American Horror Story: Roanoke fa riflettere e conquista

American Horror Story

Morta una serie se ne fa un’altra, ma sappiamo che questo non è il caso di American Horror Story, fortunato format antologico di Ryan Murphy che ha visto la conclusione della sesta stagione lo scorso 16 Novembre.

American Horror Story: My Roanoke Nightmare è probabilmente una delle stagioni più riuscite per Ryan Murphy, puntando su un tipo di format moltissimo amato negli ultimi anni: il mockumentary.

Ma American Horror Story va ben oltre il semplice mockumentary e se per la prima metà stagione ci troviamo di fronte a un prodotto che ricalca sicuramente la scia di docu-reality alla Real Time o Dmax, il risvolto che prende nella sua seconda parte è decisamente inaspettato.

Ryan Murphy non ha mai nascosto di voler fare con le sue serie, sia a tema drama che a tema teen, della sana critica che però non appesantisca o, peggio, copra la linea principale dei suoi prodotti, e sicuramente con questa sesta stagione di American Horror Story il suo intento è centrato appieno.

 

Spoiler Alert
Da questo momento in poi è altamente probabile inciampare in qualche spoiler di percorso. Leggete consapevolmente, noi vi abbiamo avvertiti!

 

C’è un’attenzione maggiore al fattore suspense, riprendendo molte delle atmosfere più suggestive e creepy di Asylum, seconda stagione e ciclo più riuscito di tutta American Horror Story.

Lo spettatore è completamente sdoppiato dal racconto “reale” dei personaggi e dalla ricostruzione fedele degli avvenimenti, talmente tanto convincenti da dimenticarci per un attimo che tutto quello è il frutto della recitazione degli avvenimenti realmente vissuti da Matt, Shelby e Lee.

La tensione è sempre molto vivida. Nessun episodio è mai scontato. Le tempistiche risentono, purtroppo, del volere essere fin troppo perfezionisti, spesso facendo perdere parte dell’autenticità più grezza del racconto, ma questo non mina mai del tutto un intero episodio, capace di trascinarti a quello successivo. Ogni aggancio è perfettamente studiato affinché lo spettatore non perda mai l’attenzione.

 

 

American Horror Story

 

 

L’elemento sadico e voyeuristico esercitato sui telespettatori vi lascerà estasiati.

Se trovavate già interessante l’idea del docu-reality l’elemento sadico e voyeuristico esercitato sui telespettatori e quello di meta-televisione adoperato nel risvolto della seconda parte della stagione vi lascerà estasiati.

La prima impressione che lascia American Horror Story: My Roanoke Nightmare è: Si, bello. Ma come faranno a reggere per dieci episodi? 

La risposta arriva già dal quinto episodio. Una volta finito il raccolto e aver capito come Matt, Scelby, Lee e Flora siano riusciti a sopravvivere agli inquietanti e cruenti avvenimenti del maniero di Roanoke, c’è bisogno di giocare sull’elemento più scioccante di tutta questa bella messa in scena: lucrare sulla tragedia.

Così come vediamo in quelle storie di delitti impietosi, dove personaggi dello spettacolo, “giornalisti” e programmi serali televisivi, sfruttano fino all’ultima goccia una tragedia terribile per poter portare ascolti, share, costruire sopra plastici fatti di vittime e carnefici, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze che tutto ciò può avere sui sopravvissuti, allo stesso modo American Horror Story continua la sua scalata verso la paranoia, la suspense e il coinvolgimento dello spettatore.

 

American Horror Story

 

Lo showbiz porta al non fermarsi mai, al non averne mai abbastanza e sfruttare fino all’osso un fenomeno mediatico. Nell’immaginario di American Horror Story, lo show “My Roanoke Nightmare” è la serie con il più alto tasso di ascolti, con tanto di fan, forum e convention.

Come fare a non sfruttare un dato così allettante che ha già fruttato un grosso guadagno al suo produttore? Semplice: non si può. Questa volta, però, la carne sul fuoco deve essere molta di più e, soprattutto, reale.

Nessuna costruzione. Nessun avvenimento scenico. Ma la reale cruda verità all’interno di una location da incubo. Ed ecco come i soldi riesco a dissipare qualsiasi incubo, facendo trovare i personaggi “reali” e i loro interpreti in una sorta di casa del Grande Fratello da incubo.

Il ritorno a Roanoke è la tematica portante della seconda parte della sesta stagione di American Horror Story, un bagno di sangue senza tregua, immersivo e che rischia di far saltare dal divano più di una volta.

Ryan Murphy non si accontenta del plot twist della seconda parte della serie. Decide di alzare la posta in gioco, e oltre a trasformare la serie in un survival reality dove “se ne salverà uno solo”, conserva la sorpresa maggiore per l’ultimo episodio.

 

 

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Il Finale di Stagione

Arriviamo al Chapter 9 che, ormai, tutti i nodi – o quasi – sono venuti al pettine, e dopo tre episodi una carneficina si è verificata di fronte agli occhi dello spettatore, eppure il caro Murphy ha ancora un asso nella manica.

E di certo il mio rimandare ad Asylum non è un caso. La sorpresa di vedere un personaggio già noto nell’universo di American Horror Story non fa altro che avvalorare la tesi che My Roanoke Nightmare sia il degno successore di Asylum, la nuova ripresa di questo show da parte di Ryan Murphy. Il personaggio in questione è Lana Winters (interpretata sempre da Sarah Paulson), giornalista sopravvissuta agli orrori del terribile manicomio di Asylum ma che nasconde un passato torbido e ricco di segreti inconfessabili.

Non sorprende vedere Lana interagire, o meglio intervistare, il personaggio più controverso di My Roanoke Nightmare, l’unica sopravvissuta, Lee Harris (Adina Porter).

Nonostante l’evidenza delle prove, Lee riesce a scampare dal braccio della legge, venendo comunque idolatrata come eroina, vittima, donna costretta a compiere quelle atrocità registrare dalle molteplici videocamere. Ma chi è Lee?

 

American Horror Story
Ryan Murphy ci porta al degno finale di American Horror Story, costruendo una struttura che chiude il cerchio e facendo soffermare, ancora una volta e con maggiore attenzione, l’occhio dello spettatore sulla realtà filtrata dei media.

Non importa quando sangue sia stato versato, il lucrare sulle tragedia, far diventare tutto un grande show, un enorme motivo di intrattenimento, non basta mai. E mentre teorie sulla reale morte dei personaggi o meno prendono forma, una dozzina dei più svariati show ci vengono mostrati in chiave paradossale.

Dal soggiorno di Lana Winters, con tanto di estremo colpo di scena, agli “acchiappa fantasmi” dei programmi televisivi con tutte le loro piccole apparecchiature e battute da: “avete sentito?”

Qui non ci sono mostri. Anzi, forse sarebbe più corretto dire che qui non ci sono fantasmi da temere, ma gli unici essere di cui ci dobbiamo guardare le spalle siamo proprio noi, gli esseri umani.

 

 

American Horror Story

 

 

Ironico e satirico, il finale di stagione di American Horror Story gioca un ruolo molto particolare all’interno di questa serie, riuscendo a turbare lo spettatore senza usare particolari effetti speciali, ma solo evidenziando quella realtà che siamo troppo spesso abituati a vedere. Riprendendo la lezione del Gone Girl di David Fincher, Ryan Murphy fa di American Horror Story: My Roanoke Nightmare l’obiettivo e impietoso riflesso di una società filtrata, plasmata, condizionata totalmente dai media.

Probabilmente l’unico elemento che non rende perfetto tutto ciò sono proprio quegli ultimissimi minuti più soprannaturali, legati da un sentimentalismo tipico del personaggio di Lee ma molto fuori linee rispetto alla struttura generale di tutta la serie.

Una svista finale un po’ fastidiosa, un piccolo sgambetto ma che, in fondo, possiamo perdonare subito dopo aver realizzato che questa sorprendente sesta stagione “è già” finita, lasciandoci nuovamente orfani.

 

 

 

Tirando le somme

Gli attori di Ryan Murphy non deludono mai, e sebbene anche quest’anno si è sentita forte la mancanza della divina Jessica Lange, abbiamo potuto godere di un’interpretazione magnifica – come sempre – di Kathy Bates in un personaggio che avrebbe potuto essere l’appendice della cara Annie Wilkes nel Misery di Rob Reiner.

 

 

American Horror Story

 

 

Incredibili anche gli attori principali, in particolar modo Sarah Paulson e Lily Rabe, entrambe la faccia dello stesso personaggio che con lo sdoppiamento del ruolo sanno scivolare nelle viscere delle molteplici personalità umane; e lo stesso vale per Cuba Gooding Jr. (Dominic/Matt) e André Holland (Matt).

Particolare nota di merito ad Angela Bassett, la quale oltre a interpretare  Monet Tumusiime – l’attrice che recita il ruolo di Lee nella ricostruzione di My Roanoke Nightmare – è anche la regista del Chapter 6, ovvero il sesto episodio della stagione, uno dei più densi e con la miglior suspense.

Un tripudio al genere horror, dai toni molto freddi e dalle ombre pronte a colpire da un momento all’altro.

Non mancano gli affezionatissimi come Evan Peters – il quale si è fatto aspettare non poco – e Denis O’Hare e anche il grande, ma breve, ritorno di Taissa Farmiga e personaggi guest come Lady Gaga, Frances O’Connor e l’irriconoscibile Finn Wittrock.

 

 

American Horror Story

 

 

American Horror Story: My Roanoke Nightmare è una riflessione sul mondo attuale.

American Horror Story: My Roanoke Nightmare è una riflessione sul mondo attuale. Su come i media abbiano plasmato il nostro cervello, rendendoci schiavi di forme di intrattenimento perverse e sadiche, che portano lo spettatore ad entusiasmarsi per realtà terrificanti, arrivando ad apprezzare il massacro tra più persone, come le più arcaiche forme di combattimento tra gladiatori.

Quello che Ryan Murphy porta in televisione, nuovamente con la sua impeccabile e precisa minuziosità e tecnica cinematografica, è una giostra senza “se” e senza “ma”, dove tutti sono vittime e tutti sono colpevoli.

L’elemento soprannaturale è solo quella ciliegina sulla torta in più che omaggia grandi classici del cinema di genere, da i più moderni The Blair Witch Project e The Grudge, ai classici come Non Aprite Quella Porta e Amityville Horror passando per Saw – L’enigmista e l’ossessione per la telecamera di Rec e Cannibal Holocaust.

 

American Horror Story

 

Una serie di elementi di un cinema potente, ritradotti nei termini della serialità televisiva, entusiasmando lo spettatore più cinefilo e spaventato quello più suggestionabile. American Horror Story riesce ad arrivare, finalmente, a una maturazione tale da riportare Murphy sulla carreggia dell’horror, posizionandosi secondo solo al meraviglioso Asylum.

Confermata per una settimana stagione, viene da chiedersi cosa Ryan Murphy, dopo essere riuscito ad arrivare al miracolo con American Horror Story: My Roanoke Nightmare, sia ancora in grado di partorire per inquietare le nostre serate seriali invernali.

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