The Great Wall, quando la Cina tentò di piacere anche agli occidentali

Ho un grosso limite. Mi piacciono un sacco i film dove i protagonisti, sradicati dal loro habitat, si ritrovano in posti assurdi e lontani a combattere accanto a gente che non parla la stessa lingua contro pericoli di varia natura.

Per intenderci: adoro Il Tredicesimo Guerriero, film godibilissimo del troppo bistrattato John McTiernan.

Quello dove Banderas fa l’arabo che si ritrova tra i vichinghi a combattere contro dei “sovrannaturali” guerrieri misteriosi.

In questi casi il mio giudizio critico viene meno, mi armo di popcorn glassati al burro d’arachidi e bevande più o meno nefaste per l’organismo e saluto il mondo esterno.

Immaginate quindi la mia gioia quando sono venuto a sapere dell’uscita di The Great Wall, un film dove un mercenario europeo si ritrova a combattere i mostri sulla Grande Muraglia cinese.

 

 

Un europeo che poi è Matt Damon, con un best friend – neppure quello europeo – con il faccione sarcastico di Pedro Pascal a.k.a. Oberyn “Vipera Rossa” Martell del Trono di Spade.

Un frullatore coprodotto da americani e cinesi, con soggetto e sceneggiatura targati USA e con regista e maestranze dagli occhi a mandorla.

La storia quindi nasce dalla fantasia degli occidentali: Max Brooks (autore del romanzo World War Z), Edward Zwick (regista di L’Ultimo Samurai e Blood Diamond), Tony Gilroy (la penna della saga di Bourne con Damon) tra i nomi degli autori.

 

 

Con la Legendary Pictures (storica produttrice indipendente di Cristopher Nolan) acquisita dalla orientale Wanda Group, la più grande realtà che opera nel settore cinematografico cinese, il progetto prende gambe e la pre-produzione inizia nel 2014, per poi arrivare a compimento alla fine del 2016, con distribuzione della Universal.

Il fascino della Grande Muraglia quindi colpisce la sensibilità del resto del mondo, e come potrebbe essere altrimenti?

 

Un bell’action-fantasy di assedio e guerra ambientato su una delle più grandi opere mai costruite dal genere umano è un’occasione troppo ghiotta per non essere sfruttata.

The Great Wall è quindi un blockbusterone fin dal suo livello produttivo: al timone c’è uno dei più importanti e rispettati registi cinesi nel mondo, quello Zhang Yimou che fu uno dei primi ad affascinare il pubblico generalista dell’Occidente con il suo Lanterne Rosse.

Questo è il suo primo film in lingua inglese, perché nonostante la realtà coproduttiva è parlato in inglese praticamente per più della metà della durata.

 

 

 

 

La coproduzione sino-americana assume dimensioni ragguardevoli, tanto che con un budget di oltre 135 milioni di dollari, The Great Wall è al momento il film più costoso mai girato interamente in terra cinese.

Nel cast, oltre ai due protagonisti sopra citati, abbiamo il fronte dagli occhi a mandorla che schiera star giovani (Jing Tian, bella e battagliera) e superstar leggendarie (Andy Lau, stratega flemmatico), e anche caratteristi occidentali come Willem Dafoe, nel cliché del truffaldino voltagabbana.

The Great Wall è una macchina costruita per, una volta tanto, permettere alla Cina di invadere Hollywood e il mondo, invece di propinarci il solito percorso USA-Pechino, che ormai appare sempre più obbligato per decretare il successo di tante pellicole ad alto budget.

Nonostante il buon successo di pellicole come La Tigre e il Dragone (del maestro Ang Lee, già avvezzo all’american way) e La Foresta dei Pugnali Volanti (dello stesso Zhang Yimou) il cinema cinese non ha mai davvero sfondato a livelli “popolari” al di fuori del paese della Grande Muraglia.

Ci voleva proprio quella, la meraviglia del mondo di oltre ventimila chilometri, per trovare una “chiave d’accesso” per tentare di dare la spallata a Transformers & co.

Ingredienti: un eroe super-coraggioso e fortissimo, un compagno d’avventura meno convinto della missione, una guerriera straniera, un pugno di eroici soldati e tanti altri nel ruolo di carne da cannone, donne guerriere in prima linea e qualche pavido voltagabbana, assieme al saggio uomo di religione che non può mancare.

 

In mezzo, un godzilliardo di mostri che sembrano usciti dalla mente di Giger, se il geniale svizzero avesse bevuto un’intera botte di vinello dopo una scofanata d’impepata di cozze.

 

 

 

 

(Mi permetto una deviazione: quanto sarebbe figo un blockbuster italo-americano con, chessò, Chris Pratt che guida l’ultima difesa dell’umanità contro dei mostri dalla cima della Torre di Pisa? Ok, sembra la trasposizione di un pessimo tower defense…)

Per promuovere questo gigantesco film che vuole intrattenere idealmente oriente e occidente ci si mette una squadra enorme.

Per fare un esempio, mentre per le PR e il marketing di un film lavora una squadra di una decina di persone, per The Great Wall sono state impegnate ben 50 figure professionali. Il loro compito, quello di rendere appetibile un film potenzialmente “complicato” da piazzare al pubblico generalista.

Perché queste preoccupazioni?

Beh, fin dall’inizio la commistione tra sensibilità cinese (melodramma, azione acrobatica sopra le righe) e spettacolo-baraccone all’americana (esplosioni, scene di massa, manicheismo) ha preoccupato i produttori, per non dire delle solite e inevitabili accuse di “whitewashing” verso i personaggi.

Whitewashing” è il termine che si usa quando per ruoli che dovrebbero andare a una certa etnia vengono scelti attori bianchi e occidentali, vedi la Motoko Kusanagi di Scarlett Johansson in Ghost in the Shell.

 

 

 

 

Qui la cosa è particolarmente ridicola, perché è chiaro che la ragion d’essere del film è proprio piazzare degli stranieri sopra la muraglia cinese, accanto all’esercito dagli occhi a mandorla, per aumentare il senso di spaesamento, meraviglia e pericolo!

Insomma, non essendoci storie originali con personaggi “snaturati”, alla base di questa pellicola, è una critica quanto mai pretestuosa.

Se mai, se proprio volessimo rompere le palle, potremmo dire che questo fantasy-giocattolo travisa completamente il senso della Muraglia.

La Grande Opera fu infatti eretta per arginare le popolazioni mongole che minacciavano di invadere e razziare la Cina, argine che peraltro ebbe poco successo, e non certo per rendere l’Oriente l’ultima possibilità del mondo contro la minaccia dei mini-kaiju che si risvegliano ogni 900 anni.

Insomma, da simbolo di arroccamento e divisione (tanto in voga nell’era Trump/Orban) diventa quasi pilastro dell’umanità e difesa della vita.

Ma forse stiamo andando un po’ troppo in là con le letture dei significati…

 

 

 

 

“Se cade la Muraglia, cade il mondo” è una delle frasi cult del film.

Che non è certo un cult, probabilmente non lo sarà mai, ma è divertente il giusto, colorato, visionario, ricco di citazioni volontarie e involontarie ad altre opere vecchie e nuove della cultura pop mondiale.

Impossibile non trovarci qualcosa di Aliens o di L’Attacco dei Giganti, tanto per dire.

Matt Damon fa il suo sporco lavoro, sempre con una faccia un po’ da cane bastonato da super-buono in missione per conto di Dio, ma almeno Pascal e Dafoe rallegrano l’ambiente con mossette e faccette buffe.

 

 

I cinesi sono sempre loro, cinesi: il che significa che ogni battuta e ogni azione è portata sullo schermo come fosse la cosa più importante dell’Universo, con toni e modi sacrali e serissimi.

Lo spettacolo messo in piedi è davvero di proporzioni pantagrueliche, con una computer grafica altalenante ma comunque efficace e gustosa: i mostri sono ripugnanti, sono bavosi e sono tanti, le battaglie sono spettacolari e inventive, le trovate narrative scontate ma assurde quanto basta, i buoni sentimenti vincono eccetera.

Da notare che per essere una storia ambientata centinaia di anni fa, non mancano le donne comandanti sul campo e combattenti, con coraggio pari o superiore ai colleghi: se la realtà ci racconta una storia diversa, arriva il fantasy a fare affermazioni importanti che si riverberano nell’attualità.

 

 

 

 

Alla fine della fiera, se negli Stati Uniti ha incassato a malapena 50 milioni di dollari, nel resto del mondo The Great Wall è arrivato a 330 milioni complessivi e anche qualcosa in più.

Se l’operazione sia stata commercialmente un successo ce lo diranno eventuali, future coproduzioni tra Cina e America.

Nel frattempo possiamo goderci un film curioso, che rivendica completamente il ruolo di intrattenimento “global” senza impegno e senza messaggi particolari, ma solo con la voglia di regalare tanta azione old-school su un canovaccio classico, quausi come fosse la trasposizione pedissequa di qualche poema epico orientale dell’antichità.

Per chi vuole vedere qualcosa di diverso dal solito, almeno sotto il versante produttivo e visivo, The Great Wall è un recupero consigliato.

 

The Great Wall è ora disponibile in streaming su Infinity TV.
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