le divise e cercavano di campare alla giornata si contrapponeva lo sperpero dei nuovi ricchi del mercato nero, dei traffici dei colonnelli USA che Joseph Heller descrivera’ nel suo “Comma 22”. Un giovanotto barese di belle speranze avrebbe fatto carriera in politica. Era il sottotenente Aldo Moro, dirigeva il Bollettino d’ informazioni del ministero dell’ Interno e intanto insegnava nella facolta’ di legge. Quindi l’ arrivo su Bari di due formazioni di bombardieri tedeschi, il 2 dicembre 1943, provoco’ una sensazione mista tra l’ incredulita’ , la sorpresa e lo sbalordimento prima, e poi il terrore. Erano due gruppi da combattimento di novantasei apparecchi Ju88, partiti da basi del Friuli, rispettivamente Villa Orba e Aviano. Nessuno li intercetto’ durante il loro volo lungo tutta la Penisola. Giunsero sull’ obiettivo senza essere stati avvistati, nel buio notturno, e nessun allarme aereo mise in guardia i baresi. Il porto era illuminato a giorno e ferveva l’ attivita’ di scarico. Le navi all’ attracco erano piu’ di trenta, nessuno s’ era curato di proteggerle, mancavano le reti antisiluri e gli addetti alla contraerea stavano probabilmente festeggiando chissa’ che al ristorante Moderno requisito. I tedeschi annullarono i radar disorientandoli con il lancio di striscioline di stagnola. Non trovarono (come si sarebbero aspettati, e in seguito lo dissero) palloni frenati ad ostacolare il loro volo. Il bombardamento duro’ una ventina di minuti e gli aerei della Luftwaffe tornarono indenni alle basi. Non un caccia alleato s’ era levato a contrastarli. Sganciarono il loro carico mortale e distrussero o affondarono diciannove navi, per un totale di 73.343 tonnellate. Si disse allora che i morti fossero stati molti, ma non si fecero cifre: soltanto che in una casa in faccia alle banchine se ne sarebbero trovati quaranta. In realta’ le vittime furono oltre mille nella sola area portuale, poi andarono aggiunte quelleestratte dalle macerie nelle altre parti della citta’ . Fin qui, si puo’ credere a un normale bombardamento aereo, sia pure compiuto da chi ormai non si riteneva piu’ in grado di effettuarne, con le conseguenze purtroppo solite di un’ azione del genere. Senonche’ sull’ incursione tedesca calo’ una strana, ferrea cortina di silenzio, quasi si dovesse coprire chissa’ quale segreto, quasi dietro quei morti e quegli affondamenti si celasse un mistero. E la ragione di quel segreto, di quel mistero, di quel tabu’ allora sorprendente l’ ha rivelata lo studioso Janus Piekalkiewicz in un libro sulla guerra nel deserto africano. Fra le navi colpite quella notte dai tedeschi c’ era la “John Harvey”, inglese, colata a picco con l’ intero equipaggio. La “John Harvey” aveva a bordo un carico di cui non esisteva registrazione, cento tonnellate di iprite, in bombe da 45,5 chilogrammi ciascuna. Le granate tedesche fecero si’ , tra l’ altro, che alcune di quelle bombe si rompessero. Il gas fuoriusci’ e si diffuse nelle acque del porto, inquinandole del veleno mortale. Molti vennero tratti in salvo sporchi della nafta che dalle caldaie sventrate era dilagata ovunque, mescolandosi al gas: 617 furono i contaminati, tutti in preda a dolori atroci, ne morirono ottantadue, il primo dopo diciotto ore dal bombardamento, l’ ultimo a un mese di distanza. Un’ altra nave, la “Biserta”, raccolse trenta superstiti nel porto e fece subito rotta verso Taranto, dove giunse dopo diciotto ore dall’ incursione. L’ equipaggio, venuto a contatto con i colpiti dall’ iprite, presentava numerosi casi di cecita’ . Churchill in persona impedi’ che si aprisse un’ inchiesta sulle conseguenze del bombardamento. I morti di Bari furono sepolti come “deceduti per ustioni”, senza altra specificazione. Vengono alla mente le centinaia di vittime delle vendette dei giorni successivi al 25 aprile 1945, inumate alla chetichella e tutte con certificati di “morte causata da incidenti”. Anche nel loro caso era meglio non andare a fondo. Ma e’ logico che Churchill (e gli inglesi) volessero impedire che si sapesse di iprite trasportata in Italia e del presumibile uso che avrebbero potuto farne. Quell’ uso era proibito dalla convenzione di Ginevra del 1925, sempre rispettata nel corso dell’ ultima guerra, anche dai tedeschi, i quali pure disponevano di un arsenale chimico formidabile. E cosi’ era stato prima della guerra, perche’ si ha notizia dell’ impiego di gas, e proprio di iprite, soltanto in Etiopia, da parte delle truppe di Graziani e di Badoglio, con il consenso di Mussolini. Ci si domanda perche’ gli inglesi avrebbero dovuto usare l’ iprite sul fronte italiano. Una risposta puo’ essere che in quel periodo gli Alleati erano fermi davanti alla linea di difesa tedesca “Reinhardt”, distesa attraverso le montagne a nord di Isernia e la cresta di San Salvo, fino a Vasto. Davanti alla “Reinhardt” scorreva il fiume Trigno, subito alle spalle il Sangro: un baluardo quasi insuperabile, dietro al quale la Wehrmacht bloccava l’ avanzata alleata verso il Nord. Gli attacchi alla linea “Reinhardt” si erano succeduti inutilmente e le perdite erano state gravi. C’ e’ il sospetto che, pur di sfondare, sarebbbero ricorsi anche all’ iprite: perche’ altrimenti non si capisce cosa facessero cento tonnellate del gas pronte per essere scaricate a Bari, ne’ si conosce quale altro uso sia ipotizzabile in una guerra per l’ iprite, tranne l’ impiego per scopi militari. L’ avevano lanciata nel 1917 i tedeschi a Ypres (donde il nome) in Francia e gli austriaci per l’ offensiva di sfondamento a Caporetto. Fin da allora suscitava orrore. Chi era stato colpito dall’ iprite era morto tra atroci sofferenze, la stessa cosa era avvenuta in Etiopia per i soldati del Negus. Pareva difficile pensare che vi si sarebbe ricorsi ancora, se non calpestando non soltanto le leggi della civilta’ , ma quelle stesse dell’ umanita’ . Perche’ avrebbero dovuto farlo gli inglesi, e su un fronte sostanzialmente secondario, dove tra l’ altro il destino del nemico era segnato, questione di tempo? Piekalkiewicz fornisce la spiegazione gia’ accennata come ipotesi: bisognava sfondare ad ogni costo la “Reinhardt”, tenuto conto che i tedeschi stavano costruendo dietro di essa una nuova e munita linea difensiva, la “Gustav”. Ma avvenne che proprio il primo dicembre 1943, il giorno precedente il bombardamento su Bari, gli Alleati conquistassero il Monte Camino, baluardo fondamentale della “Reinhardt”, e che la linea stessa crollasse dopo avere tanto ritardato l’ avanzata verso Nord. Probabilmente si dovette alla caduta del Monte Camino il cambiamento di decisioni che potevano avere conseguenze terribili, se mai quelle decisioni abbiano fatto parte dei piani delle armate di Alexander. In conclusione, il mistero sulle conseguenze del bombardamento di Bari vi fu allora e in parte resta anche oggi. Sebbene la realta’ consista in quei mille morti, in quei 617 contaminati, in quegli 82 deceduti per le ustioni e nell’ accertata presenza dell’ iprite sulla nave “John Harvey”, affondata con il suo carico mortale. Curioso che, dell’ avvenimento, non si venisse a sapere nulla al Nord, anche se la Repubblica sociale aveva le sue spie nell’ Italia occupata dagli Alleati. Si puo’ facilmente immaginare quale arma propagandistica avrebbe potuto essere per Salo’ la denuncia che gli inglesi portavano l’ iprite e soltanto per un miracolo non l’ avevano usata proprio sul fronte italiano. A Gargnano, allora e anche in seguito, non ebbero notizia delle conseguenze del bombardamento di Bari. Il 2 dicembre, giorno dell’ incursione tedesca, l’ Agenzia Stefani riferiva come avvenimento principale che “da oggi le truppe regolari della Repubblica sociale italiana sono in linea di fuoco”. Benche’ non si capisce di quali “truppe regolari” si potesse parlare.

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