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La Nose Art e lo spirito degli aerei

Ereditando la tradizione navale di nomi propri e polene, i piloti cominciarono a decorare e battezzare i loro aeroplani, toccando l’apice nella Seconda Guerra Mondiale – era nata la Nose Art.

We train young men to drop fire on people. But their commanders won’t allow them to write “fuck” on their airplanes because it’s obscene!

Addestriamo giovani a sganciare fuoco sulle persone [l’incendiario Napalm – NdA]. Ma i loro comandanti non permettono loro di scrivere “fotti” sui loro aeroplani, perché è osceno.” Colonnello Kurt nel film “Apocalypse Now”

 

Volete esibirvi in una chiacchierata nerd da bar che, pur scivolando nell’argomento “belle donne discinte”, aggiunga quel tocco di spessore culturale che vi faccia perdonare dalle signore nelle vicinanze? La Nose Art fa per voi. Assumete il vostro miglior atteggiamento alla Alberto Angela e cominciate a leggere…

 

Agli albori della navigazione le imbarcazioni non portavano un nome e neppure segni distintivi, ma presto vengono decorate da intarsi, forse simboli religiosi che invocano la protezione nei viaggi pericolosi e dall’esito non di rado funesto. Nella marina velica, come abbiamo visto in film e documentari, le navi sono battezzate con nomi al momento del varo o all’atto della loro conquista o cambio di destinazione, anche perché si crede che il nome trascini con se gli eventi fortunati e sfortunati che l’avevano coinvolta.

Alla prua delle navi, soprattutto dal sedicesimo secolo anche se vi sono esempi precedenti, si aggiunge una polena: una decorazione lignea di animali anche mostruosi o figure femminili, anche mitologiche come le sirene. Le ragioni variano tra il desiderio di incutere timore ai nemici e alle avversità della navigazione o placarne l’ira con il richiamo agli archetipi femminili.

 

Bucintoro dei Savoia, costruito dai cantieri di Venezia nel 1731, oggi esposto nella Villa di Venaria Reale. A prua fa da polena un Narciso che si specchia nelle acque, affiancato da due anziani che versano acqua da due otri, personificazione del Po e dell’Adige (i due maggiori fiumi del Piemonte e del Veneto).

 

Sirena scolpita come polena della lancia della regina Maria-Antonietta, conservata al Musee Nationale de la Marine di Parigi. (XVII secolo)

 

Quando la pittura compare sugli aerei trova spazio sulla fusoliera, tra l’ala e la coda o più spesso sul muso dell’aereo, da cui il nome “Nose Art”, l’arte sul naso.

 

 

 

Nose Art su tela:
il Barone, il Principe e il Cavallino

Nella prima guerra mondiale tra gli antesignani della “Nose Art” ci sono dei piloti italiani: Francesco Baracca, Fulco Ruffo di Calabria e l’osservatore nonché poeta Gabriele D’Annunzio, tra gli altri, fanno dipingere sulla tela dei loro aerei adattamenti di simboli araldici o di reparti militari storici.

 

 

SPAD S.XIII di Francesco Baracca col Cavallino RampanteTutti gli italiani conoscono il Cavallino Rampante di Baracca, comparso nel 1917 sul suo aeroplano a richiamare il reparto di cavalleria da cui proveniva, mantenuto vivo ad oggi come simbolo della Ferrari, avendone concesso l’uso a Enzo Ferrari direttamente la madre dell’asso italiano.

Dalle parole di Enzo Ferrari:

Quando vinsi nel 1923 il primo circuito del Savio, che si correva a Ravenna, conobbi il conte Enrico Baracca, padre dell’eroe; da quell’incontro nacque il successivo con la madre, Contessa Paolina.

Fu essa a dirmi, un giorno: Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna(1).

 

Spad S.VII di Fulco Ruffo di Calabria. E’ visibile restaurato al Museo dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle

 

 

Altri assi italiani decorano i loro velivoli, anche con miglior fortuna, per esempio il Principe Fulco Ruffo di Calabria, che sopravvive al conflitto e si congeda primo capitano nel 1925.

 

Fulco Ruffo di Calabria avrà come settima figlia Paola, convolata a nozze nel 1959 con Alberto di Liegi, che sale al trono del Belgio nel 1993 come Alberto II. Paola regna come Regina consorte fino all’abdicazione di re Alberto in favore del loro figlio Filippo. nel 2013, Assume allora il titolo di Regina madre. Qui è fotografata in tutto il suo splendore, negli anni ’60.

 

La tavolozza più variegata la avoca a sé lo Jagdstaffel 11, il reparto d’assi tedeschi al cui comando viene posto Manfred von Richthofen, che diventa per tutti il “Barone Rosso” dopo aver dipinto di quel colore acceso il suo biplano Albatros D.V (e successivamente l’iconico triplano Fokker DR I).

Ispirerà le livree degli altri velivoli dello squadrone, che per cotante colorazioni si guadagnerà dagli inglesi, furiosi per gli abbattimenti subiti, lo spregiativo titolo di “The Flying Circus”, il Circo Volante.

 

 

 

Nuova guerra, stesso spirito

Il secondo conflitto mondiale porta con sé molta più attenzione alla colorazione mimetica degli aerei, ma non mancano disegni aggressivi, a cominciare da “Shark mouth” e “Tiger mouth”, le bocche di squalo o di tigre, che decorano le ampie prese d’aria dei motori di aerei tedeschi e inglesi sui fronti europeo e africano.

 

Messerschmitt Me 110 tedeschi inaugurano le “Shark mouth” all’inizio del conflitto.

 

Gli inglesi rischierati in Africa adottano una Nose art simile sui loro P-40 ricevuti dagli statunitensi e preferiti agli Hurricane che hanno già sanguinosamente difeso i cieli inglesi.

 

Tenente pilota A.R. Costello del 112mo Squadron, accanto al suo Curtiss_Kittyhawk Mk I (nome del P-40 nella versione acquistata dagli inglesi) a Sidi Heneish, Egitto, aprile 1942.

 

Prima che l’attacco di Pearl Harbor coinvolga ufficialmente gli U.S.A. nel conflitto, dei piloti statunitensi sono inviati, col benestare del presidente Roosvelt e al comando mercenario del congedato capitano Claire Lee Chennault, a combattere come “civili volontari” nelle file della Cina Nazionalista contro i Giapponesi.

Sui loro P-40 dipingono “Tiger mouth”, battezzandosi Flying Tiger , “Tigri Volanti”. Manterranno i “denti” quando torneranno a combattere con insegne americane, dopo Pearl Harbor.

 

P-40 delle Tigri volanti di Claire Lee Chennault, che dopo Pearl Harbor tornerà in servizio come ufficiale statunitense fino a raggiungere il grado di Generale. Notare le insegne della Cina Nazionalista.

L’ingresso effettivo nel conflitto degli statunitensi porta una ventata di nuove Nose Art, sulla capottatura motore dei caccia P-47 e P-51, ma soprattutto sulle fusoliere dei bombardieri B-17, B-24, B-25 e B-29 che garantiscono lavagne spaziose.

I giovanotti delle forze aeree sono per lo più ventenni in pieno vigore e ricevono quello che chiedono: si sa che una bella signora traina l’equipaggio più di un motore stellare a 12 cilindri, senza offesa per le comprensibili richieste femminili di uscire da questi cliché.

I pittori dei reparti sono ispirati o assistiti da disegnatori della Disney, dalle foto delle star di Hollywood o da illustratori di riviste, che sostengono lo sforzo bellico offrendo alle truppe immagini di signorine attraenti, se non esplicitamente seducenti.

Nonostante regolamenti militari, sollecitati da moralisti e religiosi, tentino blandamente di impedirlo, le fusoliere si riempiono: nomi di fidanzate dei piloti, di attrici e ballerine esotiche, personaggi tratti dai fumetti, simboli di morte e sogni di corpi femminili offerti impudicamente, frettolosamente ricoperti con pittura lavabile in caso di ispezioni ufficiali.

 

P-47 “Miss Behave”, dopo aver completato 30 missioni è riassegnato ad altro reparto l’undici marzo 1944. Il Tenente Colonnello J. C. Meyer ne ordina la rimozione della Nose Art poco dopo il suo arrivo. L’aereo viene perso in missione il 9 aprile.

 

Alcune Nose Art accompagnano alla fama velivoli ed equipaggi, offrendo in apparenza quella protezione che accompagna vivi alla fine del conflitto; altre garantiscono l’umanizzazione delle macchine volanti, che consente di accollare loro colpe e responsabilità davvero difficili da reggere, un giorno dopo l’altro, per gli umani equipaggi.

Nessuna pittura sciamanica protegge quei giovani gettati nella fornace dell’antiaerea, della caccia nemica, dei guasti fatali, degli errori di pilotaggio senza possibilità di rimedio

Negli anni più difficili della guerra sopra i cieli nazifascisti e dei nuovi domìni nipponici, il tasso di caduti in missione dei bombardieri diurni arriva all’ottanta percento. Al mattino in mensa avete al vostro fianco altre 9 persone, alla sera dopo una missione di bombardamento ne rimangono 2. E voi potreste non essere né l’uno né l’altro.

Vediamo una carrellata di queste Nose Art, dai nomi spesso a doppio senso, e delle avventure che hanno vissuto. Alcune sono storiche, altre riproduzioni su velivoli diversi dagli originali, magari truccate da Hollywood per uno dei suoi film. Controfigure di chi si è perso smantellato dopo la guerra, oppure che la fine della guerra l’ha vista in fondo all’oceano o tra resti bruciati in un cratere nel terreno.

 

 

 

Nose Art fortunate

Nel 1943 i bombardamenti diurni degli statunitensi sulla Germania e la Francia occupata sono un tritacarne. Per cercare di dare speranza agli equipaggi viene stabilito che dopo 25 missioni di combattimento all’equipaggio è garantito il congedo e il ritorno a casa: il personale del B-17 Memphis Belle si guadagna per primo il premio nel suo reparto.

 

Equipaggio del Boeing B-17 Flying Fortress “Memphis Belle” in posa dopo la missione n. 25 su territorio nemico, nel giugno 1943.

 

La sua storia è immortalata da libri e da un film del 1990, purtroppo molto romanzato (2).

 

Poster del film “Memphis Belle” del 1990.  Notate la Nose Art, per scelta scenica diversa dall’originale.

 

Man mano che il procedere della guerra e una scorta più efficace dei caccia riducono le perdite, aumenta il numero di velivoli che arrivano alla fine del conflitto preservando la maggior parte del proprio equipaggio.

Quasi tutti gli aerei superstiti vengono accantonati per la rottamazione, alcuni vengono rimessi in condizione di volo per armare aviazioni militari ai primi passi (l’aviazione indiana nasce recuperando decine di bombardieri lasciati dagli statunitensi nel paese, non demoliti per la fretta di congedarsi e tornare in patria alla fine del 1945).

Una piccola quota trova la strada di musei o associazioni che li esibiscono a terra o in volo durante manifestazioni aeree.

 

B-17 Black Diamond Express. Torna negli USA volando in un tour promozionale dei War Bond. Venduto come rottame metallico negli USA nell’ottobre 1945.

 

B-17 “Virgin On the Verge” Sopravvive al conflitto, è rottamato nel 1944

 

B-17 “Foul Ball”. Perso in azione durante una missione su Stuttgart nel 1943: esaurito il carburante è abbandonato dall’equipaggio all’altezza della spiaggia inglese di Beachy Head. L’equipaggio nuota fino a terra salvandosi; viene ritirato dal fronte. Nello stesso reparto vola come mitragliere l’attore Clark Gable, per cinque missioni. (Foul Ball è un fallo del baseball, ma significa anche “Buono a nulla” N.d.A.)

 

B-24 “Lil-De-icer” Partecipa alla sanguinosa operazione “Tidal Wave” contro le raffinerie di Ploesti, il primo  agosto 1943, dove ben 57 dei 177 B-24 attaccanti vengono abbattuti. Sopravvive al raid con l’intero equipaggio incolume e atterra in Libia. Presta servizio fino al 1944, poi viene rimpatriato a causa dell’usura bellica e viene rottamato nel 1946.

 

B-24 “War Baby, Ball of Fire III sul lato destro”.
Perso il 18 Novembre 43, per i danni subiti nell’attacco di un Messerschmitt Me 109 dopo una missione sulla Norvegia. L’aereo atterra nella neutrale Svezia e l’equipaggio viene internato.

 

P-51 “Shangri-la”. Lo pilota Dominic ‘Don’ Salvatore Gentile, in 21 vittorie. Don Gentile (di genitori italiani) l’undici aprile riceve una medaglia Distinguished Flying Cross e viene chiamato “la forza aerea di un sol uomo” dal Generale Eisenhower. Pochi giorni dopo schianta l’aereo all’atterraggio di un volo dimostrativo per i giornalisti. Se la cava con poche ferite e viene rimandato negli Stati Uniti in tour promozionale dei war bond.

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B-24 “The Dragon and His Tail” riprodotto – vedi nota (3) L’originale svolge 85 missioni sul Pacifico. Nonostante il “Dragon” sia sempre al centro dell’attenzione dei piloti di caccia giapponesi, sopravvive alla guerra, vola a casa e viene messo in deposito in Arizona. Alla fine, nonostante gli sforzi per salvarlo, il Dragon è l’ultimo B-24 ad essere demolito.

 

B-24 “Witchcraft”, riprodotta su di uno dei due soli B-24 oggi in condizioni di volo.

 

Il B-24 “Witchcraft” ha una storia che sembra una leggenda.

Il B-24 “Witchcraft” ha una storia che sembra una leggenda. L’originale “Witchcraft” è costruito da uno stabilimento Ford e consegnato in Inghilterra nel marzo 1944, dopo un volo di trasferimento sull’Atlantico.

L’aereo e l’equipaggio iniziano il loro servizio di combattimento il 10 aprile 1944, mentre volano la prima missione di combattimento del 467th Bomb Group. Nel corso dell’anno successivo “Witchcraft” effettua un’incredibile sfilza di 130 missioni di combattimento con vari equipaggi. “Witchcraft” non abbandona alcuna missione e nessun membro dell’equipaggio è ferito o ucciso.

Il 25 aprile 1945 partecipa all’ultima missione di guerra del 467th Bomb Group, prima che la guerra termini: “Witchcraft” combatte  dall’inizio alla fine del reparto. Dopo la guerra torna negli Stati Uniti e, come molti altri B-24, viene demolito il 3 ottobre 1945, in Oklahoma.

 

 

 

Nose Art che non son bastate

La guerra spazza regolarmente preghiere e riti scaramantici. Tutti gli sforzi degli ingegneri nel costruire aerei più robusti e sicuri, tutte le mani di pittura delle Nose Art spesso non sono bastate.

Archivi fotografici e cronache affiancano Nose Art ed elenco degli abbattimenti, con freddi acronimi militari per gli equipaggi, quali KIA=Killed In Action (uccisi in azione), WIA=Wounded In Action (feriti in azione), MIA=Missed in Action (dispersi in azione), BO=Bailed Out (paracadutati),  POW=Prisoner Of War (prigionieri di guerra), RTD=Retired (ritirati dal fronte)

 

B-17 “Sleepytime Gal”. Perso in missione su Stuttgart il 9/12/1944, colpito dalla contraerea. Uno muore, altri 9 dell’equipaggio si lanciano col paracadute e vengono catturati al suolo e fatti prigionieri; L’aereo senza pilota vola per altri 60 km verso ovest, prima di schiantarsi in una foresta.

 

B-17 “Milk run special”. Tornando dalla missione su Kassel il 15/12/1944 si scontra in volo con un altro B-17 e si schianta in Inghilterra. Un uomo è ferito, due tornano in servizio, 16 muoiono in totale sui due aerei coinvolti.

 

B-17 “Stark’s Ark”. Colpito da un caccia nemico ai motori n.2 e 3 e con l’ala sinistra in fiamme, un uomo è ucciso, gli altri nove si lanciano e vengono catturati. L’aereo si schianta verticalmente a 17 miglia a sud est da Magdeburgo.

 

B-17 “Cock O’ The Walk” Colpito dalla contraerea nell’abitacolo il 29/02/1944, 4 miglia a nord di Brunswick: quattro uomini uccisi, sei imprigionati.

 

B-17 “Two Beauts”. Partendo il 13/03/1943 per una missione verso il cantiere navale di Rotterdam, avvolto dalle nuvole ancora su cieli inglesi, si scontra in volo con il  B-17 “Ooold Soljer”. Tre uomini riescono a paracadutarsi e vengono ritirati, sette muoiono nello scontro.

 

Per capire cosa succeda in volo, cito dal libro Snetterton Falcons” la cronaca vissuta della missione del B-17 “Little Caesar” su Oschersleben, con altre Fortezze Volanti del reparto.

 

B-17 “Little Caeser”, con il suo equipaggio

 

Poco prima dell’avvicinamento finale all’obiettivo, ormai non c’è più niente dello squadrone di testa. Il capo formazione e il suo vice sono stati abbattuti. Gli altri hanno abortito la missione. A questo punto del massacro, il capitano Francis Madsen ha preso il comando. Non gli è rimasto un grosso gruppo alle spalle: solo Walters, Bob Hodson e Charlie Mooreland.

Le parole del tenente Ed Quigley, il puntatore/bombardiere a bordo di “Little Cesar”, ricostruiscono gli eventi: 

I caccia stavano facendo pressione con selvaggi attacchi ravvicinati. Una Fortezza si è spezzata tra le fiamme di tutti e quattro i motori. Ho visto aprirsi 5 paracadute. Un caccia tedesco è esploso, una palla di fuoco arancione sospesa nell’aria. Un altro B-17 ha virato fuori controllo, un motore in fiamme, la coda strappata via. Nel muso di “Little Caesar”, i bossoli vuoti si stavano accumulando. Jerry [nomignolo per i tedeschi N.d.A.] stava arrivando per uccidere e stava sciamando sul nostro piccolo gruppo di quattro aerei.

Ho iniziato a sparare dalla mitragliera destra del muso. Un naso giallo [colorazione dei Me 109 tedeschi, N.d.A.] si tuffò per passarci sotto. Adesso su “Little Caesar” sparavano tutte le armi. Potevo sentire il martellare della torretta e il distintivo CHUG-CHUG della [torretta inferiore a] palla. I traccianti erano ovunque.

Ho iniziato a girarmi verso le mitragliere sul muso quando qualcosa mi ha colpito alla schiena. Sono stato buttato a faccia in giù sul mirino. Mi sono guardato intorno: Sid Rosberger, il navigatore, era disteso sulla schiena, quasi sul portello di fuga. Le mitragliere senza nessuno a impugnarle stavano oscillando selvaggiamente e il fumo si riversava tra i frammenti di plexiglass. Poi, Sid e io ci alzammo. Walt, il pilota, stava chiamando all’interfono.

Gli ho detto che tutto era OK e sono tornato alle mitragliere. Circa dieci minuti dopo, quando i tedeschi ci diedero un attimo di respiro, ebbi il tempo di realizzare che ero stato colpito. Misi la mano sotto la giacca, sulla schiena e mostrai a Sid il sangue. Diede un’occhiata più da vicino e disse che pensava non fosse troppo grave. Sono tornato di nuovo a occuparmi dei caccia.”

Il tenente Quigley alla fine ha messo le sue bombe sul bersaglio.

“Immagino che ci debba essere stata contraerea”, scrive, “ma non ricordo”. Accendemmo lo I.P. (4), l’aereo in testa alla formazione sparò i suoi bengala e io aprii i portelli del vano bombe. Ho provato a cercare il bersaglio, ma era troppo doloroso piegarsi [sul mirino]. L’aereo di testa sganciò e io rilasciai anche le nostre bombe e chiusi i portelli.”

Sulla strada di casa, Quigley ha finalmente  il tempo di pensare alle sue ferite. “Quando l’Inghilterra apparve all’orizzonte”, ricorda Quigley, “sono andato nella stanza della radio, dove per la prima volta ho avuto paura, ho iniziato a tremare e a fumarmi una dietro l’altra un pacchetto di sigarette. Arrivammo al campo, sparando un bengala per avvisare i Segaossa di star pronti con il “carro della carne” [nomignolo per l’ambulanza, N.d.A.] ed atterrammo. Walt ha fatto rullare l’aereo fuori dalla pista, si è sporto dall’abitacolo e mi ha salutato mentre mi contorcevo tra due medici: è stata l’ultima volta in cui l’ho visto. “

La tragedia di Oschersleben non è finita. Quigley viene ricoverato in ospedale per mesi; ma l’indomani il resto del suo equipaggio, ad eccezione di Sid Rosberger, è perso in combattimento.

A novembre, quando Ed Quigley torna al reparto, l’unica persona che riconosce è il collega bombardiere Ray McKinnon.

“Mio Dio, Ray,” chiede Quigley, “dove sono tutti?”

McKinnon non risponde. All’interno della baracca metallica i due bombardieri, compagni di sventure, si abbracciano e piangono.

 

 

 

Nose Art indimenticabili

La seconda guerra mondiale si chiude, letteralmente, col botto. La Nose Art del B-29 “Enola Gay”, il nome della mamma del colonnello Paul W. Tibbets, Jr, marchia nella memoria di tutti lo sgancio della prima (prototipo a parte) bomba atomica, su Hiroshima.

Il 6 agosto 1945 “Enola Gay” vola accompagnato da altri due B-29: “The Great Artiste” per le misure e l’osservazione degli effetti della bomba e “Necessary Evil” (il nome evocativo fu assegnato dopo la missione) per le storiche fotografie dell’esplosione. Quando esplode a circa 580 metri di quota, la bomba “Little Boy” uccide sul colpo tra le 70 e le 80.000 persone (saliranno successivamente a circa 140.000, per le ferite e l’effetto delle radiazioni).

 

Il NerdTrip in Giappone ha visitato il Parco e il Museo della Pace di Hiroshima, dedicato alla memoria di questa strage storica.

 

B-29 “Enola Gay”. Se associate vostra madre a qualche sculaccione educativo, pensate a Enola, la madre del colonnello pilota Paol Tibbets, associata al maggior scoppolone di tutti i tempi dato a una nazione.

 

B-29 “The Great Artiste”. Unico a partecipare sia all’attacco atomico su Hiroshima che su Nagasaki. Avrebbe dovuto sganciare la bomba su Nagasaki, ma non fecero in tempo a spostare gli strumenti usati nella missione su Hiroshima, per cui venne scelto “Bockscar”.

 

B-29 “Necessary Evil”, il fotografo del primo bombardamento atomico.

 

Mentre il mondo cerca di capire l’enormità di quanto successo, il 9 agosto gli statunitensi sganciano ”l’ultima bomba della guerra”. Tocca al B-29 “Bockscar”, (da leggere Bock’s car, il vagone volante del suo comandante pilota Capitano Frederick C. Bock), anche se in prestito ad altro equipaggio per la missione atomica.

Lo accompagnano in volo ancora “The Great Artiste” per i rilievi strumentali e “Big Stink” per le foto.

 

B-29 “Bockscar” La Nose Art fu aggiunta dopo lo sgancio su Nagasaki della bomba atomica “Fat Man”

 

B-29 “Big Stink” Fu attrezzato per scattare foto dell’esplosione atomica su Nagasaki

 

Lo sgancio di “Fat Man” e la sua esplosione nel cielo di Nagasaki sono meno precisi per via delle nuvole che ostacolano il puntamento, ma bastano a uccidere sul colpo 35.000 persone. I combattimenti dureranno ancora qualche giorno, ma questa diventa “la bomba che mette fine alla guerra”.

Il Giappone piange amaramente la sfida iniziata a Pearl Harbor.

 

 

 

Messaggero di vittoria

Per alcuni giorni si rischia un finora inimmaginabile colpo di stato dei militari più irriducibili, pronti a continuare la guerra fino all’ecatombe dell’intero paese. Alla fine l’Imperatore giapponese Hirohito annuncia alla radio la resa incondizionata, effettiva dal 14 agosto e firmata il 2 settembre nella baia di Tokyo, a bordo della corazzata statunitense Missouri.

Il giorno prima, una copia della stesura finale dei documenti di resa è pronta, ma serve un moderno Fidippide che, in una volante maratona, li porti rapidamente nei lontani Stati Uniti.

 

B-29 “Lady Marge”, durante un tour celebrativo nell’ottobre 1945

 

Tocca all’equipaggio del B-29 “Lady Marge” stabilire un record mondiale, volando da Honolulu a Washington D.C. alla velocità media di poco meno di 460 Km/h.

 

 

 

La guerra finisce, la Nose Art lotta ancora

Come raccontato nell’articolo “Settant’anni più veloci del suono”, Charles Elwood “Chuck” Yeager infila il suo ruolino da asso di guerra nel torpore statale del NACA, trasferendo sul Bell XS-1 che porta in volo nel 1947 quel Nose Art “Glamorous Glennis” che durante la guerra aveva decorato il suo North American P-51 Mustang, in onore della fidanzata, poi moglie, Glennis. Diventa la prima Nose Art supersonica.

 

Bell X-1 “Glamorous Glennis” esposto allo Smithsonian National Air and Space Museum di Washington

 

Hollywood, chiudendo il cerchio che l’aveva vista ispirare e incoraggiare diverse immagini dipinte sul metallo, ne prolunga la vita per esigenze sceniche. Nella lunga serie di film celebrativi delle furiose battaglie che sono la coda mediatica del conflitto, molte Nose Art vengono restaurate o ridipinte sugli aerei superstiti, ricostruiti o simulati con modellini.

 

B- 25 “Pacific Princess”. Ridipinto come “Pacific Princess” dopo la guerra, è utilizzato con altra livrea nelle riprese del film “Catch 22” e fermo a terra nelle riprese di “1941”. È lanciato dalle portaerei USS Lexington e USS Constellation nel 2000 per il film “Pearl Harbor”.

 

La guerra del Vietnam e qualche conflitto più recente forniscono materiale nuovo, ma meno ingenuamente artistico, più ingessato nella forma imposta dalle gerarchie, come ricorda la citazione dal Colonnello Kurtz nel pluripremiato “Apocalypse Now” con cui questo articolo si apre.

 

AC 130 Gunship. La versione cannoniera del trasporto C-130 Hercules si fregia della morte armata di cannoni rotanti Gatling.

 

 

 

 

Il tramonto delle Nose Art con Pin up

La rilassatezza bellica nell’applicare le disposizioni militari di censura termina, pian piano portando a ricoprire di pittura le Nose Art degli aerei non ancora rottamati. Qualcosa viene salvato sugli aerei ospitati nei musei.

Qualche pittura come detto è riprodotta più o meno fedelmente su aerei restaurati per le celebrazioni storiche e le riprese cinematografiche, ma pressioni moraliste e progressiva battaglia contro il sempreverde sessismo tolgono le Pin-up dalle carlinghe.

 

B-25 “Yellow Rose” nel restauro originale.

 

B-25 “Yellow Rose” ridipinto con gonnellino e giacchetta per non turbare i bambini (!) durante le domenicali esibizioni aeree.

 

Sopravvivono simboli di reparto con Shark mouth, teschi, falci e altri simboli di morte, oltre ai personaggi di cartoon e qualche scritta evocativa, magari in latino.

Rimangono in voga gli aerei “Special Color”, decorati in occasione di eventi particolari quali anniversari di reparti, ultimi voli prima della dismissione finale di un modello di aereo o celebrazioni nazionali.

 

AMX MM 7149, 132° Gruppo del 51° Stormo.

 

AMX MM 7149, 132° Gruppo del 51° Stormo: il 132° Gruppo Caccia Bombardieri Ricognitori lo ha dipinto per ricordare la storia del reparto durante il raduno del personale che è appartenuto al Gruppo. I festeggiamenti si sono tenuti il 9 Giugno 2001.

L’aviazione militare inglese solleva qualche protesta nel 2007 quando, citando oltre quattromila reclami ricevuti dal sempre più numeroso personale femminile, vieta le immagini di genere nelle decorazioni dei propri velivoli.

Con colpevole ritardo ci si accorge che, dalle precorritrici 99 donne pilota riunitesi nel 1929 sotto la bandiera delle “Ninety-Nines”, passando dalle “Wasp” della Seconda Guerra Mondiale che garantivano voli di consegna al fronte dei velivoli appena usciti dalle fabbriche, ormai le donne sugli aerei non salgono solo come passeggere o dipinte sulle fusoliere: impugnano cloche o volantino e pilotano non meno bene dei maschi, fino all’orbita raggiunta a bordo di Shuttle e Soyuz fino alla Stazione spaziale ISS.

 

Samantha Cristoforetti aviatrice, ingegnere, astronauta militare italiana, prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea. Di certo ben più di una Pin-up!

 

 

 

Dove sono ora le Pin-up con le ali

Le Nose Art si sono guadagnate negli anni un posto nella Folk art e nell’immaginario collettivo, soprattutto quando riferite al periodo dorato delle Pin-up.  

Periodicamente sono ricomparse in stampe dal sapore d’epoca, collezioni fotografiche, pubblicità, targhe appese in bar e ristoranti dal sapore retrò, giubbotti in pelle, stemmi metallici e perfino accendini Zippo, in una serie divenuta da collezione, con esemplari fuori produzione venduti su e-bay, anche a caro prezzo.

Ci sono disegnatori che tutt’oggi le rappresentano, come l’illustratore francese Romain Hugault, autore di una serie di volumi che raccolgono propri disegni originali, ispirati dalle Pin-up in aviazione e da iconiche donne famose suggerite da nomi quali Marylin, Jackie, Linsay, Margot, Dita.  

Che siano ormai solo sbiadite pitture su foto appannate dal tempo o nette riproduzioni in lucido smalto moderno, le Nose Art hanno accompagnato un’era e sono ancora tra noi. Magari in forme e luoghi inaspettati, come ci rivela uno spiritoso adesivo per automobili, in vendita su Amazon, dedicato a chi porta a bordo il proprio cane:

My windows aren’t dirty, that’s my dog’s nose art!

“I miei finestrini non sono sporchi, quella è la nose art del mio cane!”

 

 

 

Dopo i titoli di coda

Lo so, siete stanchi e state per chiudere l’articolo, promettendo a voi stessi che mi ucciderete per impedirmi di scriverne un altro così lungo. Però, come Shahrazād in “Mille e una notte” vi chiedo di risparmiarmi ancora una volta.

Documentandomi sulle Nose Art, mi sono imbattuto in questa, tutt’altro che mimetica, colorazione di un B-24 della seconda guerra mondiale.

 

Non è l’aereo della Pimpa di Altan e nemmeno una pubblicità subliminale di M&Ms o Smarties.

 

Non è una  Nose Art, perché non è il frutto spontaneo della fantasia di un equipaggio bensì una livrea imposta dal Comando dell’Eight Air Force, i reparti da bombardamento statunitensi sul fronte europeo.

È una logora Assembly ship, di quelle che gli altri equipaggi rassegnati non tarderanno a ribattezzare spregiativamente “capra Giuda”.

Perché? Ormai è l’alba: dovrete attendere una prossima notte e una nuova storia.

 

 

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Note

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[1] Anche se divenuto asso pluridecorato, il maggiore Francesco Baracca muore a trent’anni, non esattamente quello che comunemente definiremmo fortuna, pur col metro dell’ecatombe bellica. Altri della sua 91ª Squadriglia, denominata la Squadriglia degli assi, sopravvivono al conflitto: tra di loro l’asso cap. Bartolomeo Costantini, detto Meo, che mi duole dire non mi risulta sia stato tra i miei avi. Congedato come tenente colonnello, vince gare automobilistiche al volante di una Bugatti, marchio di cui diventerà direttore corse, passando poi all’Alfa Romeo al posto del precedente direttore Enzo Ferrari, che ha deciso di aprire una scuderia tutta sua, di cui dovreste aver sentito parlare.  

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[2] Memphis Belle (Memphis Belle)

Il film del 1990 riproduce con molte licenze di sceneggiatura la storia del primo bombardiere statunitense sul fronte europeo ad aver raggiunto, nell’estate del 1943, le 25 missioni di combattimento. Questo risultato garantiva all’equipaggio il congedo e il ritorno a casa: era una promessa che fino a quel momento nessuno aveva raggiunto, data l’alta mortalità nelle missioni.

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[3] La Nose Art “The Dragon and His Tail” è stata ridipinta dopo la guerra su di un altro B-24 che, dopo aver operato sul fronte del Pacifico con insegne britanniche, viene rimesso in condizioni di volo dalle Forze aeree indiane nel 1948 e usato fino al 1968. Recuperato nel 1981 da un collezionista britannico, passa di mano nel 1984 e infine è restaurato a Boston da volontari, molti dei quali precedentemente membri d’equipaggio su altri B-24, o loro figli. Il restauro richiede lo smontaggio completo dell’aereo e lavori estesi su circa l’80% del milione e duecentomila parti da cui è composto. Si rimedia a corrosione e danni dovuti all’invecchiamento, sostituendo il 20% della superficie, rimpiazzando oltre 420.000 rivetti, impianto idraulico, finestrini, freni e pneumatici. Nel 1989 è riportato in condizioni di volo, dipinto come il B-24 “All American”, che volò in Italia col 15th Air Force, 461st Bomb Group. Nel 1998 viene ridipinto come l’esuberante “Dragon and His Tail”. Nel 2005 la livrea cambia ancora, nella pudica immagine del “Witchcraft”.

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[4] I.P. significa Initial Point e per estensione qui il dispositivo di guida e puntamento. Corrisponde a un qualche segno identificabile a terra, a circa 20 miglia dall’obiettivo. La formazione vola lì e da quel punto deve volare dritta e livellata, nessuna azione evasiva, verso il bersaglio. I portelli del vano bombe sono aperti, di solito attivando il pilota automatico che prende i comandi di allineamento dal bombardiere, perché questi faccia il suo lavoro. E’ tempo di sudare freddo. [Descrizione di Wally Blackwell, pilota di B-17]

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Fonti

Molte immagini sono nascoste tra le pieghe dei siti di fotografie, spesso non ripubblicabili per incerte disposizioni di copyright. Più difficile ricostruire le storie che hanno accompagnato quei velivoli e i loro equipaggi, che con l’aiuto di artisti hanno cercato di infondere spirito protettivo da uomini delle caverne nel moderno alluminio.

 

 

 

Photo Credits

  • Foto “Black Diamond Express”, “Virgin on the verge”, “Foul Ball”, “War Baby/Ball of fire III”, “Shangri-la”, “Sleepytime Gal”, “Milk run special”, “Cock O’ The Walk”, “Two Beauts”, “Little Caeser”, Credits America Air Museum  
  • Foto di Memphis Belle Crew – ha caricato in origine il file ERcheck di Wikipedia in inglese – https://media.defense.gov/2004/May/28/2000591581/-1/-1/0/021001-O-9999J-010.JPG, Pubblico dominio
  • Foto A R Costello e il suo Curtiss Kittyhawk by the Imperial War Museum on the IWM Non Commercial Licence
  • Foto P-47 Miss Behave , credits 352ndfightergroup.com
  • Foto Bell X-1 Glamorous Glennis – fotografo Eric Long, Smithsonian Institution

 

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