Martin Freeman, intervista all’eclettico attore inglese

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Il 19 aprile sarà nei cinema Ghost Stories, film horror tratto da uno spettacolo teatrale che vede Martin Freeman tra i protagonisti. In concomitanza con l’uscita del film abbiamo incontrato l’eclettico attore inglese.

Martin Freeman è uno degli attori inglesi più amati del momento.

Nato ad Aldershot l’8 settembre del 1971, Martin Freeman è uno degli attori britannici più amati del momento. Dopo una lunga gavetta in televisione, il successo arriva con la serie tv The Office, nella quale interpreta Tim Canterbury. Un successo che gli apre le porte del cinema, dove i primi proggetti a cui prende parte sono la commedia demenziale Ali G e la commedia romantica Love Actually.

Per il ruolo di Watson nella serie Sherlock vince un Emmy Award ed ottiene un grande successo di pubblico.

Dopo aver preso parte a Guida Galattica per autostoppisti, dove interpreta Arthur Dent, è nel cast della Trilogia del cornetto,ma sarà a partire dal 2010 che Martin Freeman diventerà uno degli attori più amati dal pubblico grazie al ruolo del Dottor Watson nella serie Sherlock. Ruolo per cui vince un Emmy Award.

Sempre in tv verrà scelto come protagonista per la serie Fargo, mentre al cinema Peter Jackson lo vuole così fortemente come Bilbo Baggins ne l’adattamento de Lo Hobbit che decide di modificare il programma delle riprese. Dopo essere stato scelto per interpretare l’Agente della CIA Everett Ross nell’universo cinematografico Marvel, è tra i protagonisti dell’horror Ghost Stories. In concomitanza con l’uscita del film lo abbiamo incontrato e ci siamo raccontare della sua carriera e molto altro.

Abbiamo incontrato Martin Freeman e ci siamo fatti raccontare della sua carriera e molto altro.

 

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Ghost Stories nasce come spettacolo teatrale, hai visto l’opera originale? Ci sono dei cambiamenti nella trasposizione per il cinema?

Non ho visto lo spettacolo, credo che al tempo stessi girando Lo Hobbit in Nuova Zelanda, e lo spettacolo non è praticamente mai uscito da Londra. Ho amici che l’hanno vista e sono stati terrorizzati. Da quanto mi hanno detto Jeremy Dyson e Andy Nyman la sceneggiatura del film è diversa da quella dello spettacolo teatrale.

 

Che rapporto hai con i film horror?

Mi piacciono gli horror, ma mi piacciono i film in generale. L’horror è rientra in questo grande universo, e ce ne sono di diversi tipi. Mi piacciono i vari aspetti che questo tipo di film affronta, come quello psicologico o drammatico. In Ghost Stories ci sono anche questi aspetti, e credo che l’aspetto più spaventoso riguardi noi stessi e il film affronta bene questo tema.

 

Il fil rouge di Ghost Stories è il senso di colpa, concordi con questa analisi?

Si, la colpa ha una grande rilevanza all’interno della storia. Quello che spinge il personaggio di Philip Goodman è quello che ha fatto o non ha fatto. Anche il rimorso ha un ruolo rilevante, ti fa pensare se avresti potuto fare qualcosa di diverso.

 

Uno dei messaggi del film è che non fare nulla è peggio del fare qualcosa, un argomento adatto ai nostri tempi.

Si. Ovviamente dipende dalle circostanze. Non fare qualcosa niente a volte è peggio dell’agire, ma il film parla anche del fatto che l’essere umano impara dai propri errori e che non è sempre facile fare qualcosa. Se facessimo sempre la cosa giusta non impareremmo niente. L’essere umano sbaglia di continuo, anche perché è guidato dalla paura. Vorremmo tutti fare sempre la cosa giusta, ma non è possibile sapere sempre cosa fare. Momenti di debolezza o di indecisione possono segnarti per tutta la vita.

 

Che ti faceva paura quando eri bambino e cosa ti spaventa oggi? Da ragazzo intervenivi o ti tiravi indietro?

Da ragazzo ero sfacciato, ma non ero neanche il primo a provare una sigaretta o cose simili. Sono sempre stato attento ai pericoli e alle conseguenze. Di cosa avevo paura? A sette anni ho visto Psyco e per anni non sono stato capace di farmi la doccia o salire le scale senza avere il terrore che qualcuno mi pugnalasse!

 

Ritornando alla spiritualità, nel film c’è un dualismo tra il credere e lo scetticismo. Qual è il tuo rapporto con la spiritualità?

Sono cresciuto in una famiglia cattolica ma non sono un praticante. Il credo e la fede fanno da sempre parte della mia vita, ma credo che la divisione tra fede e razionalità non sia mai stato così polarizzato. Quando ero ragazzo nonostante frequentassi una scuola cattolica e quindi ero circondato dalla religione e dai preti studiavo comunque cose come scienza e l’evoluzione. Non c’era una guerra come c’è adesso.

È in atto una vera e propria guerra intellettuale tra fede e razionalità.  Personalmente non ho alcun problema con nessun credo o fede, anzi credo sia una cosa molto importante. Il fatto è che nessuno ha torto o ragione, empiricamente è impossibile saperlo. Ritengo sia un problema affermare che una persona vada all’inferno perché non credo o è gay.

Ed è un peccato perché ritengo sia una conversazione molto interessante, il problema è che oggi si tende a rispettare le opinioni altrui fino a che queste non coincidono con le nostre. È un vero problema. La stessa cosa succede sui social media, basta un pensiero espresso in maniera leggermente diversa da come lo diremmo noi che si inizia a non rispettare più il prossimo.

 

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Uno degli argomenti di Ghost Stories è il rimorso, c’è un ruolo che hai rifiutato per poi pentirtene?

Veramente no. Ci sono stati molti ruoli per cui sono stato rifiutato, ho ricevuto molti no. Ma ogni volta che ho rifiutato un ruolo è stato perché ero convinto della mia decisione. Prima di accettare un ruolo ci penso molto bene, valutando vari aspetti.

Quando rifiuto un ruolo sono veramente felice perché significa che non era il progetto giusto per me. Amo recitare quindi se dico no ad un ruolo è proprio perché non volevo farlo.

 

Puoi raccontarci invece di un ruolo per cui sei stato rifiutato.

Non rivelerò che progetto fosse, ma l’ultima volta che mi è capitato ero convinto di avere la parte. Ho incontrato il regista tre volte,  abbiamo parlato della storia, sul poster promozionale c’era la mia faccia. Poi ho saputo che avevano scelto un altro attore.

È stato circa sette anni fa. Mi ha fatto male, come attore sono abituato a sentirmi dire no, ma era un lavoro che volevo. È stato come sentirsi dire ti amo, ti amo, a no scusa mi sono sbagliato.

C’è un film che rivedresti all’infinito?

Quando avevo 10 vedevo ogni giorno  vedevo Gli Insospettabili con Laurence Olivier e Michael Caine. Con questo film mi sono innamorato di Caine e della recitazione. A 14 anni invece ero ossessionato con West Side Story.

 

Cosa significa per te essere parte dell’universo Marvel? Puoi rivelarci se Everett Ross incontrerà Doctor Strange?

Sinceramente non lo so ancora se ci incontreremo. Nei film Marvel può succedere di tutto, soprattutto con un mondo strano come quello di Strange, potrei diventare un dinosauro! L’unica certezza che ho è che sarò nel sequel di Black Panther.

 

Ti vedremo ancora nei panni del Dottor Watson in Sherlock?

Onestamente non lo so. Ora Steven (Moffat) e Mark (Gatiss) stanno scrivendo Dracula. Come per le altri stagioni, abbiamo girato quando c’era una storia interessante da raccontare. Amo lo show, ma logisticamente è sempre difficile e poi non ci piace andare avanti all’infinito. È come se fosse un’occasione speciale, se accadesse sempre sarebbe qualcosa di comune. Mi piace il fatto che ci si riusca quando c’è qualcosa di speciale da fare.

 

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A proposito di Dracula, Gatiss/Moffat e Freeman/Cumberbatch sono coppie ben assortite, ci sono state trattative per entrare nel progetto? 

Non ancora. Amo le sceneggiature di Steven e Mark, ed ovviamente anche Benedict e si siamo una bella squadra. Ma credo anche che ognuno di noi voglia dimostrare il proprio talento in progetti differenti.

Inoltre credo che vogliano una pausa da me e Ben! [ride]. Ho visto Mark recentemente e abbiamo anche parlato di Dracula, e sono sicuro sarà veramente bello, ma non credo che lo farò.

Sei un appassionato di vinili, quindi volevo chiederti quale disco sceglieresti per rappresentare la tua carriera?

Bella domanda, non saprei. Forse dovrebbe rispondere qualcun’altro. Sceglierei un disco che mi piace ma potrebbe non essere quello giusto per descrivere la mia carriera. È come quando ti chiedono che animale o macchina saresti, inevitabilmenti scegli quello che ti piace di più e non quello che ti rappresenta in realtà.

 

Hai interpretato personaggi che sono entrati nell’immaginario comune, quali sono quelli più amati dal pubblico?

Veramente è un mix. Quando le persone mi fermano per strada c’è chi mi parla di Watson, chi di Bilbo, per anni per The Office, occasionalmente Guida Galattica, Fargo. Il vincitore in termini di numeri credo sia Watson, se ci fosse un’elezione diventerebbe sicuramente Primo Ministro.

 

Qual è il personaggio che ti somiglia maggiormente?

Credo di avere qualcosa in comune con ogni personaggio, dipende anche da come lo interpreti. Per esempio con Watson ho in comune il fatto di tenere alle persone. Non sono Gandhi ma mi accorgo se qualcosa non va e cerco di aiutare.

 

Come le ha lasciato il viaggio in Nuova Zelanda per Lo Hobbit?

È una stata una parte importante della mia vita per due anni e mezzo, è stata una bella esperienza. Ho lavorato con persone fantastiche, che ho imparato a conoscere con il tempo e con le quali abbiamo lavorato ad un progetto che ci è piaciuto fare. Mi sono divertito molto. La Nuova Zelanda poi è un posto bellissimo.

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