Referendum abrogativo del 17 aprile

trivelle

Il 17 aprile gli elettori saranno chiamati alle urne per potersi esprimere in merito alle trivellazioni marine entro le 12 miglia dalla costa. E tu, hai le idee chiare?

Per la prima volta nella storia italiana il 17 aprile si terrà una consultazione referendaria per iniziativa di nove Consigli Regionali (Basilicata, Puglia, Marche, Veneto, Calabria, Liguria, Sardegna, Campania e Molise) e non per raccolta di firme tra i cittadini.

Gli elettori saranno chiamati ad esprimersi circa alcune disposizioni relative alla ricerca ed estrazione di idrocarburi (solidi e liquidi) in Italia.

 

 

L’iter referendario

Originariamente i quesiti referendari promossi dalle regioni erano ben sei.

Originariamente i quesiti referendari promossi dalle regioni erano ben sei, e puntavano ad abrogare alcune disposizioni inserite nel Decreto Sviluppo (art. 35 “Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione idrocarburi”, DL 22/06/2012  n.83, convertito con Legge 07/08/2012 n. 134), nel Decreto Sblocca Italia (art. 38 “Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali” DL 12/09/2014 n. 133) e in alcuni provvedimenti sulla concessione di nuovi titoli minerari.

Il 27 settembre scorso la Cassazione aveva giudicato ammissibili tutti e sei i quesiti, ma le modifiche ad hoc introdotte dal Governo Renzi con la Legge di Stabilità hanno costretto la massima corte a rivalutarli e a respingerne cinque con parere del 15 gennaio 2016.

Il quesito “superstite”, come vedremo più nel dettaglio in seguito, punta a ripristinare la fascia di interdizione per le attività estrattive a 12 miglia dalla costa, ovvero così come era stato definito dall’allora Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo dopo l’incidente della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico del 2010.

 

 

Il quesito referendario

La domanda che gli italiani troveranno stampata nella scheda referendaria è degna della Settimana Enigmistica:

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

 

Tradotto in italiano, il quesito chiede se si vuole rimuovere la dicitura “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”, e quindi imporre che alla scadenza delle attuali concessioni di estrazione esse non possano essere rinnovate anche se il giacimento potrebbe essere ancora sfruttabile.

Questo ovviamente è riferito unicamente alle concessioni:

  • attualmente già autorizzate (con il Testo Unico Ambientale è già stata vietata la possibilità di autorizzare nuove concessioni di ricerca e estrazione)
  • entro le 12 miglia dalla costa (sono escluse quindi le attività su terraferma e oltre le 12 miglia)
  • alla cui scadenza presentino presentino un giacimento ancora sfruttabile.

 

In Italia le concessioni durano 30 anni, e sono successivamente prorogabili per 10 e per 5 anni.

In Italia le concessioni durano 30 anni, e sono successivamente prorogabili per 10 e per 5 anni; questo referendum di fatto bloccherebbe la possibilità di rinnovo delle concessioni in corso, che sono 21 in 7 regioni diverse:

  • Sicilia (7)
  • Calabria (5)
  • Puglia (3)
  • Emilia Romagna (2)
  • Basilicata (2)
  • Marche (1)
  • Veneto (1)

 

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Le ragioni del SI

Tra i sostenitori del SI, ovvero i favorevoli all’abrogazione della possibilità di proroga delle concessioni, troviamo le 9 regioni promotrici del quesito referendario, movimenti e associazioni ambientaliste (come NoTriv, Marevivo, LegAmbiente, WWF Italia, Confederazione Italiana Agricoltori e Greenpeace), alcuni sindacati dei lavoratori (Fiom, CGIL e Cobas) e diversi partiti politici (Verdi, Sinistra e Libertà, Sinistra Italiana, Movimento 5 Stelle, Lega Nord, Italia dei Valori, Altra Europa con Tsipras, Possibile di Pippo Civati, Fratelli d’Italia-AN).

 

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in questo modo si imprimerà una chiara scelta popolare circa le politiche energetiche del nostro paese

Coloro che propongono di votare SI, sostengono che in questo modo si imprimerà una chiara scelta popolare circa le politiche energetiche del nostro paese, che nonostante gli impegni presi alla recente conferenza ONU sul clima sia ancora poco incline a spingere le energie rinnovabili in favore degli idrocarburi (petrolio e gas).

Le riserve di petrolio italiane sottomarine entro le 12 miglia sono inoltre scarse (7.6 milioni di tonnellate di petrolio secondo le stime del Ministero dello Sviluppo Economico – circa sette settimane del fabbisogno nazionale) e molto “inquinate” da sostanza sulfuree, che ne rendono più costosa la lavorazione. Un po’ più consistenti quelle di gas (circa 53.7 milioni di metri cubi), ma che comunque non incidono particolarmente sul bilancio energetico nazionale (13 mesi di autonomia stimata).

Se le riserve inoltre sono di breve durata, gli effetti delle trivellazioni sono invece a lungo termine se non addirittura irreversibili, come ad esempio nelle ricerche di tipo air gun che consistono nello sparare in modo ripetuto bolle d’aria sui fondali per provocare onde d’urto simili ad esplosioni.

Il risultato su fondo marino, fauna e flora è facile da intuire, per non parlare dei possibili danni per chi di mare vive quotidianamente (pescatori, operatori del turismo, etc.). Senza parlare dei danni incalcolabili che potrebbero venire da uno sversamento di idrocarburi in mare.

 

 

Le ragioni del NO

Tra i sostenitori del NO, in cui possiamo includere anche coloro che propongono l’astensionismo (vi ricordo che i referendum in Italia devono raggiungere il quorum per essere validi), troviamo il Partito Democratico (con in testa il Ministro per l’Ambiente Galletti), Forza Italia (che tecnicamente non ha ancora espresso indirizzi di voto, ma anche il silenzio è politicamente caratterizzante), le aziende del settore energetico-estrattivo (you don’t say?) come Eni, Edison, Shell, Petroceltic e Northern Petroleum UK, e anche alcune rappresentanze di lavoratori del settore Oil&Gas che vedono minacciato il proprio posto di lavoro.

Proprio il tema dell’occupazione è quello principalmente sostenuto da chi vuole mantenere l’attuale quadro governativo: la chiusura (a scadenza concessione) di 21 impianti estrattivi porterebbe alla necessità di gestire gli esuberi di personale nelle realtà coinvolte, che in Italia significa qualche mese di ammortizzatori sociali e licenziamenti.

 

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L’altro grande tema caro ai sostenitori del NO è quello dell’indipendenza energetica: la chiusura degli impianti in assenza di alternative costringerebbe l’Italia a fare ricorso all’acquisto di ulteriori risorse dal mercato estero anziché sfruttare le proprie, con conseguente aggravio del Piano Energetico Nazionale (circa il 10-11% del nostro fabbisogno viene oggi da attività estrattive, sia a terra che in mare).

 

 

Si vota il 17 aprile 2016 dalle ore 7:00 alle ore 23:00 con tessera elettorale e un documento di riconoscimento valido.

 

 

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