Il Viaggio dell’Antieroe: identikit di Han Solo

Accade probabilmente una volta ogni cent’anni, e guarda caso è avvenuto in un film pop, di genere, nerd fino al midollo. Di cosa parlo? Beh, di un personaggio che è diventato il metro di giudizio di migliaia di altri arrivati dopo.

Avrete tutti capito che mi riferisco, nell’ordine, a Star Wars e al suo Han Solo.

Quante volte abbiamo detto:

Questo personaggio è l’Han Solo del film

per riferirci all’outsider briccone dal cuore d’oro, a volte protagonista a volte personaggio di supporto? Succede molto poco spesso che un grumo di parole si trasformi in celluloide e a sua volta diventi un archetipo, un carattere-pietra miliare “per antonomasia”.

 

 

Ma chi c’era prima di Han?

Qualcuno avrà mai detto “Quel tipo è proprio un Douglas Fairbanks” riferendosi all’attore che ha interpretato spadaccini e corsari nell’epoca d’oro di Hollywood? Chissà.

Han solo è certamente il prodotto di gran parte della cultura cinematografica di George Lucas, che da buon studente di cinema aveva assorbito influenze a destra e manca.

Fairbanks, citavo poco sopra, ma una delle influenze per Han Solo è sicuramente quella del detective hard-boiled di scuola Chandler-Hammett, con i loro Philip Marlowe e Sam Spade.

Come loro, Han è un disilluso provato dalla vita, ma non per questo incapace di provare slanci d’entusiasmo, soprattutto verso il sesso opposto.

Un loser, probabilmente, sempre inseguito da nemici, creditori, gangster e feccia varia, ma capace di trarsi sempre d’impaccio con la sua esperienza “di strada” e uno spiccato carisma che, assieme alla faccia tosta, gli apre molte strade.

C’è poi la linea fantascientifica: George Lucas decise di farsi “il suo Flash Gordon”, quando si rese conto che non avrebbe avuto mai dai produttori i soldi per accedere ai diritti del suo eroe d’infanzia.

Han non è certo Gordon, non ha la statura morale degli eroi senza macchia e con il petto in fuori, ma ha sicuramente giovato della caratterizzazione di molti comprimari dei cavalieri spaziali.

 

 

La più grande fonte di ispirazione, però, rimane quella del western: dall’abbigliamento all’attitudine da pistolero, dall’amore per gli spazi aperti a quello per il suo “destriero” volante, Han Solo è la quintessenza dell’eroe del genere più mitico del cinema americano.

Come non vedere nel “Solo” un richiamo al leggendario “Lone Ranger”, che come lui non va in giro per conto suo ma con un atipico compagno?

Dal nativo americano Tonto al rude ma adorabile wookiee Chewbacca il passo è breve.

Un po’ John Wayne un po’ Mezzogiorno di Fuoco, l’irresistibile carisma del pistolero calato nell’opera spaziale non poteva che fare breccia.

 

 

 

 

Ma dal western il Nostro non ha mutuato l’atteggiamento tutto d’un pezzo: l’aspetto decisamente di successo e più moderno di Han è il suo essere un sarcastico, disincantato, pungente e anche un po’ fastidioso.

Non crede in niente, non si fida di nessuno, vola da una parte all’altra della galassia preso solo dai suoi interessi.

Un vero e proprio contrabbandiere, quando lo conosciamo, che si dà delle arie e tende a raggirare gli altri.

Oh, e non si fa scrupolo di ammazzare gente a sangue freddo.
Sorry, George, alle tue riscritture successive dalla Storia non crede nessuno.

Non è un caso se l’aspetto western è stato sottolineato nei trailer di Solo: A Star Wars Story, ed ha mandato gli appassionati in iperventilazione.

Nel film infatti vediamo fughe, catture, assalti al treno, scontri con tribù ostili, ma viene anche recuperato il carattere “noir” delle origini riconosciute, con il classico sottobosco criminale, il boss della malavita, la dark lady diversa da com’era in passato.

 

 

Il primo Star Wars sarà sempre ricordato come la killer-application del viaggio dell’eroe teorizzato da Christopher Vogler, a sua volta influenzato dalla pietra miliare “L’Eroe dai mille volti” di Joseph Campbell. Quello di Vogler è il quaderno d’appunti più utilizzato e saccheggiato nella storia del cinema moderno, fin quasi all’esasperazione.

Non starò qui a ripetere tutti i dettagli della struttura delle “storie perfette” teorizzate da Vogler, tanto basta aver visto qualche blockbuster degli ultimi 40 anni per avere un’idea e riconoscere le varie funzioni incarnate dai personaggi.

Ma se c’è un personaggio che è stato capace di sovvertire le regole, quello è Han Solo.

Han è l’antieroe che, a sua insaputa, diventa eroe.

Han è un personaggio atipico che è anche, quando lo troviamo, autosufficiente: ha un compagno/spalla spettacolare, un’astronave veloce e fichissima, una missione o comunque una motivazione (scappare da Jabba e trovare soldi per ripagare il suo debito).

Rappresenta per Luke un ingranaggio della storia, perché dovrà portarlo in giro per lo spazio, ma appare subito come qualcuno in grado di poter dire la sua, alla faccia della caratterizzazione dettagliata!

Certo, Luke è l’eroe senza macchia che dall’ingenuità passa alla consapevolezza, ha una forte morale, il suo coraggio e la sua testardaggine fanno progredire la storia.

 

 

Ok, yawn. Finito di sbadigliare?

A differenza del monolitico aspirante jedi, sognatore e sempre fedele a se stesso, Han rappresenta quello che possiamo definire come l’arco narrativo perfetto di un personaggio: ci viene presentato in un modo, finisce la storia in un altro.

Egoista, irresponsabile, avido, approfittatore all’inizio, grazie alle peripezie vissute con la sgangherata compagnia di jedi, droidi e principesse scopre il valore dei sentimenti.

Dunque, alla fine corre in aiuto, rischia la vita, mostra generosità e affetto.

Se non è un cambiamento questo!

 

 

Poteva esserci due senza tre

Non è un mistero che Harrison Ford si sia stancato presto di un personaggio che, dopo la seconda pellicola, gli stava stretto. Anche e soprattutto perché il suo arco narrativo era completo e concluso. Da allora Han è stato favoloso, sì, ma poco incisivo per il grande disegno della trama.

 

 

Progressivamente meno caustico e sempre più “addomesticato”, fino a sfiorare l’autoparodia in Il Ritorno dello Jedi (1983). Non aveva firmato infatti per un terzo capitolo, era già una star in ascesa.

I Predatori dell’Arca Perduta (1981) non avrebbe fatto altro che incrinare ulteriormente il feeling con Star Wars.

Harrison chiese più volte di far morire Han nella terza pellicola e farlo uscire in gloria dalla Saga. Ma la filosofia di Lucas, ben espressagli in faccia, era che

Un giocattolo di Han Solo morto non si vende.

 

 

Le avventure del giovane Han Solo

Curioso e esilarante che a vivere delle “avventure giovanili” sia di nuovo un personaggio leggendario con la faccia di Harrison Ford.

 

 

Dopo la pionieristica e spesso ingiustamente dimenticata serie di film TV “Le Avventure del giovane Indiana Jones”, è toccato a Solo ritrovarsi proiettato indietro nel tempo per farci vedere cosa ha vissuto nei suoi primi anni di formazione.

I tempi sono cambiati, il blockbuster è d’obbligo e così mamma Disney ci ha regalato un film dalla gestazione travagliata – quasi si fosse messo di mezzo Jabba – arrivato a noi in una forma diversa dalle intenzioni ma capace di mandare in sollazzo i fan.

Stavolta, sia santificato Vogler, è Han a fare l’eroe, pur se riluttante, e trovare un mentore – che poi è anche uno dei tanti shapeshifter della storia – che sarà l’uomo che avrà una vasta influenza sulla sua visione del mondo e il suo comportamento futuro.

 

 

Tobias Beckett è forse il character più riuscito dell’intera pellicola, pur se interpretato con un grande mestiere che sfiora il pilota automatico, non ce ne voglia il Millennium Falcon.

L’inossidabile Woody Harrelson incarna uno spirito da “dark Han Solo” ancora più vecchio e disilluso: quello che il Solo del 1977 sarebbe finito a interpretare, probabilmente, se non avesse incontrato la sua nuova compagnia di amici nella Forza.

Un mercenario e contrabbandiere in male arnese, necessariamente incline a schierarsi dove gli conviene, pronto a mentire e a tradire chiunque, in ogni momento, con una lucida quanto spietata visione d’insieme.

Un “cattivo maestro” che mette a dura prova Han ma che alla fine – pur avendo quello che si merita – esalta il buon cuore che è in lui. Han vede quello che non vuole essere.

Può diventare un pirata, un signore, un pistolero e un affascinante cinico antieroe.

Ma non sarà mai uno che volta le spalle senza sentire quella vocina dentro, che magari non è una coscienza… ma qualcosa che gli si avvicina pericolosamente.

 

La nostra recensione di Solo: A Star Wars Story:

 

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