Aspettando Nathan Drake

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Tempi duri per noi assidui frequentatori di universi videoludici non più giovanissimi. Un tempo mi riusciva di passare un paio di ore al giorno davanti ai gioiellini di casa Sony e Microsoft, ed il risultato era che ero quasi ad una ratio costante tra nuovi acquisti e giochi completati.

Adesso tra vita lavorativa intensa, famiglia e Netflix, le cose sono leggermente cambiate.

Tanto per dire, sono ancora immerso nel mondo di The Witcher 3 e solo qualche settimana fa ho potuto dedicarmi a Rise of the Tomb Rider, recentissimo capitolo dell’ultimo reboot di Lara Croft.

 

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Sin da quando ho in mano un controller Sony (più tempo di quanto mi piacerebbe ricordare, ma, comunque dal 1997) che gioco con le avventure di Lara Croft, primo personaggio videoludico ad assurgere al ruolo di icona pop, al punto che persino gli U2 le dedicarono uno spazio nel loro Pop Mart Tour. Certo direte voi, prima di Lara c’erano Mario e Link e chissà quanti altri personaggi dell’universo di Street Fighter e Final Fantasy. Ma Lara era differente. Lei era il primo personaggio adulto capace di essere appetibile anche per chi i videogiochi non li aveva proprio mai frequentati.

Se la vediamo in quest’ottica, nulla dopo di lei è stato lo stesso. La Sony per il lancio della sua Playstation non aveva bisogno solo di una killer application (di quelle ne aveva sin troppe), quello di cui aveva bisogno era personalità. Prima delle console war, quello che serviva era far avvicinare il grande pubblico, far loro presente che i videogame erano tutt’altro che roba per bambini.

Da quel punto in poi, non c’è stato bisogno di rivolgersi ad una nuova generazione di giovani adulti, anche perché lo zoccolo duro di ogni nuova console era composto da persone cresciute con una Playstation in casa. Ma prima di allora, trovare una console Nintendo o Sega in casa era roba da nerd.

 

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Lara aveva tutto quello che serviva per piacere a chiunque. Era una donna forte e sicura di sé, e questo di sicuro faceva la differenza con il pubblico femminile. Era una bella donna, maggiorata (anche se per un errore di programmazione in fase di test che piacque però a tutti in casa Core Design), e le sue avventure la portava in posti esotici a cavallo tra mitologia e realtà. Ricordo soprattutto con un certo affetto la sequenza iniziale di Tomb Raider 2 a Venezia. quando ancora l’Italia non era considerata un posto appetibile come scenario di un videogioco.

Una cosa che mi faceva impazzire, soprattutto all’inizio, era la cura con cui venivano eseguite le animazioni di Lara. Vi ricordate il trucco per farla arrampica in verticale? Ed i sospiri che faceva ogni volta che sbatteva contro un muro. Ancora più importante per i salti in lungo bisognava che contasse esattamente tre passi per l’esecuzione e, in linea di principio, bisognava usare il cervello per superare tutti i trabocchetti. Finezza creativa, dei primi due capitoli, una volta uccisi i cattivi, i corpi rimanevano nello scenario, alla faccia dei miliardi di attivi videoludici smaterializzati appena fatti fuori.

 

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Col tempo, le idee cominciarono a diminuire. E, soprattutto, gli scenari diventavano così difficili da risultare frustranti. Semplicemente la quantità di giochi che meritava la mia attenzione si era moltiplicata e non avevo troppa voglia di girare uno scenario ore ed ore alla ricerca della leva nascosta che mi avrebbe permesso di avanzare.

Lara piano piano si avviava a diventare una divinità dimenticata ma nessuno avrebbe mai dimenticato che era stata lei il precursore di tutto quello che sarebbe arrivato dopo. Soprattutto. per noi nerd figli degli anni ’80 lo step che non si poteva dimenticare era stato chiaro subito. Facciamo un videogame di Indiana Jones, ma facciamolo più figo, tipo con un Indiana Jones donna.

Quasi dieci anni dopo, la generazione di console alla ricerca di una killer application era quella di Playstation 3. Ed il personaggio che si apprestava a salire sul trono di carismatico rappresentante era solo uno, Nathan Drake. Sarà l’omonimia, ma io ci ho sempre visto parecchio Nathan Fillion in lui (l’immarcescibile Mal di Serenity)

Come Lara, anche Nathan aveva una certa passione per l’archeologia, specie per la parte in cui si trovano tesori e si risolvano le cose con le ari da fuoco. Il primo capitolo di Uncharted era divertente, ma tutto sommato anonimo. Al di là di scenari, veramente ben disegnati, il problema principale, secondo me, risiedeva nel game design. Mi spiego, magari Nathan correva nella foresta, e nel farlo precipitava in una caverna nascosta ed imprevista. Bè, come per miracolo, la strada si popolava di cattivi che non avevano nessuna ragione per essere là. Insomma, d’accordo la difficoltà, ma che cavolo la verosimiglianza un po’ deve pure un certo peso.

Complici una serie di personaggi comprimari d’eccezione, ed i due seguiti sono stati una bomba dopo l’altra (anche se io preferisco il 2 all’ultimo capitolo di vecchia generazione). Drake è diventato il volto della Sony. Il suo modo sbrigativo e filibustiere è tipicamente figlio degli anni 2000. Una sceneggiatura basata sin dall’inizio su una storia con dialoghi, antefatti, legacy. Insomma il trucco si era ripetuto ancora una volta.

Qualcuno doveva aver pensato: facciamo un gioco di Tomb Raider, ma più figo, mettiamoci una Lara Croft uomo.

Ed il gioco era fatto.

Nel frattempo il franchise di Lara era decaduto, complici pessimi sequel e terribili film, Lara così come l’avevamo conosciuta era diventata francamente noiosa. Se non che nel 2012 una nuova software house, Crystal Dynamics ci riprova. Ed ecco che parte un reboot di Tomb Raider che ne racconta l’origine segreta, cancellando il proprio mito al fine di proiettarlo nel futuro. Il primo episodio, per Playstation 3, era divertente, ma in fondo senza infamia ne lode. Sembrava quasi che gli sviluppatori avessero paura di non reggere il paragone, ed avessero fatto la cosa apposta sotto tono.

Lara ragazzina che vince il trauma di essere naufragata in un’isola spettrale (al punto da far sembra Disneyland quella di Lost), Lara che vince il trauma della prima uccisione, della sopravvivenza. Lara che in tutto ciò mantiene gli occhi di cerbiatta, malgrado lividi, strappi e violenze.

Un unico indizio faceva pensare ad una connessione. Meccanica di gioco ed attitudine (e non dimentichiamoci che l’isola avrebbe poi somigliato davvero tanto all’isola si Arrow).

 

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Altri due anni passano, ed una nuova generazione di console. Mentre A Thief’s end, sta per uscire e già è una killer application grazie ad un trailer di un paio di E3 fa. Già e leggenda mentre nel frattempo su XBox One esce Rise of the Tomb Raider. Nella nuova avventura Lara è persa tra i ghiacci e poi, come nel miglior canone dei racconti di avventura ambientati nelle terre ghiacciate, la storia si apre in uno scenario geotermico.

Sapete che succede ad un certo punto? Lara corre, ancora innocente, con un AK47 in mano, ed una maglietta blu proprio come quella di Nathan.

tra qualche settimana sarò qui a parlarvi di quanto sarà leggendario giocare ad Uncharted 4. Ma nel frattempo, il cerchio si è chiuso.

 

 

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