Captain Fantastic e il ruolo della famiglia nel cinema

Famiglia

Dopo aver conquistato il pubblico della XI Festa del Cinema di Roma, il Captain Fantastic di Matt Ross è pronto ad arrivare in sala e parlare della non semplicissima tematica di genitori e figli, famiglie ordinarie e famiglie straordinarie.

La tematica della famiglia al cinema non è mai semplice. Matt Ross con il suo nuovissimo Captain Fantastic, con protagonista Viggo Mortensen, porta sullo schermo una famiglia anticonvenzionale la quale ripudia tutti i vizi e i mezzi della società moderna.

Quella di Captain Fantastic è una famiglia dal legame strettissimo, quasi morboso, e che cresce al di fuori delle contaminazione moderne, ma che si ritrova costretta ad affrontare lo specchio del reale.

Il personaggio Mortensen, un padre costretto a tirar su sei figli da solo nel mezzo di una foresta, affronta un lungo viaggio con i suoi figli, al fine del quale si renderà conto di non aver mai lasciato la possibilità di scelta. Un uomo che si è da sempre battuto per il libero arbitrio, per la scelta di non essere come gli altri, ma che alla fine della giostra si è ritrovato nelle vesti di un “padre padrone” intollerante verso il cambiamento, la diversità, la possibilità di decidere dei suoi stessi figli.

Un confronto generazionale che, ormai, all’interno del cinema, sta prendendo sempre più piede. E negli ultimi anni abbiamo avuto dei grandissimi esempi di questo tipo di cinema, iniziando con le prime pellicole sulle gravidanze adolescenziali, sul rapporto con genitori mai conosciuti o troppo diversi da noi.

 

Famiglia

 

Figli e genitori. Generazioni a confronto. Responsabilità di ieri con le responsabilità di oggi. Super genitori tutto fare e figli troppo giovani per poter affrontare immediatamente l’onere di crescere un bambino.

 

Le tematiche sono, in effetti, contaminate da vari stimoli. Il ruolo della famiglia cambia in base al punto di vista, al periodo storico e al tipo di storia che abbiamo intenzione di raccontare.

Esistono famiglie ordinarie, così come quelle straordinarie. Famiglie con genitori dello stesso sesso, con un solo genitore o famiglie non di sangue, fatte dallo spirito di unione e condivisione. La famiglia perfetta non esiste e il cinema ha sempre saputo definire le diversità del ruolo di ogni membro della famiglia.

La famiglia non si sceglie, ma si accetta, assimilandola piano piano

La famiglia non si sceglie, ma si accetta, assimilandola piano piano, sia nei suoi pregi che nei suoi difetti. A volte si è vittime, altre volte complici, tutto sta nel definire chi siamo noi realmente, al di fuori di essa.

Proviamo, quindi, ad inquadrare dieci titoli che, negli ultimi anni, cercano di portare alla luce i diversi tipi di famiglia e rapporto genitori figli.

 

 

 

 

 

Sirene (1990)

di Richard Benjamin

 

https://www.youtube.com/watch?v=gQ6u5IQDde4

 

Apriamo questa classifica con un film sicuramente non di primo pelo, ma che ben ci introduce nel discorso di genitori super e di famiglia fuori dall’ordinario.

Sirene è una commedia drammatica con protagonista Cher, interprete di Rachel Flax, una mamma single alla continua ricerca del vero amore, sempre in balia della proprio natura irrequieta e libertina.

A subire un po’ i tira a e molla di Rachel ci sono le figlie Charlotte (Winona Ryder) e  Kate (Christina Ricci), le quali sperano che, una volta per tutte, la mamma possa trovare la stabilità tanto agognata.

Rachel si rende conto di quanto quella situazione pesi sulle figlie, eppure affrontare la realtà per lei è troppo complesso, e cerca in tutti i modi di rendere ogni situazione drammatica un gioco nel quale perdersi assieme a Charlotte e Kate.

 

 

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Sirene è una commedia molto pulita e semplice, che trasporta lo spettatore nella tematica più importante e universale che ci sia: essere genitori ed essere figli. Charlotte e Kate finiscono col diventare un po’ le mamme della loro Rachel, la quale nasconde le sue fragilità di donna e madre negli abiti succinti ed atteggiamenti stravaganti.  Un’interpretazione che domina totalmente lo schermo, senza però coprire del tutto il fulcro principale del film.

Briosa e brillante, Sirene è un primo classico del genere che apre la strada a pellicole che spesso capovolgeranno le figure dei genitori e figli.

 

 

 

Pleasantville (1998)

di Gary Ross

 

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Pleasantville è la perfetta rappresentazione del confronto tra stereotipo americano della famiglia mulino bianco e le vere tipologie di famiglie che formano le società.

A sperimentare questo tipo di confronto sono i gemelli David (Tobey Maguire) e Jennifer (Reese Whiterspoon) Wagner che vivono con la madre divorziata in una città californiana degli anni novanta. Mentre David è timido e riservato, Jennifer è una vera libertina dalla vita sociale, e sessuale, molto aperta.

L’unico vero svago di David è la visione della sua serie preferita Pleasantville, una sitcom degli anni cinquanta dove la perfezione domina assoluta. Dopo che David e Jennifer rompono il telecomando della loro tv, alla porta si presenta un tecnico che da loro un telecomando nuovo di sostituzione.

 

 

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Non appena i due lo usano vengono catapultati nel mondo anni cinquanta di Pleasantville, dove la vita dei ragazzi cambia drasticamente. Ma per quanto inizialmente l’equilibrio e la perfezione sembrino andare bene sia a David che Jennifer, i due ragazzi inizieranno a portare i primi sconvolgimenti nella storyline della serie. E per ogni regola infranta, un nuovo colore prenderà vita sullo schermo.

Pleasantville è la metafora della famiglia di ieri con quella di oggi, della società del passato con quella del futuro, analizzando tutti i suoi pregi e difetti, mettendo ancora di più in evidenzia quanto non sia davvero possibile aspirare a un modello di perfezione.

Un film che aiuta a comprendere l’importanza dei legami ma, soprattutto, a non disprezzare, e a capire, la famiglia che già abbiamo.

 

 

 

About A Boy (2002)

di Chris e Paul Weitz

 

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Tratto dall’omonimo best seller di Nick Horby, About A Boy non è proprio una storia ordinaria tra genitori e figli, ma più che altro una storia tra potenziali genitori e potenziali figli.

La disperata ricerca di una figura paterna, di un nucleo familiare ma anche di accettazione. Tematiche forti che si ripercorrono all’interno del film con tono leggero e brioso. Il rapporto tra Will (Hugh Grant) e Marcus (Nicholas Hoult) diventa la chiave di volta per l’interpretazione di qualsiasi rapporto tra un potenziale genitore e suo figlio.

 

 

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La vita scialba e piatta di Will, privo di veri obiettivi e aspirazioni, cambia radicalmente quando entra in contatto con Marcus. Insieme percorrono un percorso di crescita e accettazione di sé stessi. Quello che i due vanno a costruire va ben oltre il semplice significato della parola famiglia. Entrambi danno una possibilità, l’uno all’altro, di riscatto nei confronti di ciò che hanno affrontato precedentemente.

 

 

 

Transamerica (2005)

di Duncan Tucker

 

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Diretto da Duncan Tucker e interpretato da Felicity Huffman con Kevin Zegers, Transamerica non è solo la storia di accettazione di se stessi. Transamerica è una storia di ricerca e di bisogni. La ricerca di se stessi, la ricerca della propria famiglia e del proprio posto nel mondo.

Quando Bree sembra finalmente essere pronta ad affrontare la tanto temuta operazione di transizione, ecco arrivare alla sua porta un ragazzo che si dichiara essere suo figlio, frutto della sua unica notte d’amore con una donna quando ancora era Stanley.

Per quanto Bree non voglia aprire quella porta, sarà costretta ad affrontare faccia a faccia questa realtà e provare a creare un rapporto con suo figlio, un ragazzo tutt’altro che facilmente gestibile, dal passato piuttosto turbolento.

 

 

Famiglia

 

 

Transamerica è la costruzione di un rapporto molto sui generis. Il rapporto padre-figlio in un contesto del tutto eccezionale. Una pellicola basata sulle scelte, sul coraggio e sul bisogno di andare incontro al proprio destino. Strade che si divino ma che poi si ritrovano. La difficoltà di essere genitori ma anche di essere figli. Il bisogno sbagliare con la propria testa per poi ammetter il proprio errore, così come il dovere di far sbagliare i propri figli perché consapevoli di non poterli proteggere per sempre.

Una pellicola estremamente sensibile e audace. Una vera piccola perla.

 

Juno (2007)

di Jason Reitman

 

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Diventato ormai uno dei must see di Jason Reitman, oltre a essere stato trampolino di lancio per Ellen Page, Juno è una di quelle pellicole entrate nell’immaginario di quando si parla di gravidanza prematura.

Su quelli che sono i primi amori adolescenziali, la scoperta del corpo e il sesso frettoloso, Juno si sviluppa attorno alla sua protagonista che rimane incinta prematuramente. Decisa più che mai a tenere il bambino, convinta di dovergli comunque dare una possibilità, Juno si mette alla ricerca della famiglia perfetta per suo figlio.

Una storia dai toni pastello, divenuta un culto tra gli adolescenti del periodo, che affronta una tematica per nulla semplice, soprattutto dandone una visione diversa dal solito. Una scelta difficile, vista dagli occhi di una ragazza perennemente in bilico tra indifferenza e fragilità.

 

 

Famiglia

 

 

Nonostante i giudizi degli altri, gli sguardi malevoli, Juno è sempre più convinta della sua scelta, ma si rende anche conto di aver attraversato la “più semplice” fase dell’ingenuità e dall’adolescenza, trovandosi faccia a faccia con la dura realtà dell’età adulta e con tutte quelle responsabilità che non si sente pronta a dover affrontare.

Nel caso di Juno la famiglia attraversa molteplici aspetti, passando dalla relazione troppo acerba tra Juno e Paulie (Michael Cera) arrivando a quella di Vanessa (Jennifer Garner) e Mark (Jason Bateman) sull’orlo della fine, passando per quella di Juno stessa.

Uno dei primi film a inquadrare in modo molto diverso la famiglia e le relazioni, ma anche le responsabilità e il crescere troppo in fretta.

 

 

 

American Life (2009)

di Sam Mendes

 

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Prima prova come sceneggiatori per l’ormai consolidata coppia Dave Eggers-Vandela Vida, American Life è il tenerissimo viaggio di una coppia di giovanissimi genitori.

Sorpresi da una gravidanza inaspettata, Burt e Verona decidono di intraprendere un viaggio lungo tutto gli Stati Uniti alla ricerca del posto perfetto per far crescere la propria famiglia. Una viaggio all’insegna della scoperta, delle proprie fragilità, aspettative e paure. Un iter che si divide in atti e che porta la coppia ad affrontare non pochi ostacoli, facendo per la prima volta i conti con il vero peso della vita di coppia, con le responsabilità che comporta il divenire una famiglia e su quanta sia la voglia di realizzare tutto questo.

 

 

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Burt e Verona non si apprestano solo a compiere un viaggio alla ricerca della casa e del luogo perfetto, ma fanno una vera immersione all’interno della vita stessa. Un film estremamente universale, che indaga sulle paure più ingenue del diventare genitori.

La riscoperta della coppia, dell’innamoramento ma anche del sé inteso come singolo. Un film veramente delizioso, che porta Mendes nuovamente nel mondo delle emozioni più profonde e intime, senza bisogno di troppe parole o situazioni struggenti, ma che sa far riflettere e, al tempo stesso, divertire ingenuamente.

 

 

 

I ragazzi stanno bene (2010)

di Lisa Cholodenko

 

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In questo carosello di relazioni, giovani genitori, prime responsabilità e rapporto con i figli, arriva un altro film dalla famiglia allargata e non ordinaria. I Ragazzi Stanno Bene è una dramedy americana con protagonisti Julianne Moore, Annette Bening e Mark Ruffalo.

Jules e Nic sono una coppia lesbo, madri di un ragazzo e una ragazza concepiti con inseminazione artificiale.  Quando Joni  (Mia Wasikowska) compie diciotto anni, decide di mettersi sulle tracce del padre biologico e facendo, quindi, la conoscenza di Paul, un ristoratore di quarant’anni con la sfrenata passione per le donne.

L’arrivo di Paul in famiglia pone Jules e Nic in una situazione non propriamente facile, inizialmente non concordi con l’iniziativa presa da Joni, e spaventate che l’uomo possa turbare l’equilibrio di una vita.

 

 

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I Ragazzi Stanno Bene investiga sia sulle relazioni genitori- figli e il tipo di rapporto che si va a creare non solo in un nucleo composto da due madri o due padri, ma anche nell’introduzione di un nuovo membro all’interno della famiglia stessa.

Una “famiglia allargata” ma che sa supportarsi in qualsiasi momento della propria esistenza, sapendosi accettare sia nei momenti positivi che in quelli negativi. Un nucleo fuori dal comune, ma che in realtà fa riflettere proprio sull’inutilità di usare aggettivi come “comune” o “normale”.

 

 

 

The Tree of Life (2011)

di Terrence Malick

 

C’è chi lo ama e chi lo odia, chi lo interpreta e chi non lo capisce e, ancora, finge di averlo capito, comunque sia Malick resta un regista capace di far sempre parlare di sé, nel bene e nel male, e The Tree of Life ne è sicuramente un esempio.

 

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Ritorna nuovamente il rapporto genitori-figli e le incomprensioni inevitabile nel periodo dell’adolescenza e della crescita. Il tormento più grande di ogni genitore è quando arriva la fatidica domanda del “dove ho sbagliato”, quando si ritrova di fronte a un muro di mattoni chiamato “figlio”.

Gli O’Brien sono una famiglia degli anni cinquanta fortemente cristiana. Il Signor O’Brien (Brad Pitt)  è un uomo rigoroso, il classico padre padrone dalla mentalità ristretta e mano pesante. Jack (Sean Penn) inizia fin da subito a disprezza il padre, il quale rappresenta per lui la parte della Natura più feroce e crudele. Differente, invece, è il discorso per la Signora O’Brien (Jessica Chastain), una donna rappresentata da Jack come la Grazia, portatrice dell’obbedienza e del sacrificio, che ha da sempre insegnato ai figli il valore dell’amore e dei sentimenti.

Quando Jack è finalmente più grande si distacca del tutto dalla sua famiglia, conducendo un’esistenza al di fuori dalla grazia di Dio proclamata dal padre, fino ad arrivare a essere un adulto perso in quella giungla chiamata mondo.

 

 

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The Tree of Life è sicuramente la visione più filosofica che possiamo avere della famiglia all’interno del cinema, la quale viene identificata da Malick come il micro mondo dell’esistenza stessa.

Il film mette in evidenza la profonda differenza tra genitori e figli. Gli sbagli che puntualmente vengono fatti nell’essere troppo morbosi ed ossessivi, rischiando di perdere per sempre quel legame di sangue che, tecnicamente, dovrebbe essere indissolubile.

Una riflessione profonda sull’esistenza stessa, sul tipo di famiglia più patriarcale e sulle conseguenze di un’esistenza definita da quel tipo di nucleo. Un viaggio metaforico, alla scoperta di un simbolismo inserito all’interno dell’essenza delle cose e che permette al protagonista di entrare in armonia non solo con sé stesso ma anche con la famiglia.

 

 

 

Wish I was here (2014)

di Zach Braff

 

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Conosciuto da tutti come lo svampito dottore di Scrubs, J.D., Zach Braff non è semplicemente un attore comico, ma anche un regista e sceneggiatore dalla profonda sensibilità.

Dopo aver diretto sette episodi della fortuna serie, debutta nel 2004 al cinema con il suo primo film Garden State, mostrando la sua profonda sensibilità nell’affrontare la difficoltà dei rapporti umani. Dieci anni più tardi, Braff torna al cinema con una nuova pellicola scritta, diretta, prodotta e interpretata da lui: Wish I Was Here.

In questo film è interessante il tipo di lavoro che viene affrontato su un figlio che sta per perdere il padre e come tutto questo si riflette, in automatico, sul rapporto che egli stesso ha con i propri figli.

 

 

 

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Nuovamente Braff  torna al cinema analizzando tematiche personali e che si basano soprattutto sul lutto, la perdita di un genitore e il legame conflittuale con la figura paterna. L’importanza che un genitore può aver per noi compresa solo quando ormai è troppo tardi.

Wish I Was Here è una storia semplice, ma non facile. Una storia in continuo bilico tra la risata e il pianto, esattamente come è la vita stessa. Una storia all’interno della quale qualsiasi spettatore potrebbe riconoscersi, e che arriva dritta dritta nel profondo della propria anima.

Alla fine della giostra la pellicola cerca di far emergere una lezione per nulla facile, facendoci ricodare l’importanza di condividere le proprie emozioni con qualcuno, di essere presenti nella vita degli altri e di circondarci di quei legami importanti che ci permettono di andare avanti, giorno dopo giorno, e affrontare a testa alta qualsiasi sfida la vita ci voglia proporre.

 

 

 

Mommy (2014)

di Xavier Dolan

 

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La tematica della madre, dei rapporti morbosi e ossessivi, sono una costante nel cinema di Dolan. Mommy scivola nuovamente tra le nubi e le ombre del giovane cineasta, andando incontro a una pellicola che affonda le mani nelle viscere dei rapporti umani, delle relazioni madre e figlio.

Una pellicola dal fortissimo impatto emotivo e dalla recitazione sopra le righe. Una storia d’amore e sofferenza, di famiglia ma anche di egoismo e ipocrisia. Mommy, premiato con il Premio della Giuria al 67esimo Festival di Cannes, è la massima espressione, per ora, del cinema di questo giovane e magnifico cineasta.

Diane, infatti, è una donna incapace di gestire la sua vita da single. Dal look aggressivo e parolaccia facile, Diane è il pessimo esempio di stabilità per un ragazzo problematico come Steve.

Steve esce ed entra dagli istituti correttivi come se stesse andando al supermercato. Un ragazzo iperattivo ma nel suo fondo dolcissimo, ma che non riesce a controllare la rabbia che ha dentro, soprattutto nei momenti di estremo stress.

 

 

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Il rapporto madre-figlio è al centro di tutto. Un rapporto ipocrita e morboso. Due esseri che non possono fare l’uno a meno dell’altra ma che, al tempo stesso, non possono stare vicini. Diana con il suo terrore di essere madre, Steve con la sua incapacità di contenere il maremoto di emozioni che ha dentro.

In Mommy la famiglia diventa qualcosa di effimero. Un sogno irragiungibile che sfiora, per più di una volta, l’anima dei due protagonisti, ma come il più bello dei sogni, non può fare altro che illuderli, riportandoli alla triste realtà appena svegli.

Crudele, spietato ma concreto.  Dolan affonda, ancora una volta, le mani in una tematica estremamente difficile, dove molto traspare del passato del regista. Un padre invisibile, una madre dal rapporto difficile. In ogni film di Dolan è impossibile non perdersi in quei sentimenti che questo regista, dal basso della sua età, riesce a trattare con la profondità di uno dei registi più navigati ed esperti.

 

Captain Fantastic sarà nelle sale cinematografiche italiane dal 7 Dicembre.

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