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La caccia alle streghe di Salem

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Fa freddo, il cibo è una schifezza e alle 3 del pomeriggio è già buio. Siamo nell’inverno del 1691, in un villaggio coloniale parecchio bigotto chiamato Salem, e voi siete due bambine di 9 e 11 anni. Mancano almeno 320 anni alla comparsa di cose minimamente divertenti, come gli stickers di Snapchat, Nicholas Cage, o un Select di Lega Nerd. Quindi, cosa si può fare per ammazzare il tempo? Facciamo che accusiamo un po’ di gente di stregoneria e vediamo come va?

Tutti nella vita abbiamo sentito parlare di Salem e della relativa caccia alle streghe che macchiò di sangue la reputazione della cittadina. Immagini di roghi e pire che illuminano il freddo cielo, le grida delle morenti che lacerano il silenzio della notte. In realtà non fu così.

Quelle grida vennero soffocate dallo stretto cappio del boia.

Prima di parlare del processo, diamo un’occhiata alle gioie della vita nelle colonie di confine di fine ‘600.

 

 

 

A nice place to live

L’incantevole villaggio di Salem sorgeva nella colonia del New England, ora Massachusetts, ed era – di fatto – l’ultimo baluardo di civilizzazione prima delle terre selvagge, abitate da quegli incivili scrocconi dei nativi americani.

 

 

La comunità di Salem era formata da emigranti inglesi di seconda/terza generazione dal credo Puritano. Molto Puritano. Il pastore Cotton Mather disse: «Noi puritani siamo un popolo scelto da Dio per colonizzare e purificare questi territori, una volta proprietà del diavolo.» Modesto e con i piedi per terra, era pure medico.

Noi puritani siamo un popolo scelto da Dio per colonizzare e purificare questi territori, una volta proprietà del diavolo.

Le tensioni tra due culture così diverse culminarono inevitabilmente in scontri armati che portarono, infine, alla guerra.

Questa sanguinosa scaramuccia prese il nome dal più influente capo indiano delle tribù locali, Metacomet. Perciò, guerra di Metacomet? No, gli inglesi lo chiamavano re Filippo, quindi guerra di re Filippo. Tié.

 

 

 

La guerra di re Filippo

I territori del New England erano inizialmente occupati dalle tribù indiane dei Narragansett, Mohegan, Algonkian, Haudensaunee e Wampanoag, che – come tutti gli uomini – ogni tanto se le davano di santa ragione.

I coloni inglesi, dal canto loro, avevano altri pensieri per la testa, come una guerra civile in patria tra i repubblicani di Trump Oliver Cromwell, re Carlo I e la Chiesa Anglicana. Al netto di qualche epidemia di vaiolo e morbillo, che decimò i nativi americani, e qualche sporadica incursione, si raggiunse una pace traballante tra coloni e i capi indiani Massasoit, Sassacus, Uncas e Ninigret, che durò per qualche decennio.

 

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Metacomet, noto anche come re Filippo, Metacom o Pometacom (1639 circa – 12 agosto 1676), è stato un sachem, ovvero un capo indiano, della tribù dei Wampanoag, nonché colui che condusse la guerra di Re Filippo, un’ampia rivolta combattuta contro i coloni britannici del New England. via Wikipedia

 

Metacomet, che prese il nome di Filippo per solidificare la pace e facilitare il lavoro del suo traduttore John Sassamon – un nativo convertito al cristianesimo -, divenne capo della tribù dei Wampanoag dopo la morte naturale del padre, Massasoit, e quella un po’ più sospetta del fratello Wamsutta. Il consanguineo, conosciuto anche come Alessandro, morì misteriosamente mentre mentre negoziava con gli ufficiali coloni.

Metacomet divenne capo dopo la morte naturale del padre e quella un po’ più sospetta del fratello.

Era l’anno 1662. La pazienza di Metacomet fu messa a dura prova più volte nel corso di quei mesi; da una parte i Puritani cercavano continuamente di convertire la sua gente, dall’altra gli ufficiali coloni intimavano ai nativi di consegnare tutte le armi. Come conseguenza Metacomet unì le tribù indiane, creando un fronte comune alimentato dal risentimento e dalla diffidenza verso l’uomo bianco.

 

John Sassamon

 

Le polveri della guerra si incendiarono quando John Sassamon, traduttore, nonché spia dei coloni, fu trovato morto. Il cadavere venne ripescato in uno stagno ghiacciato. Presumibilmente fu proprio Metacomet ad ordinarne l’assassinio.

A seguito del ritrovamento del corpo vennero arrestati, giudicati e condannati a morte tre indiani Wampanoag, da parte della colonia di Plymouth. I Wampanoag non presero bene l’interferenza dei coloni in quelle che consideravano delle “questioni interne”.

Il 20 giugno un gruppo di Pokanoket, non è certo se con l’approvazione di Metacomet, mise sotto assedio diverse città dei coloni, uccidendoli. In risposta, il 28 giugno, le autorità di Plymouth inviarono una spedizione in territorio indiano, che distrusse la città di Wampanoag.

 

 

 

Le battaglie

Gli indiani cominciarono ad attaccare le città di frontiera più vulnerabili. La confederazione del New England, in risposta, inviò una spedizione per recuperare i raccolti dei campi abbandonati, in vista dell’inverno.

Il gruppo venne tradito dalla sua imprudenza e sconfitto nella battaglia di Brook del 18 settembre 1675.

In seguito, un gruppo di coloni e milizie comandate da Josiah Winslow attaccò la tribù dei Narragansett, che sino a quel momento era rimasta neutrale; tuttavia la sua sorte era segnata per aver dato rifugio a donne e bambini Wampaonag.

Forte dei primi massacri delle prime vittorie, i coloni assemblarono un esercito di 1.000 uomini, che marciò – condotto da una guida indiana – verso le paludi del Rhode Island, con destinazione il forte Narrangaset.

In quella che viene ricordata come la lotta della grande palude gli indiani vennero sconfitti, il forte e le provviste invernali bruciate, i sopravvissuti costretti a scappare nelle acque gelide ed insidiose della palude gelata. Ormai allo stremo, senza armi e cibo, gli indiani Narrangaset si arresero ai coloni.

 

 

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Sebbene gli indiani guidati da Metacomet riuscirono a vincere alcune battaglie, dimostrando ai coloni la loro pericolosità bellica, presto le sorti della guerra divennero chiare. Con la fame e le perdite umane a flagellare tutte le tribù, Metacomet si ritrovò presto senza alleati.

Metacomet venne catturato il 12 agosto 1676.

I coloni, in risposta, cominciarono a formare pattuglie miste di bianchi e nativi americani, con l’intento di compiere scorrerie e omicidi in cambio di denaro e terre.

Metacomet venne catturato e ucciso proprio da una di queste pattuglie, il 12 agosto 1676. Il capo tribù venne colpito mortalmente da un proiettile sparato da John Alderman, nelle palude di Miery, vicino Bristol.

 

Il suo corpo venne smembrato ed appeso agli alberi, la testa fu esposta su una picca all’ingresso di Fort Plymouth per vent’anni, il figlio e la moglie vennero invece venduti come schiavi nelle Bermuda.

 

 

 

Puritans do it better

Il villaggio di Salem venne fondato nel 1626 da un gruppo di pescatori calvinisti in fuga dall’oppressione di Re Carlo I d’Inghilterra, deciso a sopprimere tutte le minoranze religiose del paese. Persone con una fede granitica, uno stile di vita rigidissimo, e la ferma convinzione di dover purificare la Chiesa da tutte le forme e i compromessi non previsti nelle Sacre Scritture.

Nel villaggio era quindi proibita la musica, ad eccezione degli inni sacri, la danza, i festeggiamenti per le giornate di Natale e Pasqua, le bambole e giocattoli, gli abiti succinti (immaginatevi voi quanto) e i colori sgargianti.

Un buon cristiano puritano doveva, inoltre, condurre sempre una vita umile ed obbediente.

Poi oh, detto questo credo fosse brava gente, un po’ noiosa alle feste, forse, ma brava gente. Certo, sino all’isteria, alle accuse e alle esecuzioni.

Come in ogni agglomerato urbano che si rispetti nacquero divisioni sociali abbastanza nette, tra ricchi e poveri, tra famiglie “nemiche”, tra romanisti e laziali, e così via. Verso la fine del secolo Salem venne divisa in due frazioni: Salem città e Salem villaggio.

Questa separazione inasprì parecchio gli animi della gente che si trovava pure senza un governo ufficiale che ne placasse gli animi e ne allontanasse le paure.

 

 

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I processi e la caccia alle streghe

Finalmente torniamo a vestire i panni di Elizabeth “Betty” Parris e Abigail Williams. Viviamo in un posto di merda speciale, in cui non ci è permesso fare praticamente niente che non sia pregare e pregare.

La gente è un po’ tesa per via della faccenda appena conclusasi delle scorrerie degli indiani, delle invasioni di locuste che si sono mangiate il grano per l’inverno, per la fame, per la noia, per l’invidia, per una vita di privazioni.

La gente è un po’ tesa e forse sotto LSD.

Studi recenti ipotizzano anche che parte della popolazione del villaggio di Salem fu intossicata dal fungo Ergot, anche conosciuto come Claviceps purpurea. Questo parassita della segale e del frumento è uno dei componenti principali da cui si ricava l’LSD, un allucinogeno in grado di scatenare stati epilettici, isteria e aggressività (come Justin Bieber).

Già in passato simili intossicazioni avevano dato luogo a isteria di massa, come nel caso della piaga del ballo scatenatasi a Strasburgo, nel luglio del 1528.

 

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Le due bambine erano, inoltre, la figlia e la nipote del reverendo Samuel Parris; quindi di sicuro non se la spassavano molto. Il buon reverendo possedeva anche due schiavi originari di Barbados: un uomo di nome John “penso sia il terzo John dell’articolo” Indian e sua moglie Tituba.

La donna, con un’ascendenza per metà caraibica e per metà africana, praticava l’obeah, un antico tipo di magia diffusa in alcune zone delle indie orientali. Tituba era solita praticare i suoi sortilegi nella cucina dei Parris, giocando con le bambine, predicendo loro il futuro.

Con il senno di poi, non fu una grande idea.

Tra la fine del 1691 e l’inizio del 1692 le bambine cominciarono a comportarsi in modo bizzarro. Erano taciturne, si nascondevano dietro gli oggetti, strisciavano sul pavimento, sotto le sedie.

Preoccupato, il reverendo Parris chiamò il dottor William Griggs, che dopo vari tentativi di diagnosi si arrese e prescrisse loro lo xanax affermò che l’unica spiegazione possibile fosse una possessione demoniaca. Affari di un tribunale, quindi, e non suo.

 

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Il malocchio era infatti considerato un crimine imputabile ad una persona ai danni di un’altra persona; tuttavia il processo non iniziò subito. Robert Calef, un contemporaneo, racconta che le ragazze si comportavano solo in modo buffo, parlando in modo strano tra loro. Fu solo quando dissero loro che erano vittime del diavolo che cominciarono a dare segni d’isteria.

Le bambine cominciarono a comportarsi in modo bizzarro. Erano taciturne, si nascondevano dietro gli oggetti, strisciavano sul pavimento, sotto le sedie.

In un primo momento Parris decise di rivolgersi agli altri pastori del villaggio, che gli suggerirono di aspettare e pregare Dio, tuttavia la voce del malocchio si diffuse nella comunità velocemente; divenne presto imperativo trovare e punire la strega.

In un primo momento, Mary Silbey, una donna del villaggio, suggerì di preparare la torta della strega. Una focaccia fatta con impasto di segale e urina delle possedute che, data in pasto ad un cane, avrebbe condotto i giudici dalla strega. Il rimedio della nonna non funzionò, anzi fece ammalare il cane.

Fallito l’impasto preparato con gli ingredienti della mistery box si procedette con il processo vero e proprio.

Assieme a Betty e Abigail vennero interrogate anche altre ragazze che mostrarono segni di possessione: Ann Putnam, Betty Hubbard, Mercy Lewis, Susannah Sheldon, Mercy Short e Mary Warren.

Betty ed Abigail accusarono immediatamente la schiava del parroco Parris, Tituba Indians; Ann Putnam e Betty Hubbard confermarono l’accusa nei giorni successivi, indicando come streghe anche Sarah Osborne e Sarah Good.

Si credeva che solo la vittima del maleficio potesse vedere il diavolo.

La prima era una mendicante ritenuta strega poiché vista parlare da sola, la seconda era invece una signora anziana ed inferma.

Incredibilmente il potere accusatorio era in mano a delle ragazzine che, forse vittime della noia o del risentimento, forse realmente malate, si trovarono a giocare con la vita degli adulti, forti della loro posizione di “possedute”, che difficilmente poteva essere sconfessata dagli imputati.

Si credeva, infatti, che il diavolo prendesse la forma di strega per tormentare i poveri cristiani, che tuttavia erano gli unici a vederlo nel mondo reale, mentre agli altri rimaneva ben celato nelle tenebre.

 

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La prima imputata ad essere ascoltata fu Sarah Osborne, la mendicante. La donna negò ogni accusa di sevizia e stregoneria, tuttavia le ragazze – presenti in aula – iniziarono a urlare e contorcersi, come in preda allo shock di facebook offline dolori atroci ed inumani.

Sarah ipotizzò che il diavolo avesse preso le sue sembianze per torturare le giovani donne.

Il giudice chiese prontamente a Sarah perché stesse torturando quelle povere fanciulle, ma la donna continuò a professare la sua innocenza. In sua difesa ipotizzò che il diavolo avesse preso le sue sembianze per torturare le giovani donne. Ipotesi respinta.

Sarah Osborne venne condannata e morì in prigione due mesi dopo. Successivamente venne interrogata Tituba Indians, la schiava del reverendo Parris. Il suo ingresso in aula creò il pandemonio.

Le ragazze divennero violentissime e isteriche sino a quando Tituba iniziò la sua deposizione. In aula calò il silenzio assoluto. Le possedute erano pietrificate all’idea che la nativa caraibica potesse raccontare dei loro giochi in cucina, quando per svago prediceva loro il futuro.

La donna tuttavia non raccontò di quegli eventi, invece si inventò storie di diavoli che le ordinavo di torturare le bambine, di incontri con altre streghe – tra cui Sarah Osborne e Sarah Good – provenienti da Boston, nella sciocca speranza che una confessione piena la potesse salvare.

Inutile dirlo… funzionò.

Tituba, dopo aver gettato benzina sul fuoco dell’isteria abbandonò Salem impunita. Non venne imprigionata, ne condannata. Nessuno seppe più che fine fece. Probabilmente quella fu la sua vendetta per i tanti anni di schiavitù e punizioni fisiche subite. Il motivo del suo rilascio rimane un mistero.

 

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Tempo di processi, tempo di impiccagioni.

La prima a raggiungere il cappio fu Bridget Bishop, una ricca possidente terriera. Ad accusarla furono ancora Abigail Williams, Ann Putnam e Mary Walcott.

Secondo le “testimoni” possedute, la donna era colpevole di magia nera, stregoneria, divinazione, malocchio e di aver sedotto tutti gli uomini del villaggio (era una donna sopra i 60) in virtù degli abiti rossi da lei indossati. Venne impiccata il 10 giugno del 1692, in quella che oggi viene ricordata come la collina delle streghe.

 

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Successivamente Ann Putnam accusò di stregoneria Rebecca Nurse, una donna benevola e amata da tutti. Nonostante il solito teatrino isterico delle ragazze, Rebecca rispose con sincerità e calma alle domande del giudice, che sembrò sul punto di chiudere il caso e lasciare libera la donna.

Non contenta, la madre di Ann Putnam si alzò gridando:

Non ti sei portata appresso l’Uomo Nero? Non mi hai minacciato di strapparmi l’anima dal corpo, ripudiando con parole oscene e orrendamente blasfeme il Signore Iddio benedetto?

«Mio Dio, aiutami!», gridò Rebecca tendendo le mani. Capito il gioco della madre madre, Ann e le altre ragazze cominciarono ad imitare ogni gesto dell’imputata Rebecca. La corte concluse che la donna le aveva appena stregate davanti ai loro occhi. Venne condannata ed impiccata.

Nel corso dell’estate le carceri di Salem si riempirono di sospettati, uomini e donne. Il reverendo George Burroughs, stufo della carneficina che si stava compiendo sotto i suoi occhi, fu condannato ed impiccato mentre recitava le sue preghiere. Stessa sorte capitò ad un poliziotto che si rifiutò di arrestare altre donne ed uomini innocenti. Successivamente fu accusato il contadino Giles Corey, un uomo di oltre settant’anni, che si rifiutò di testimoniare contro la moglie.

Successivamente fu accusato il contadino Giles Corey, un uomo di oltre settant’anni.

Non rispose alle domande dei giudici, in modo da non venir considerato colpevole. Inoltre, mica scemo, se non avesse parlato il processo non si sarebbe mai potuto concludere; in questo modo alla sua morte – vista l’età – tutti i suoi beni sarebbero passati ai suoi figli. Lo sceriffo locale George Corwin, deciso a farlo confessare, lo torturò nei terreni confinanti alla prigione. A Giles Corey, disteso sul terreno, furono posati pesantissimi massi sul torace per due giorni, sino alla sua morte per soffocamento.

Leggenda e folklore popolare vogliono che le sue ultime parole furono: «Più peso».
Altri raccontano che prima di spirare maledisse lo sceriffo.

 

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Le ultime esecuzioni si tennero il 22 settembre 1692. Mentre le vittime venivano trasportate verso l’albero delle streghe, il carro finì in una buca. Le ragazze possedute gridarono, nel loro ennesimo atto di crudeltà ed isteria, che il diavolo stava cercando di salvare le sue seguaci.

Le voci di tutte quelle esecuzioni travalicarono presto i confini di Salem, sino a giungere alle orecchie di persone meno propense a vedere il demonio dietro ogni angolo.

Nell’ottobre del 1692 il governatore Phips sottoscrisse un mandato che mise fine ai processi di Salem.
I rimanenti prigionieri vennero immediatamente scarcerati.

 

 

 

Conclusioni

Quello che probabilmente era iniziato come un gioco tra bambine presto sfuggii di mano, trovando un terreno fertile in cui far attecchire i germi dell’isteria.

Può darsi che alcune ragazze presero gusto nell’avere un simile potere su persone adulte che sino ad allora avevano governato la loro vita. Infine, può darsi che alcune famiglie importanti dell’epoca approfittarono della situazione per accusare rivali altrimenti intoccabili.

 

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Quello che è certo è che vennero processate 144 persone, 54 confessarono sotto tortura e 19 furono giustiziate. Tutte ingiustamente.

 

 

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