Il Ponte

Questo racconto è parte di una serie: Lucky Jay

 

Mi svegliai di soprassalto e provai una fitta di dolore improvvisa.

La mia fronte, appoggiata pesantemente sul volante in pelle dell’auto, rimase irritata e chiazzata di rosso quando alzai la testa di scatto.

Stancamente allungai il braccio verso lo sportello del cruscotto e iniziai a rovistare dentro quel groviglio di auricolari, documenti e cd.

Dopo qualche minuto e molte gocce di sudore versate riuscii a trovare una sigaretta tutta storta incastrata dentro la cover in plastica di un disco di BB King.
Inserii il disco nel lettore e accesi la sigaretta con l’accendisigari, poi rimasi per un po’ immerso nei miei pensieri fissando il fumo che si arrampicava lungo il finestrino.

Ore prima ero rimasto bloccato nel traffico su un maledettissimo ponte che divideva la parte nord della Città dalla parte sud e mi ero inspiegabilmente addormentato sul volante dell’auto.

Non ricordavo affatto il momento in cui avevo deciso di appoggiare la testa e chiudere gli occhi.

Mentre cercavo di capire quanto fosse ancora lungo l’ingorgo mi ricordai del sogno che avevo appena fatto: correvo disperatamente in mezzo alla strada scavalcando automobili e ammaccando cofani con il mio peso , ma non avevo idea del perché.

Una volta raggiunta la fine della strada, rappresentata da un muro nero, avevo visto in lontananza una donna con un vistoso vestitino giallo che correva spaventata. Scappava da me.

Dopo aver preso la pistola dal fodero e, senza avere idea di ciò che stessi facendo né del perché lo stessi facendo, avevo fatto un passo avanti per prendere meglio la mira.

Avevo sparato e colpito la donna in mezzo alla schiena, ma, prima che il suo corpo cadesse senza vita a terra, avevo visto con la coda dell’occhio un’auto che sfrecciava nella mia direzione.

Avevo provato a spostarmi, ma troppo lentamente.

L’ultima cosa che ricordavo era la mia testa che sbatteva contro il parabrezza.

Poi mi svegliai.

Finii frettolosamente la sigaretta e decisi di uscire dall’auto a prendere una boccata d’aria.

Faceva un caldo assurdo, alimentato dalle lamiere cocenti delle macchine che mi circondavano.

Riaprii lo sportello e posai il cappotto sul sedile del passeggero; se lo avessi tenuto un secondo di più sarei svenuto al sole.

Feci un giro in mezzo a quel labirinto d’acciaio guardando le facce incazzate degli altri pendolari. Sorrisi ad un camionista che guardava un film su un grosso televisore incastrato, non so come, sul cruscotto del suo veicolo.

Il gentiluomo rispose al mio sorriso con un’amabile dito medio e parole poco gentili.

Lo ignorai e continuai a vagare annoiato.

Non ricordavo neanche cosa avessi di così importante da fare di tanto da spingermi ad imbottigliarmi in un traffico simile.

Mi appoggiai sul parapetto del ponte, accesi un’altra sigaretta, che avevo trovato nel taschino della mia camicia, e mi diedi del coglione sottovoce.

Mentre osservavo lo skyline della città che tanto odiavo e tanto amavo allo stesso tempo, il mio telefono iniziò a squillare.

Lo estrassi distrattamente dalla tasca rischiando quasi di farlo cadere in mare e guardai dal display esterno chi mi stesse chiamando: era Sam Grant, l’uomo Multifase, come lo chiamavano i media.

Un anno prima lo avevo aiutato a salvarsi da un esercito di ‘se stessi’ provenienti da universi alternativi.

È una storia complicata.

“Hey Sam2, come te la passi? Ho sentito che ti sei (ri)sposato con la signora Grant” dissi, felice di ricevere una chiamata da un amico e non dall’ennesimo cliente rompi palle.

“Hum…Tutto bene detective?” rispose Sam2 titubante.

“È una domanda o un’affermazione, doc?” chiesi.

Ci fu un attimo di pausa “Me la passo esattamente come quando ci siamo visti mezzora fa.

Te lo sei dimenticato?” disse preoccupato.

“Come scusa? Mi sembra una vita che non ci vediamo” risposi pensando che quel mattacchione mi stesse prendendo in giro.

“Ma che stai dicendo Jay? Non dirmi che nel giro di trenta minuti sei riuscito a sbronzarti come al solito. Ci siamo visti poco fa a casa mia!” per un attimo andai nel panico pensando che Sam potesse perdere la calma e ripetere i tragici eventi dell’anno prima, poi ricordai di aver già risolto quella questione.

“Lasciamo perdere, devo aver dormito così profondamente da perdere la memoria. Cosa volevi dirmi?” chiesi mettendomi una mano tra i capelli.

“Hai trovato quello che ti ho detto di cercare su quel ponte?” chiese Sam.

“Ehm… cosa mi avevi detto di cercare?” chiesi sforzandomi di ricordare un dialogo che mi sembrava di aver fatto decenni prima.

“Come ti ho già detto…” disse Grant sottolineando fastidiosamente il suo ‘già’ “…questa mattina i miei strumenti hanno rilevato un’anomalia inspiegabile nella zona in cui ti trovi adesso. Sembra assurdo, ma potrebbe essere in qualche modo legata ai miei studi su portali dimensionali”.

“E quindi tu mi avresti mandato qui ad indagare?” chiesi confuso.

“Cristo santo Jay, indagare è il tuo lavoro, cosa ci trovi di tanto strano?” rispose Sam furibondo. In sottofondo sentivo la signora Grant intenta a dire dolci parole per far calmare il suo ‘nuovo’ marito.

“Va bene, va bene, ho capito. Ma rimane il fatto che non ricordi nulla della nostra ultima conversazione” dissi stanco.

Sam tacque per un attimo “Inizio a pensare che questa tua amnesia possa essere legata in qualche modo al fenomeno sul quale stai indagando”.

“Di bene in meglio!” dissi temendo di aver perso chissà quanti altri ricordi.

“Detective, se i dati registrati dai miei strumenti sono esatti, e sono quasi certo che li siano, su quel ponte sta succedendo qualcosa di incredibile e pericolosissimo” disse Sam2 preoccupato.

“Ad esempio?” chiesi afflitto. Non ne potevo più di finire immischiato in situazioni assurde e potenzialmente catastrofiche.

“Non ne ho la minima idea, ma per esperienza personale ti assicuro che quando centrano i viaggi dimensionali i guai sono assicurati. Quindi fai attenzione Jay”.

“Non posso darti torto, doc. Va bene mi metto subito all’opera, dopotutto
andare a caccia di guai è il mio secondo lavoro” dissi incamminandomi verso la mia auto.

“Sbrigati detective, la situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro” disse Sam.
“Non mettermi fretta, so come fare il mio lavoro. Ora scappo, finalmente questo cazzo di ingorgo si sta muovendo. Ti tengo aggiornato” fiaccai il telefono in tasca e corsi verso l’automobile.

Appena arrivai alla mia auto scoprii con tristezza che il traffico si era mosso di appena una decina di metri e mi resi conto che il simpatico camionista di poco prima aveva speronato la mia macchina con il suo camion pur di guadagnare un po’ di terreno.

Ricambiai il suo gesto di cortesia con un dito medio e ripresi il cappotto infilando un braccio nel finestrino.

Non mi era venuto improvvisamente freddo, ma il timore che qualcuno potesse fregare l’unica cosa di valore che tenessi nella mia vettura.
Iniziai a percorrere il ponte a piedi verso sud in cerca di qualcosa di interdimensionale o molto strano, fino a quando mi imbattei in una scena assurda.

Una donna urlava dal finestrino di una porche rossa, in direzione del parapetto alla sua sinistra.

Le sue urla erano così disperate che decisi di andare a parlarle per scoprire qualcosa di più.
Cacciarmi nei guai è sempre stato il mio talento migliore dopotutto.

“Signora, signora, si calmi. Lo so che è nervosa per questa situazione di merda, ma non c’è bisogno di urlare come un’aquila dal finestrino” le dissi in tono più pacato possibile.

La donna ignorò totalmente le mie parole, ma iniziò ad urlare rivolgendosi solo a me e non al vento: “Mio marito! La prego faccia qualcosa, qualcuno faccia qualcosa. Vi prego!” disse la donna disperata strattonandomi per il colletto del cappotto.

“Suo marito cosa?” chiesi confuso.

La donna iniziò ad indicare qualcosa alle mie spalle, provò a parlare, ma il panico le impedì di pronunciare più di qualche parola “E’ impazzito! Gli ho detto tutto! Ha dato di matto! Lo fermi la prego, QUALCUNO LO FERMI!”.

Mi voltai e vidi un uomo in piedi sul parapetto, con le braccia spalancate.

Scattai verso di lui liberandomi con violenza dalla salda presa della donna.

“Hey amico, ragiona un attimo prima di fare cose stupide” dissi tenendo le mani bene in vista e tenendomi ad una discreta distanza dall’uomo. Quando lavoravo in polizia mi avevano insegnato i fondamenti della comunicazione in casi simili, ma questa era la prima volta che li mettevo in pratica.

“Chi s-sei? Stai lontano da me! Dio, giuro che se fai un passo o provi a fermarmi ti tiro giù con me” disse l’uomo balbettando.

“Calmati, voglio solo parlarti, ti giuro che non farò nulla di avventato a patto che neanche tu faccia nulla di avventato” replicai con il cuore che batteva a mille.

Le persone nelle auto che ci circondavano ignoravano quello che stava accadendo o peggio riprendevano il tutto. Il solito mondo di merda, nulla di nuovo.

“Ti va di raccontarmi perché vorresti buttarti? Tua moglie non è stata molto chiara” chiesi.

L’uomo, sentendo le parole ‘Tua moglie’ sobbalzò e iniziò ad agitarsi infuriato.

“Quella troia” disse con disgusto “mi ha confessato di avermi tradito con il nostro giardiniere” la sua fronte grondava di sudore e il suo viso era rosso di rabbia “sulla mia auto!”.

‘Degno di una soap opera di serie C’ pensai tra me e me.

“Hey, immagino che questo possa farti arrabbiare, ma dai amico buttarsi da un ponte mi sembra un po’ esagerato” le mie parole parvero cogliere l’attenzione dell’uomo che si voltò verso di me rimanendo in piedi sul parapetto.

“La mia vita è una merda. I miei amici mi reputano un idiota e mia moglie anche a quanto pare. Come potrebbe andare peggio?” disse l’uomo visibilmente più calmo.

“Sono sicuro che si sbagliano, dalla faccia mi sembri un tipo sveglio”. Quasi mi scappò da ridere quando pronunciai quelle parole, non avevo mai visto un tizio con una faccia da coglione simile, ma quella menzogna mi aiutò a calmarlo.

“D-dici davvero?” chiese l’uomo visibilmente commosso.

Approfittai della sua distrazione per fare un furtivo passo in avanti.

“Senti, se scendi da lì ti offro una birra e ne parliamo un po'” dissi ricordando di non avere i soldi neanche per prendermela da solo una birra.

“E di cosa dovremmo parlare?” chiese l’uomo con voce traballante.

“Non saprei, delle occasioni della vita, di viaggi, di donne magari” non appena pronunciai la parola ‘donne’ l’uomo sbiancò e senza dire una parola si voltò verso il mare, dandomi le spalle.

Avevo commesso un errore, ma potevo ancora agire.

Balzai in avanti e afferrai l’uomo per in fianchi. Pensai di avercela fatta, di essere un eroe, ma mi resi ben presto che il suo peso sovrastava nettamente il mio.

L’uomo si spinse in avanti con tutta la sua forza, fino a liberasi dalla mia presa, e saltò.
In quel tremendo attimo rimasi così colpito dalla follia di quell’uomo che non mi resi conto di un dettaglio fondamentale: teneva ben saldo un lembo del mio cappotto.

Venni trascinato con forza giù con lui e sbattei la testa contro il parapetto.

L’ultima cosa che ricordo è il suono dei nostri corpi che si sfracellavano sulla superficie dell’acqua.

Mi svegliai nuovamente di soprassalto e nuovamente la mia fronte rimase dolorosamente chiazzata di rosso a causa del contatto prolungato col volante in pelle.

Accesi una sigaretta trovata nel cruscotto e inserii il disco di BB King nel lettore.

Rimasi per qualche minuto a fissare il vuoto mentre cercavo di dare un senso alla sensazione di deja  vu che mi attanagliava.

Ricordavo vagamente un uomo in piedi sul parapetto del ponte e ancora più vagamente una donna vestita di giallo che fuggiva da me.

Dopo aver sprecato fin troppo tempo cercando di dividere la realtà da quelli che pensavo fossero sogni, scesi dall’auto per prendere un po’ d’aria e schiarirmi le idee.

Raggiunsi il parapetto e mi accesi un’altra sigaretta, trovata nel taschino della camicia.
Poi il telefono squillò.

Non guardai neanche il display, in qualche modo sapevo chi mi stesse chiamando.
“Allora Jay, ci sono novità sulla missione?” non fui per niente stupito di sentire la voce di Sam e non mi stupì neanche il fatto che sapessi già cosa stesse per chiedermi.

“Parli dell’anomalia che dovrebbe essere su questo ponte?” chiesi.

“Esatto, ne abbiamo parlato mezzora fa, non ricordi?” chiese Sam2.

“Si si certo che me ne ricordo” mentii, non ricordavo affatto di averlo incontrato mezzora prima, ma per qualche motivo ricordavo vagamente una conversazione identica a quella.

“Allora, hai trovato qualcosa detective?” disse speranzoso Grant.

“Ancora nulla, doc, ma vedrai che scoprirò qualcosa in fretta. Ti tengo aggiornato” risposi allontanando lentamente il cellulare dall’orecchio.

“Mi raccomando Jay, fai attenzione. Parlo per esperienza personale e ti assicuro…” disse Sam.

“Sisi ho capito, i guai sono assicurati” lo interruppi prima di riagganciare bruscamente.

Ritornai lentamente verso la mia auto mentre la sensazione di deja vu si amplificava nella mia testa diventando terribilmente fastidiosa.

Quando arrivai alla mia macchina notai con scarso stupore che il camionista dietro di me l’aveva speronata per progredire nella fila. Lo sfanculai distrattamente e infilai un braccio nel finestrino per recuperare il mio cappotto.

Un brivido gelido mi avvolse quando lo indossai.

Non avevo idea del perché, ma il mio istinto mi stava urlando a squarciagola di lasciare il cappotto in macchina. Lo feci senza pensarci due volte: il mio istinto mi ha salvato la vita più volte di quante lo abbia fatto la mia pistola.

Percorsi il ponte strisciando i piedi: non avevo idea di cosa cercare, ma avevo la sensazione di star andando nella direzione giusta.

Per un breve attimo credetti di aver intravisto, nello specchietto di un auto ferma nel traffico, una donna che mi pedinava. Ignorai la cosa convinto di essere ancora influenzato dai miei stessi sogni.

Dopo pochi minuti di camminata sotto il sole cocente sentii una donna che urlava a squarcia gola dal finestrino di una Porche rossa.

Mi fermai di scatto e, assecondando il mio fastidioso senso di Dejà vu, mi voltai alla mia sinistra.

Un uomo con l’aspetto di un deficiente di prima categoria era in piedi sul parapetto e minacciava ad alta voce di volersi buttare.

Mi avvicinai con cautela a lui e dissi “Hey amico, ti va di parlarne?”.

“Stammi lontano o giuro che ti tiro giù con me” rispose l’uomo in preda al panico.

“Non ne dubito” risposi istintivamente sentendo una fitta al cuore.

“Nessuno può impedirmi di togliermi la vita, è l’unica cosa che posso fare” disse l’uomo voltandosi verso di me.

“Non voglio impedirtelo, voglio solo farti cambiare idea. Che ne diresti di scendere da li è venire con me a prendere una birra? Potremmo parlare delle occasioni della vita, di viaggi di d…” mi bloccai prima di finire la frase senza sapere esattamente il perchè.

“V-va bene amico. Forse parlarne con uno sconosciuto potrebbe aiutarmi. Dammi una mano a scendere per cortesia”. disse l’uomo che, come per magia, si era calmato.

Mi avvicinai a lui e feci la cosa migliore che potessi fare: lo tirai con forza giù dal parapetto e lo stesi con un pugno.

“Scusa amico, non ho tempo né soldi per bermi una birra e non vorrei mai che riprovassi a buttarti in mia assenza” dissi al suo corpo incosciente.

Mi allontanai con indifferenza, mentre decine di pendolari mi riprendevano da dentro le loro auto. Il solito mondo di merda.

Continuai la mia lunga marcia sul ponte soddisfatto di aver salvato una vita e contento di essermi finalmente liberato da quell’opprimente sensazione che mi accompagnava da quando mi ero svegliato. Tuttavia continuavo a sentirmi seguito.

Quando raggiunsi la metà del ponte trovai un gruppetto di gente seduta all’ombra di un cartello pubblicitario che discutevano e urlavano. Naturalmente andai a ficcanasare, amo mettermi in mezzo alla gente incazzata.

“Hey gente, che succede? Pomeriggio stressante per caso?” dissi con tono allegro.

“Pomeriggio di merda vorrai dire” ringhiò un pezzatissimo uomo tarchiato sulla quarantina.

“Suvvia, non esageriamo, immagino viviate tutti in questa città, no? Gli ingorghi stradali sono normale routine da queste parti” dissi, convinto che la loro rabbia non derivasse solo dal traffico.

“Alla sovrappopolazione siamo tutti abituati, signore” disse con aria di supponenza una signora “è della criminalità che siamo stufi”.

“Si spieghi meglio” dissi accendendomi una sigaretta.

“Io e mio marito, siamo stati rapinati!” sentenziò l’insopportabile donna indicando l’uomo alla sua destra.

“Anche io” disse l’uomo tarchiato.

“A me hanno spaccato il vetro della macchina e rubato la 24h!” aggiunse un uomo solitario seduto a pochi metri.
“Sapreste darmi una descrizione del rapinatore?” chiesi assumendo il mio ‘tono da indagini’.
“Perché vuole saperlo? E’ per caso un poliziotto?” chiese la donna squadrandomi malamente.

“Più o meno, sono un detective privato” risposi con fierezza.

“Non abbiamo intenzione di pagarla se è venuto per arraffare i nostri soldi” disse la signora.

“E io non vi ho chiesto di pagarmi. Oggi mi sento generoso. Allora, chi è stato a rubarvi la roba?” risposi secco in modo da zittire la stronza.

“Erano tre ragazzi grandi e grossi, bianchi di carnagione, ma che si comportavano come negri” esordì l’uomo tarchiato colmo di rabbia.

“Moderi i termini per favore” dissi guardandolo in cagnesco “in che senso si comportavano come neri?”.

“Più che da neri si comportavano da messicani: alternavano un normalissimo accento inglese ad una terribile pronuncia spagnola” disse il marito della donna

“Ci hanno fatti scendere dall’auto e hanno rubato la borsa a mia moglie. Hanno addirittura minacciato di abusare di lei” continuò con il tono di un lord inglese.

“Penso di aver capito chi sia stato. Avete visto in che direzione sono scappati?” dissi.

“Chi erano? Li conosci?” chiese l’uomo tarchiato.

“Non di persona, ma conosco la fama della loro gang, si fanno chiamare i Gringos”.

I Gringos erano un gruppo di ragazzini idioti, provenienti da ricche famiglie, che sognavano di essere cazzuti come i membri del cartello messicano, ma apparivano come un branco di teppistelli viziati con una grave crisi d’identità. Al mondo c’è gente assurda.

“Sono andati verso sud. Ho provato ad inseguirli, ma mi hanno seminato e sono spariti dietro un camion” disse l’uomo solitario.

“Va bene signori, ci penso io. Voi aspettatemi qui e non provate a cercarli. Sono degli idioti, ma spesso e volentieri gli idioti sono le persone più pericolose che si possano incontrare” conclusi voltando le spalle al gruppo di vittime e proseguendo il mio cammino lungo il ponte.

Sapevo, grazie ad una ricerca di Tracy, che i Gringos avevano appena comprato in comunità un camioncino per i traslochi, in modo da potersi muovere inosservati nelle zone residenziali.

Lo trovai nel giro di 5 minuti.

Aggirai il veicolo nascondendomi tra le auto e aprii lentamente il portellone sul retro.

Trovai tre ragazzi intenti ad esaminare la refurtiva.

Senza la minima esitazione balzai all’interno del camioncino e riempii di botte quei poppanti schivando facilmente pugni, calci e insulti in spagnolo.

Dopo averli legati come salami iniziai ad esaminare le cose che avevano rubato e, con grande tristezza, trovai pure il mio cappotto. Pensai erroneamente di essere stato un idiota ad averlo lasciato in macchina incustodito.

“Yo te mato hijo de puta!” ringhiò l’unico membro del terzetto rimasto cosciente dopo il pestaggio.

“Habla come mangi, cabron” dissi tirandogli un calcio e compiacendomi del mio magnifico accento spagnolo.

Quando abbassai la guardia, convinto di aver sconfitto quei ragazzacci, venni colpito violentemente da una sprangata alle spalle: uno dei ragazzi, che in realtà erano 4 e non 3 era appena tornato da una razzia e mi aveva colto sul fatto mentre insultavo i suo compares.

Caddi a terra come un sasso, ma riuscii a rialzarmi prima che il gringo liberasse i suoi amici.

Combattemmo per diversi minuti, ma, non appena iniziai ad avere la meglio, il ragazzo che mi aveva minacciato poco prima riuscì a liberarsi dalle corde con un coltello a scatto fisso che non esitò a piantarmi in una coscia.

“Te mato, TE MATO!” disse il ragazzo con gli occhi iniettati di sangue mentre io mi pentivo amaramente della mia disattenzione.

Provai in tutti i modi a scalciarlo via con la gamba sana, ma ben presto sentii la lama conficcarsi nel mio sterno.

Caddi al suolo pesantemente e vidi il mio sangue allargasi lentamente intorno a me.

Mi svegliai ancora una volta come se mi avessero tirato una secchiata d’acqua gelida addosso e ancora una volta il volante dell’auto martoriò la mia fronte.

Presi il disco di BB King, lo inserii, e accesi la sigaretta che trovai all’interno della cover.

Quella volta però fu diversa dalle altre: la sensazione di una lama che mi penetrava nel torace era troppo agghiacciante e dolorosa per essere catalogata come frutto di un semplice sogno.

Inizia a rendermi conto di essere finito in una situazione davvero strana.

Rimasi un po’ di tempo a fissare il fumo della sigaretta mentre cercavo di trovare un senso a quello che mi stesse succedendo.

Faceva, come le altre volte, un caldo atroce, ma le gocce che mi bagnavano la fronte erano gelide.

Avevo paura, devo ammetterlo.

Sobbalzai fino a sbattere la testa sul tettuccio dell’auto quando il mio telefono iniziò a squillare. Ormai sapevo benissimo che avrei ricevuto quella chiamata da Sam, ma averne la conferma mi terrorizzò.

“Come va con la tua missione, Jay?” chiese Sam2 due con lo stesso identico tono delle volte precedenti.

Persi la calma.

“Vaffanculo a te a questo cazzo di ponte!” sbottai.

“Detective, che ti prende? Non dirmi che nel giro di mezzora ti sei sbronzato come al solito?” chiese Grant offeso.

“Non ho bevuto un cazzo di niente Grant! E’ che mi hai mandato a crepare male in un fottutissimo inferno!” continuai ad urlare sbuffando fumo.

“Non capisco, hai trovato l’origine dell’anomalia?” chiese.

“Me ne sbatto dell’anomalia, voglio andarmene da questo posto di merda e sbronzarmi fino a quando non avrò dimenticato tutto!” dissi con tono secco prima di riattaccargli in faccia.

Decisi che a quel punto la cosa migliore da fare fosse ignorare il caso, quegli stronzi dei gringos, la donna col vestito giallo e anche il povero coglione cornuto.

Chiusi il finestrino e rimasi dentro la macchina per ore, seguendo il lento scorrere di quell’eterno ingorgo.

Intanto BB King cantava a rotazione l’unica canzone presente sul CD: Stand By me.

‘Tranquillo amico, non vado da nessuna parte’ pensai rivolgendomi allo stereo della macchina.

Sorpassai il suicida e lo vidi buttarsi di sotto, davanti agli occhi affascinati della folla.

Poco prima di raggiungere il cartellone pubblicitario, dove sostava il gruppetto di persone incazzate, uno dei Gringos fece capolino davanti alla mia auto e iniziò a sfregiare il cofano con un coltellino per farmi scendere.

Senza dare troppo peso a quello che stessi facendo, estrassi la pistola dalla fondina e gli sparai ad una spalla, frantumando il parabrezza.

“Hasta la vista, cabron” dissi dal finestrino mentre sorpassavo con la macchina il ragazzo dolorante.

Naturalmente nessuno reagì al suono dello sparo. Nella Città tutti erano abituati alle sparatorie in pieno giorno e si limitavano a sperare di non essere coinvolti.

Proseguii la mia lentissima fuga da quel posto folle per alcune ore fino a quando, finalmente, arrivai alla fine del ponte dove il traffico iniziava a diradarsi.

Sinceramente non fui molto stupido quando mi ritrovai di fronte ad un muro nero che sfarfallava debolmente. A quel punto ero convinto di essere finito proprio dentro all’anomalia che Sam2 mi aveva mandato a cercare.

Gli altri pendolari attraversavano il muro con le loro auto come se non esistesse. Non sapevo il perché, ma ero sicuro di essere l’unico a vederlo.

Fumai una decina di sigarette che trovai sparpagliate sul tappetino del passeggero prima di decidere il da farsi.

“Fanculo a tutto, preferisco crepare che rimanere un secondo di più su questo ponte” dissi al vento mentre davo gas all’auto.

Accelerai facendo fischiare le gomme e mi diressi a tutta velocità contro il muro.
Tenevo gli occhi chiusi per la paura.

L’automobile vi passò attraverso come se non esistesse.

Quando riaprii gli occhi, consapevole di essere ancora vivo e convinto di essere uscito da quell’incubo, l’orribile realtà dei fatti mi si schiantò in faccia come uno dei famosi ceffoni di Tracy.

Ero ancora su quel fottutissimo ponte, solo che il muro era alle mie spalle e io mi stavo dirigendo nella direzione opposta a quella di pochi attimi prima.

‘Mi sento come Alice oltre lo specchio’ pensai con cinico umorismo.

Ero troppo turbato dalla situazione per rendermi conto della scena che stava accadendo 50 metri davanti a me: un uomo con un cappotto vecchio stile spuntò da dietro un auto e si fermò in mezzo alla strada per sparare ad una donna vestita di giallo.

Non riuscii a frenare in tempo e travolsi l’uomo andando ai 100K/H.

Quando il corpo sfondò il parabrezza persi il controllo dell’auto e sbandai verso sinistra. Il muso dell’auto distrusse il parapetto del ponte e precipitai in mare.

Solo durante l’interminabile caduta mi resi conto che l’uomo che avevo appena investito ero io stesso.

Morii urlando terrorizzato.

Mi risvegliai per l’ennesima volta con la testa appoggiata sul volante, ma ebbi l’accortezza di staccarmi lentamente.

Presi la sigaretta dalla cover e lanciai il disco dal finestrino. Mi ero rotto le palle di ‘stare’ con BB King.

Guardai la mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore: ero una merda ambulante. Ero bianchissimo in viso e le occhiaie mi scavano due enormi fosse sulle guance.

Terminai la sigaretta in 6 minuti netti e mi appoggiai il telefono all’orecchio prima ancora che squillasse. Inutile dire chi mi stesse per chiamare.

“Come va con la tua….” tentò di chiedere Grant.

“Zitto e rispondi alle mie domande, doc” lo interruppi bruscamente.

“Uhm, ok. Dimmi pure detective” rispose Sam2 confuso.

“È scientificamente possibile che gli stessi eventi continuino a ripetersi all’infinito, ma io sia l’unico ad accorgermene?” chiesi senza prendere fiato. Quella domanda mi uscì spontaneamente.

“Mmm, è una strana domanda, detective. Credo che tu ti stia riferendo a quello che viene definito un loop temporale. Non ci sono casi documentati, ma a livello ipotetico è possibile” rispose in tono saccente.

“Beh, come faccio ad uscirne?” chiesi con impazienza.

“Sinceramente detective dubito che tu sia finito in una situazione simile, i miei strumenti lo avrebbero rilevato al 100%” rispose “Non è che ti sei sbronzato nel giro di mezzora come al solito?”.

“Non sei simpatico, Sam. Va bene non credermi, ma se ipoteticamente fosse come dico io, come farei ad uscirne?” chiesi iniziando a dubitare dell’utilità del mio amico.

“Secondo alcune teorie, che io non condivido, per interrompere un loop bisogna fare in modo che tutto quello che deve accadere in esso accada. Tuttavia questa libera interpretazione della legge di Murphy è piuttosto difficile da applicare. Nessuno può sapere esattamente cosa debba o non debba accadere” spiegò chiaramente l’uomo multifase.

“Ti devo una birra, doc. Grazie di cuore” conclusi qualche istante prima di riattaccare e scendere dalla macchina in fretta e furia.

Finalmente sapevo cosa fare.

Raggiunsi la Porche rossa prima ancora che l’uomo con la faccia da idiota salisse in piedi sul parapetto. Lo placcai senza smettere di correre e lo misi KO con un pugno al mento.

“Scusa amico, è per il bene di entrambi” dissi al suo corpo privo di sensi riprendendo la mia corsa.

Raggiunsi in tempo record il gruppo di persone incazzate e mi fermai con il fiatone.

“Signori, ho intenzione di recuperare le vostre cose. Voi rimanete buoni qui e non fate cose stupide” dissi frettolosamente.

Mentre correvo verso il camioncino dei Gringos sentii la signora supponente chiedere “E tu chi saresti?” alle mie spalle.

“Un poliziotto, signora. Un poliziotto” urlai senza rallentare il ritmo della corsa.

Arrivai al camioncino e feci irruzione al suo interno senza esitazione. Ancora una volta sconfissi e immobilizzai con facilità i tre ragazzi che cercarono di colpirmi con le stesse identiche mosse della volta precedente.

“Te mato hijo de puta” disse quello che era rimasto cosciente.

Raccolsi la refurtiva in una sacca e stesi il teppista con un calcio in faccia.

Per fortuna mi ricordai di perquisirlo e di togliergli il coltello a serramanico dalla tasca.

Attesi nascosto dietro una macchina il quarto membro della gang e lo misi fuori gioco con la stessa spranga con cui mi aveva atterrato la volta prima. Poi tornai dai tizi incazzati sotto al cartellone pubblicitario.

“Mio eroe” disse la donna antipatica strappandomi con violenza la sua borsa dalle mani.

“Il mio cellulare! Grazie agente, lo avevo pagato una fortuna!” disse l’uomo tarchiato scattandosi immediatamente una foto al mio fianco.

“Quella è la mia 24h?” chiese l’uomo solitario avvicinandosi a me con le lacrime agli occhi.

“Certo” dissi porgendogliela “per curiosità, posso sapere cosa ti avessero rubato di tanto importante i Gringos?” aggiunsi.

“Con estremo piacere” rispose l’uomo il cui sorriso si era allargato a tal punto da far sparire le lacrime che bagnavano il suo viso.

Aprì la valigetta come farebbe un sacerdote con un antico tomo del sapere e passò i successivi dieci minuti a mostrarmi, con grande orgoglio, la sua collezione di farfalle imbalsamate.

Ancora oggi sento il bisogno di scolarmi un intero fusto di birra quando ripenso di aver rischiato la mia vita per recuperare una collezione di insetti secchi.

Dopo aver congedato quella strano gruppetto ripresi il mio pellegrinaggio lungo il ponte, in cerca di altre cose che ‘dovessero accadere’. Non trovai nulla per quaranta minuti abbondanti, fino a quando non intravidi una ragazza che mi seguiva nascondendosi tra una macchina e l’altra. Aveva un vestito giallo.

Improvvisamente ricordai il primo dei miei sogni e feci ciò che il mio istinto mi suggeriva: iniziai a rincorrerla.

La ragazza si destreggiava leggiadra tra una carrozzeria e l’altra mente io scavalcavo goffamente i cofani della auto ammaccandoli col mio peso.

La inseguii fino al muro nero, poi lei prese terreno e attraverso la strada.

Estrassi la pistola dalla fondina senza pensare e feci un passo avanti per prendere la mira.

Poi ricordai.

Qualche istante prima di premere il grilletto lasciai cadere la mia revolver a terra e feci un balzo indietro, schivando per un millesimo di secondo l’ auto che sfrecciava nella mia direzione.

‘Che culo’ pensai.

Sentendo il suono dell’arma che cadeva a terra la ragazza smise di correre e si voltò lentamente verso di me.

“Finalmente!” disse mostrando un sorriso stupendo.
Rimasi un attimo interdetto: non avevo più idea di cosa fare.

“Chi sei?” chiesi timidamente.

“Vanessa” urlò la ragazza iniziando ad avvicinarsi a me.

“Non intendevo il tuo nome, intendevo COSA sei. Immagino che sia tu la responsabile di quello” dissi indicando il surreale muro nero che si stagliava alla mia destra.

“Interessante” sussurrò la ragazza vestita di giallo squadrandomi curiosa. Pareva stupita quando me dal fatto che io potessi vederlo.

“Amo definirmi una Viaggiatrice. Cavalco l’onda delle dimensioni e del tempo grazie alla scienza” continuò con lo stesso tono di una che pronuncia uno slogan.

“Come scusa?” chiesi a bocca spalancata.

“È piuttosto complicato da spiegare, non penso che capiresti” disse.

“Tu provaci. Ho già avuto esperienze con roba interdimensionale. Penso di essere la persona più ferrata sull’argomento che tu possa trovare su questo ponte” dissi.

“Davvero hai auto esperienze simili, ma come è possibile?” chiese sempre più interessata la ragazza.

“Tempo fa ho indagato su un tizio, un certo Sam, una sorta di scienziato pazzo. E’ lui che mi ha mandato qui a vedere cosa stesse succedendo”.

La ragazza spalancò gli occhi “Sam Grant?” chiese con voce tremante.

“Esatto, lo conosci?” chiesi.

“Io e te abbiamo molto di cui parlare, vieni, sediamoci là” disse la ragazza indicando il parapetto del ponte. Era diventata improvvisamente seria.

Le raccontai l’intera storia dell’uomo multifase e di come i suoi strumenti avessero captato un’anomalia su quel ponte e lei rimase ad ascoltarmi affascinata per tutto il tempo.

“Adesso puoi dirmi come conosci Sam?” chiesi quando ebbi finito.

La ragazza col vestito giallo continuò a fissarmi mentre un sorriso nasceva sulle sue labbra e lacrime di gioia le bagnavano le guance.

“È mio padre. Ed è vivo! Grazie, grazie infinite di averlo aiutato” rispose scoppiando in lacrime e abbracciandomi.

Rimasi così stupito che decisi di tacere e lasciarla parlare.

“Anni fa è sparito nel nulla. Io ero convinta che centrasse con i suoi esperimenti così cominciai a perfezionare la SquarciaVeli, la sua invenzione, per andarlo a cercare” disse Vanessa.

“Strano che non mi abbia mai parlato di te” dissi con una vena sospettosa.

“Non mi stupisce molto. In questa dimensione io non esisto, non sono mai nata. Per questo immagino che papà si sia totalmente dimenticato di me non appena è stato catapultato qui” rispose triste la viaggiatrice.

“Ha senso. Cambiamo argomento, parlami di quella roba che usi per viaggiare, la Taglia cose” chiesi.

“La SquarciaVeli. Sono riuscita a renderla un dispositivo portatile in grado di farmi viaggiare attraverso il tempo, lo spazio e gli universi e capace di proteggermi dagli imprevisti”.

“Imprevisti, che genere di imprevisti?” la interruppi dubbioso su quale fosse la domanda migliore da fare durante un discorso simile.

“imprevisti tipo un uomo che, appena arrivata in una nuova e sconosciuta dimensione, decide di braccarmi e piantarmi un proiettile nella schiena” disse Vanessa Grant guardandomi con falso rancore.

“Perdonami. E’ che Sam mi ha detto di ‘eliminare la minaccia’ e io l’ho preso alla lettera.

Capisco che tu non sembri molto pericolosa a prima vista, ma anche Sam3 sembrava abbastanza innocuo prima di mettersi a spararmi con una doppietta” dissi strappandole un sorriso.

“Non posso darti torto” esclamò con la sua voce squillante.

“Quindi tutta questa situazione assurda è stata opera del tuo ‘sistema anti imprevisti’?” chiesi.

“Esatto geniaccio. Quando i miei segnali vitali scendono sotto i livelli critici, la SquarciaVeli da inizio ad un loop spaziotemporale che si ripete all’infinito finchè al suo interno non si verificano determinate condizioni”.

“Ovvero?” chiesi rendendomi conto di non avere idea di come avessi fatto ad un uscirne.

“Quando nessuno all’interno dell’aria circoscritta muore. Ho deciso io di impostarlo cosi, mi sembrava la scelta più onesta” disse Vanessa guardando allegra le persone presenti sul ponte. “Ora ho io una domanda per te” continuò la Viaggiatrice.

“Chiedi pure” dissi accendendomi una sigaretta.

“Tu chi cavolo sei? Nessuna persona comune dovrebbe vedere quel muro, né tanto meno ricordarsi dei vari cicli del loop” chiese.

“Hey ragazzina, dai dell’uomo comune a qualcun altro” dissi lasciando penzolare la sigaretta tra le labbra “Il mio nome è Jay, detctive Jay” aggiunsi cercando di apparire più carismatico possibile.

E a quanto pare ci riuscii.

Vanessa si alzò di scatto e iniziò a saltellare qua e là in preda all’emozione.

“Tu sei Jay? Quel Jay? Lucky Jay??” disse con lo stesso tono di una teenager che incontra una rockstar.

“Lucky Jay… mi piace!” dissi sottovoce.

“Tu sei praticamente una leggenda in ogni piano dell’universo! Sei quello che ha fermato la

Macchina, che ha sconfitto Uruboro, l’unico ad aver visto di persona il Sarto, il distruttore di…”.

“Hey hey hey, rallenta bella” dissi interrompendola “confermo la storia della Macchina, ma non ho mai sentito parlare di nessun Buroburo, né tanto meno di un Sarto” continuai.

“Ops perdonami, Spoiler. Sai, essere una Viaggiatrice ti incasina il cervello ogni tanto.
In ogni caso è stato un vero onore conoscerti Jay, ma adesso devo proprio scappare” disse

Vanessa armeggiando con uno strano apparecchio che aveva al polso.

“Dove?” chiesi quasi deluso da quel congedo improvviso.

“Ho della roba da fare nella dimensione 76, magari un giorno ti ci porto, è un posto fantastico!” disse entusiasta la ragazza senza staccare gli occhi dall’apparecchio.

“Grazie ancora per aver salvato mio padre, ti direi di salutarmelo, ma raccontargli di questo incontro potrebbe creare gravi ripercussioni sul futuro. Mi basta sapere che stia bene”.

“Aspetta!” urlai ricordandomi di non averle posto la domanda più importante “Come faccio ad uscire da questo loop?”.

“Ah, tranquillo, il Wormhole si chiuderà non appena me ne andrò” disse Vanessa indicando distrattamente il muro nero.

“Wow, quindi sono passato attraverso un Wormhole con un’automobile? Non vedo l’ora di raccontarlo a tutti al bar” dissi scherzando, ma non troppo.

“Pff, dilettante. Io sto per attraversarne uno a piedi con indosso solo un vestitino giallo e degli stivaletti” disse Vanessa Grant facendomi l’occhiolino.

“Alla prossima, Lucky Jay!”.

“Alla prossima, Viaggiatrice”.

Un muro nero apparve alle spalle della ragazza che vi si buttò lasciandosi cadere all’indietro.

Mi piaceva quella ragazza portentosa e sono sicuro che Sam2 sarebbe stato fiero di averla come figlia, se se ne fosse ricordato.

 

 

Questo racconto è parte di una serie: Lucky Jay
  1. L’uomo Multi-Fase
  2. Ghost in the Machine
  3. Il Ponte
  4. L’impero di Uroboro Parte 1
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