The Evil Within 2

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The Evil Within 2 è finalmente disponibile per PC, PlayStation 4 e Xbox One. Scoprite come ci è sembrato con la nostra recensione.

Tutto si evolve col tempo, anche i modi per terrorizzare il prossimo. Deve saperne qualcosa Shinji Mikami, la mente dietro al primo, storico, Resident Evil, cui si deve, se non l’invenzione di un intero genere, quantomeno la sua diffusione di massa, inaugurando nella seconda metà degli anni ‘90 la grande stagione dei survival horror.

A quel punto poteva starsene fermo, Mikami, a copiare se stesso all’infinito tra un sequel e l’altro, come un Assassins Creed qualsiasi. Invece l’uomo ha avuto le palle di rimettersi in discussione, dapprima con i dinosauri dell’agghiacciante quanto indimenticato Dino Crisis, di cui si attende, a vent’anni di distanza, un seguito degno di questo nome.

 

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Ma è soprattutto con Resident Evil 4 del 2004 che Mikami ha mostrato al mondo quanto la propria idea di videogioco fosse avanguardia.

Ma è soprattutto con Resident Evil 4 del 2004 che Mikami ha mostrato al mondo quanto la propria idea di videogioco fosse avanguardia, abbandonando il sistema di inquadrature fisse e i controlli ormai obsoleti dei primi tre capitoli della serie e introducendo la telecamera spostata subito dietro la spalla del personaggio, visuale presente in quasi tutti gli shooter in terza persona successivi. Insomma, stiamo parlando di un autore che non si è mai specchiato nel proprio mito e ha sempre guardato avanti, diventando una delle – sempre più rare – firme del panorama videoludico mondiale.

Problema: e ora? Cosa fai della tua carriera dopo che hai scritto la storia del videogioco moderno, dopo Resident Evil 4? Perché proprio come molte band possono avere in canna due o – quando va bene – tre dischi in grado di segnare una generazione prima di sciogliersi o invecchiare (è successo, ad esempio, agli Smiths dopo The Queen is Dead, agli U2 dopo Achtung Baby, ai Pearl Jam dopo Vitalogy, agli Oasis dopo Morning Glory, ai Radiohead dopo Kid-A, agli Smashing Pumpkins dopo Mellon Collie, ai Nirvana no e il perché, beh, è ovvio), verso la fine del decennio scorso si temeva che la carica innovativa di Mikami, complice qualche lavoro dallo spessore altalenante, fosse esaurita.

 

 

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Il recente The Evil Within rafforzava la sensazione: azzoppato da un comparto tecnico semplicemente non all’altezza della nuova generazione di console, il gioco, pur apprezzato per la direzione artistica da incubo e le atmosfere demoniache, vero e proprio marchio di fabbrica dell’autore, non aggiungeva nulla di nuovo alle intuizioni avute anni prima dal medesimo Mikami, risolvendosi, in fin dei conti, in un more of the same, una dichiarazione d’amore indirizzata ai soli appassionati.

Ecco allora che con The Evil Within 2 o la va o la spacca.

Dal secondo capitolo di una serie ideata da un fuoriclasse sarebbe lecito attendersi il guizzo, sennonché la scelta di affidare le redini della direzione a un esordiente – tal John Johnas, il quale si è fatto le ossa con i DLC del primo episodio – e relegare Mikami al ruolo di supervisore, potrebbe rivelarsi un azzardo per la tenuta della serie. Se i numeri macinati nei negozi non dovessero infatti rivelarsi all’altezza delle aspettative di Bethesda, non è da escludere che il franchise finisca in un limbo alla Dead Space

Abbiamo giocato approfonditamente al titolo e se siete curiosi di scoprire come ci è sembrato, non vi resta che proseguire con la lettura della nostra recensione! Vi ricordiamo che The Evil Within 2 è disponibile a partire dal 13 ottobre 2017 per PC, Xbox One e Playstation 4.

 

 

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Questo sequel comincia dove finisce il predecessore, non senza preoccupazione di chi, come il sottoscritto, tra un complotto e l’altro – che barba questi complotti, viva la linearità allaThe Last of Us – si era perso nel guazzabuglio della sceneggiatura del capostipite. La stessa Bethesda deve essersi in qualche modo accorta della confusione, altrimenti non avrebbe pubblicato un dettagliato Q&A, di cui Lega Nerd ha già parlato diffusamente in questo articolo, che consigliamo di rispolverare prima di avviare il gioco.

Il detective Sebastian Castellanos è un uomo alla canna del gas, che passa i giorni al pub ad affogare nell’alcol la disperazione per la figlia creduta morta.

Il detective Sebastian Castellanos è un uomo alla canna del gas, che passa i giorni al pub ad affogare nell’alcol la disperazione per la figlia creduta morta. Fino a quando una vecchia conoscenza lo informa che la bimba è viva e vegeta, peccato sia finita nelle mani della consueta organizzazione di tagliagole, la Mobius, la quale ha pensato bene di usarla come topo da laboratorio per sperimentare lo STEM, un marchingegno in grado di dare forma alla coscienza dell’uomo. Qualcosa ovviamente non funziona come dovrebbe perché il bollettino che arriva dal mondo ‘virtuale’ è una tragedia: la figlia di Castellanos sembra inghiottita nel nulla all’interno delle illusioni create dallo STEM, dove peraltro imperversano schifose creature pronte a fare a pezzi gli agenti Mobius inviati a indagare sull’accaduto. Bisognerà pur far luce sul mistero. Indovinate a chi resta il cerino in mano.

 

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Dopo poche battute ci si accorge di quanto l’impresa di Castellanos sia disperata: per alcune ore di gioco il detective dovrà aggirarsi per le strade di una cittadina alla Silent Hill, chiamata Union, rovistando casa per casa alla ricerca, oltre che della figlia, di munizioni, erbe ed altri oggetti utili alla sopravvivenza. Perché, neanche a dirlo, la morte potrebbe nascondersi dietro ogni angolo. In queste fasi gli spazi sono nettamente più ampi rispetto ai corridoi del primo capitolo e nella mappa compaiono diversi obiettivi da raggiungere.

Le missioni secondarie sono ben costruite e vanno affrontate se si vuole aumentare la possibilità di portare a casa la pelle, perché permettono di arrivare a risorse altrimenti irrecuperabili. E poi, ovviamente, servono ad allungare il brodo, con grande sollievo della fetta di utenza pronta a ricorrere alle vie legali se un gioco non si trascina come minimo per quaranta ore. Contenti loro. Perché resta tutto da dimostrare che questa struttura faccia bene alla serie: a parere di chi scrive bastano poche ore per rendersi conto che The Evil Within 2 spaventerà, ma solo fino a un certo punto e che il livello di terrore, di isolamento, di alienazione, di claustrofobia offerto dai recenti Resident Evil 7 o Outlast 2 sia qui un miraggio. E non è forse un peccato capitale per un horror fare tutto sommato poca paura?

E l’ennesima dimostrazione che voler cocciutamente assecondare la filosofia “bigger, better” da tempo in voga, importando di sana pianta alcuni dei tratti tipici degli open world solo per inseguire il trend videoludico degli ultimi anni, può rivelarsi un’arma a doppio taglio, specie in produzioni dove è necessario non dare letteralmente scampo al giocatore, costringendolo a un supplemento di attenzione e a un livello di coinvolgimento costante.

Aumentando il grado di libertà si rischia di spezzare la tensione, difficilissimo raggiungere un punto di equilibrio.

 

The Evil Within 2 non a caso rende al massimo nelle fasi in cui la limitatezza degli ambienti non lascia troppa discrezionalità e obbliga alla circospezione

The Evil Within 2 non a caso rende al massimo nelle fasi in cui la limitatezza degli ambienti non lascia troppa discrezionalità e obbliga alla circospezione. Va comunque detto che anche quando Castellanos avanza a campo aperto, il prodotto di per sé si rivela un piacere da giocare. Tecnicamente parlando, pur non facendo gridare al miracolo, il titolo se la cava molto meglio del predecessore, perché il livello di dettaglio è decisamente una spanna avanti e il sistema di illuminazione crea la giusta atmosfera ‘sporca’, coprendo qualche imperfezione qua e là, riuscendo a trasmettere una buona dose di apprensione. Le animazioni sono ora più fluide pur mantenendo, volutamente, una certa rigidità: l’affanno dei movimenti del detective – un paracarro, quando si tratta di darsela a gambe – e il limitato spazio visivo concesso al giocatore non permettono mai di accorgersi pienamente di cosa si aggiri nei dintorni, insinuando la sensazione di non essere al sicuro.

Viene allora in soccorso un sistema di coperture che bisogna imparare subito a padroneggiare per evitare lo scontro frontale con le aberrazioni, da cui il protagonista sarebbe probabilmente sopraffatto. Evitare i combattimenti, quando possibile, è sempre un’opzione sensata, peccato che in questo modo si perda per strada il fondamentale gel verde già visto nel primo capitolo, ossia una melma putrescente necessaria a Castellanos per potenziare le proprie abilità. Il sistema di crafting è davvero ramificato e permette di modellare l’equipaggiamento adattandolo al proprio stile di gioco.

 

 

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Non è dato sapere in quale misura Shinji Mikami abbia dato il proprio contributo alla realizzazione di questo sequel, fatto sta che in diversi frangenti la narrazione è scandita da tocchi di classe, come omaggi e citazioni ad altri thriller/horror: un salone dal pavimento a righe bianco e nero e i drappi rossi alle pareti ricorderà a qualcuno una certa serie televisiva farina del sacco di un certo David Lynch.

Le eccellenti meccaniche survival, rese possibili dalla scarsità delle munizioni e da un livello di difficoltà che metterà alla prova anche i fan più esigenti,  rafforzano l’impressione di progressivo soffocamento.

Le eccellenti meccaniche survival, rese possibili dalla scarsità delle munizioni e da un livello di difficoltà che metterà alla prova anche i fan più esigenti,  rafforzano l’impressione di progressivo soffocamento. La storia – più chiara rispetto al primo capitolo – si dipana in almeno quindici ore, ma il timer è ovviamente destinato a salire se si vuole esplorare ogni anfratto progettato dagli sviluppatori. Funziona infine oltre ogni aspettativa il comparto audio: l’espressività del doppiaggio in italiano e in particolare della voce di Castellanos, convincono senza riserve. Il titolo non passerà certo alla storia per la colonna sonora: il vero protagonista è il silenzio, che avvolge l’esplorazione, rotto ogni tanto da qualche latrato, da un vetro infranto, dal rumore di passi, da un urlo in lontananza. Cosa diavolo sarà stato? Sicuri di voler indagare?

 

 

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In conclusioneThe Evil Within 2 uscirebbe in barella da un ipotetico scontro diretto con Resident Evil 7 perché, semplicemente, non fa abbastanza paura. Non sappiamo se il difetto sia dovuto all’assenza di Mikami o alla voglia di dirottare la serie sui binari del thriller psicologico più che dell’horror. Fatto sta che i puristi del genere non perdoneranno agli sviluppatori di non averli spaventati a dovere.

I detrattori potrebbero facilmente prendersela con le sezioni che profumano (o puzzano?) di free roaming ed effettivamente sono proprio questi frangenti a rivelarsi l’anello debole dell’esperienza. Quando invece gli spazi tendono a diventare più angusti e non ci si distrae con obiettivi secondari, The Evil Within 2 riesce a mettere spalle al muro anche il giocatore più scafato, incutendo se non terrore, quantomeno la sensazione di arrancare inutilmente, di non avere scampo. Come thriller psicologico votato al survival insomma, il titolo funziona egregiamente. Forse allora il più grosso problema di questo sequel, come del resto del primo episodio, è solo di essere un ottimo esponente del genere, senza però avere né quella voglia di azzannare alla giugulare che ha reso celebri i più importanti lavori di Shinji Mikami,  né le intuizioni che separano, appunto, un ottimo gioco da un capolavoro.

E, soprattutto pesa come un macigno la mancanza di una narrazione in grado di mettere in scena personaggi davvero credibili. Tra un decennio chiunque si ricorderà di Joel ed Ellie, quanti invece di Sebastian Castellanos?
85
ME GUSTA
  • Impegnativo e longevo
  • Meccaniche survival riuscitissime
  • Storia meno caotica e meglio raccontata rispetto al pedecessore
  • Il male si annida veramente ovunque
FAIL
  • Rari i salti sulla sedia
  • Sarà mica colpa della struttura da pseudo-open world di lunghe fasi di gioco?
  • La sceneggiatura resta ancora lontana dall'essere memorabile
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