George Eastman

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You push the button, we do the rest

Qualche tempo fa si è parlato delle ultime parole dei grandi personaggi. Tra queste ho trovato quelle di George Eastman, fondatore della Kodak: “My work is done, why wait?”. Queste sono le poche parole che Eastman scrisse prima di suicidarsi.
Poco più di un anno fa ho scritto un saggio per un libro di tecnica fotografica di prossima uscita, e mi sono imbattuto nella biografia di questo personaggio. Fino ad allora sapevo solo che aveva inventato la Kodak e fatto si che la fotografia fosse accessibile a tutti. Ignoravo quanto quest’uomo avesse fatto.

Salto sull’infanzia e la giovinezza poverissime da manuale, con Eastman che inizia a lavorare da giovanissimo e grazie ad una sfrenata ambizione e ad una vivace intelligenza riesce a lavorare in banca e a guadagnare discretamente.
La passione per la fotografia gli nacque in seguito ad un viaggio organizzato all’incirca nel 1877 con un amico a Santo Domingo. Per immortalare la spedizione comprò il suo primo apparecchio fotografico a lastre umide. L’apparecchio era enorme e decisamente scomodo da utilizzare. Le procedure per ottenere un singolo scatto erano diverse e richiedevano nozioni di meccanica e chimica. Il risultato fu che Eastman rinunciò al viaggio per dedicarsi allo studio del suo nuovo apparecchio e della fotografia.
Si focalizzò sopratutto su una cosa: era convinto che fosse possibile semplificare il processo fotografico. Lavorando in banca di giorno e di notte nella cucina di sua madre conducendo esperimenti, Eastman in tre anni riuscì nell’impresa.
Nel 1880 perfezionò, sulla base delle ricerche di Richard Maddox, una formula per le lastre secche e inoltre brevettò una macchina per la produzione in serie delle lastre stesse.
Dalla messa a punto di queste due invenzioni, Eastman mise su un’azienda, la Eastman Dry Plate Company, per la produzione industriale di lastre secche che lo resero in breve tempo un uomo ricco e rispettato, anche grazie ad innovative politiche rivolte ai propri operai che anticiparono di decenni i successi delle lotte sindacali volte al riconoscimento dei diritti dei lavoratori.

Nonostante il successo, l’idea di Eastman era quella di semplificare ulteriormente il processo fotografico, al fine di poter realizzare un apparecchio facilmente utilizzabile e trasportabile anche in esterni. Eastman, in pratica, voleva rendere la fotografia alla portata di tutti, far sì che anche un bambino potesse avere il suo apparecchio fotografico con cui scattare foto ricordo, senza aver alcuna conoscenza né di sviluppo, stampa, chimica o qualsiasi altra nozione utile fino a quel momento per la fotografia.
Emancipare, in poche parole, la fotografia dall’utilizzo esclusivo dei professionisti e degli amatori in possesso di conoscenze tecniche, artistiche e possibilità economiche. Rendere la fotografia

un’attività quotidiana […] semplice come il disegnare.

Concentrò le sue ricerche verso un supporto che fosse capace di sostituire le lastre di vetro, e iniziò a sperimentare emulsioni in grado di aderire sulla carta. Ideò allora un apparecchio capace di sfruttare la pellicola su carta, in modo da garantire più pose consecutive e quindi permettere di realizzare più scatti prima di sostituire un singolo rullo.
Vide la luce allora la Kodak, una macchina rivoluzionaria sia nella concezione sia nell’impatto che ebbe sulla società del tempo.

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Era un apparecchio a cassetta con un obiettivo a fuoco fisso di una lunghezza focale di 27mm e un’apertura f/9. Le immagini prodotte erano circolari (anche per via dell’otturatore cilindrico) dal diametrodi 65mm. Veniva venduta a 25 dollari, prezzo in cui era compreso anche lo sviluppo e la stampa della pellicola. Chi possedeva questa macchina, una volta finite le 100 pose a disposizione, non doveva far altro che spedire la macchina in azienda, in cui l’avrebbero smontata, avrebbero sviluppato e stampate le foto, montato una nuova pellicola e avrebbero spedito il tutto a casa del possessore, con le 100 immagini stampate e montate su un cartoncino color cioccolato dal bordo dorato.
Il nome Kodak, come spiegò lo stesso Eastman fu scelto

perché era un nome breve, vigoroso, facile da pronunciare e, per soddisfare le leggi sui marchi depositati, non significava nulla.

Lo slogan con cui fu lanciata, “voi premete il bottone, noi faremo il resto” divenne popolarissimo, e come scrisse l’Harper’s Magazine nel 1891:

Lo si sente ripetere per le strade, in carrozza, a teatro, nei circoli dovunque s’incontrino uomini e donne. I giornali satirici l’hanno messo in ridicolo, gli statisti l’hanno parafrasato, lo si usa di continuo per trarre la morale di una favola o per abbellire un racconto.

Eastman aveva fatto centro: in breve la Kodak ebbe una diffusione eccezionale e tutti poterono costruire il proprio personale album fotografico, avere ricordi di gite, compleanni, eventi. Non fece però presa sui fotografi professionisti, poiché l’ottica fissa e la mancanza di qualsiasi forma di mirino (per fotografare con la Kodak si doveva puntare praticamente alla cieca) davano poco spazio d’azione ai fotografi, abituati anche a lastre di grande formato e di qualità superiore.
Dopo la prima sperimentazione e commercializzazione di pellicole su carta Eastman decise di sostituire la cellulosa, costosa e dai risultati non ottimi, con la celluloide, la cui lavorazione era stata raffinata da un suo tecnico di laboratorio partendo dalle lastre allora presenti sul mercato.
La diffusione delle pellicole rese la fotografia molto popolare e le innovazioni tecniche seguirono la scia di questa diffusione di massa. La Kodak 1 montava pellicole in nitrato di cellulosa, ma questo materiale si rivelò altamente infiammabile, e se non usato con le dovute precauzioni, poteva provocare fiammate durante i processi di sviluppo e stampa. Anche per questo motivo sviluppo e stampa venivano fatti nella sede dell’azienda da personale specializzato.

Ho già accennato alle politiche sociali di Eastman nei confronti dei suoi operai. Questo faceva parte del suo carattere e man mano che la sua azienda cresceva, l’attitudine filantropica di Eastman crebbe. In principio elargì di tasca propria soldi ai propri lavoratori, poi istituì un piano di “dividendi contributivi”, ovvero la divisione dei dividendi anche tra i suoi operai. Infine distribuì un terzo delle sue azioni agli operai.
Nel 1929 Eastman lasciò la direzione della sua azienda per dedicarsi solo alla filantropia. Si calcola che abbia donato circa 100 milioni di dollari, per la maggior parte all’Università di Rochester e al MIT, con lo pseudonimo di Mr. Smith. Al MIT c’è una placca raffigurante Eastman e toccare il naso del bassorilievo è considerato dagli studenti come portafortuna.
In un sol giorno, nel 1924, Eastman firmò assegni per il valore di trenta milioni di dollari a favore dell’Università di Rochester, del MIT, degli istituti Hampton e Tuskegee. Posando la penna, affermò: “Ora mi sento meglio”.
Era una persona riservatissima, praticamente sconosciuta ai media. Una dolorosa sclerosi lombare lo portò lentamente all’invalidità. Non sopportando questa situazione, a 77 anni, il 14 marzo 1932, George Eastman si tolse la vita con un singolo colpo di pistola al cuore.
Lasciò una singola nota:

My work is done. Why wait?

Nello spoiler un breve video realizzato in occasione dei 75 anni dalla morte

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Qui pagina wiki in inglese e quo la biografia completa sul sito della Kodak.
Aggiungo come indicazione bibliografica:
B. Newhall, Storia della Fotografia, Torino, Einaudi, 1982
Lo potete acquistare qui

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