Una Nebbia Estiva

 

Questo racconto si svolge in una sorta di universo parallelo che ricorda molto quello della Marvel, ma senza supereroi. Forse.

Era l’estate del 1998, torrida, svogliata, un po’ come tutte le estati quando si è adolescenti.

Un po’ come qualsiasi cosa quando si è adolescenti.

Stavo passando il mio tempo facendo quello che mi riesce meglio, o perlomeno quello che mi riusciva meglio che non coinvolgesse un’accusa di atti osceni in luogo pubblico, assieme ad altri perdigiorno come me: stavo sudando sette camicie sul campetto da basket dell’oratorio per farmi notare dalle mie coetanee.

Dovete capire che all’epoca non è che ci fosse granché altro da fare, internet era una roba per pochi eletti e comunque non ci trovavi un cazzo (al massimo qualche cartella di foto porno), la tv era piacevolmente invadente come ora, ma di pomeriggio rischiavi di lanciarla giù dal balcone, alla trentesima replica del video di “Horny” di MousseT.
Tra l’altro…che fine avrà fatto MousseT.?

Certo, ci sono sempre i fumetti.

Amati, insostituibili fumetti, che mi raccontavano grandi storie di grandissimi eroi e mi facevano sognare per qualche ora di non dover avere a che fare, di lì a qualche settimana, con un altro anno di liceo e un altro anno di compiti in classe di matematica.

Ma estate significava anche vedersi la lettura rovinata dalle continue incursioni di una madre preoccupata che il suo figliolo non socializzasse a sufficienza, al grido di: “ma perché non raggiungi Alessandro,Stefano e gli altri al campetto?Ti rendi conto che sei sempre col naso affondato in quei giornalini?Esci un po’!“.

E allora via, bicicletta sotto al culo e Jordan ai piedi, pronto per entrare in quel meccanismo di maschi Alfa in pectore  sudati e starnazzanti con un pallone in mano e con l’unico obiettivo di farsi belli agli occhi delle ragazze che affollavano la linea di fondo del playground.

Chi se ne fregava del punteggio o delle regole, l’importante era mettere insieme qualche pagliacciata che facesse esclamare “Ooooooohh” alle fanciulle.

Ecco..io non ero particolarmente bravo con le pagliacciate.

Nemmeno col basket a dirla tutta, o con le ragazze.

Non ero bravo in niente, la desolante verità si faceva strada nella mia testa ogni rarissima volta che, in preda al testosterone, cercavo di portare a termine una qualsiasi azione spettacolare ma venivo inevitabilmente fermato da un avversario o dalla mia stessa inettitudine.

E le ragazze non facevano “Ooooohh” ma “Ahahahahahaha“.

Non un bel quadretto devo dire, ma un quadretto molto più comune di quanto si possa pensare, ad ogni latitudine oltretutto.

Ovunque nel mondo ci sono stati, ci sono e ci saranno altri come me: non brutti ma nemmeno bellissimi, non particolarmente dotati atleticamente o senza quella grinta innata che ti permette di far valere ciò che madre natura ti ha donato, magari anche molto intelligenti ma  sempre un gradino sotto il “genio” della classe.

Ero uno qualunque insomma.

E forse, nonostante ciò che vi racconterò da qui in avanti, lo sono ancora oggi.

Essere uno qualunque non voleva dire però avere delle passioni qualunque, o meno forti di quelle degli altri. Soprattutto quando si parlava di ragazze.

Claudia era una mia quasi-compaesana (abitava in una frazione del comune in provincia di Milano in cui vivevo all’epoca), giocava a basket nella sezione femminile della mia polisportiva e, ironia della sorte, era anche mia compagna di classe nel liceo cittadino.
Ma la cosa più importante di tutte era che Claudia era la ragazza più bella sulla quale avessi mai posato lo sguardo, e vi assicuro che di sguardi su ragazze ne avevo posati parecchi già allora.

Aveva solo 17 anni, come me, eppure sembrava già la più completa delle donne: alta più di 1.70, capelli castani lunghi e dagli inspiegabili riflessi color miele (o forse erano inspiegabili solo per me…non c’ho mai capito un cazzo di capelli), occhi verdi e carnagione olivastra, curve decisamente fuori standard per una quarta liceo.
Ma, ad essere sinceri, anche per un terzo anno di Università.

O un quarto.

Non aspettatevi nessun ricamo o storia strappalacrime sul rapporto fra me e Claudia, sarò onesto e brutale perchè così mi è stato insegnato: io a Claudia stavo profondamente ed inesorabilmente sui coglioni.

Non avevo mai fatto nulla di scortese nei suoi confronti, non ero mai stato inopportuno o palesemente e goffamente romantico, non ci avevo mai provato (ovviamente) e non l’avevo mai presa in giro come molti altri miei coetanei facevano con le ragazze di cui erano invaghiti.

Semplicemente ogni volta in cui le rivolgevo la parola sembrava che qualcuno le avesse infilato a tradimento un pezzettino di merda in bocca.

Pesante eh?

Non mi davo certo per vinto, sapevo che ci doveva essere una chiave di svolta in questa situazione deprimente…sapevo che prima o poi lei avrebbe cambiato idea, oppure si sarebbe decisa finalmente a dirmi cosa le avevo fatto di così orrendo da meritarmi il suo totale disprezzo.

Non mi davo per vinto nemmeno sul campo quel giorno, complice il fatto di non piacere praticamente a nessuno, di solito finiva che ero l’unico ad impegnarsi per vincere e non per fare il fenomeno cercando di schiacciare quando mediamente nessuno dei presenti riusciva anche solo a toccare il ferro.

Ero talmente impegnato e concentrato su quel ridicolo 3 vs. 3 da non notare nemmeno una delle stranezze che stavano accadendo a livello metereologico: caldo torrido che diventa freddo, vento che si alza all’improvviso per sparire subito dopo, Sole che improvvisamente si oscura trasformando le 3 del pomeriggio nelle 8 di sera.

Ero talmente impegnato da non fare caso nemmeno agli occhi terrorizzati di Claudia e delle altre ragazze mentre sembravano fissare un punto nel vuoto alle mie spalle, come se qualcosa di inesorabile e terrificante si stesse facendo strada fra le guglie della chiesetta e fra i palazzoni che circondavano il playground.

Non mi accorsi davvero di nulla, fino a che non arrivò la Nebbia.

continua

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