L’origine del Phantom Pain

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Che Hideo Kojima fosse un po’ pazzo qualche dubbio mi era venuto nel corso degli anni. Qualcuno ricorda lo scambio dei joypad per battere Psycho Mantis? Ecco, uno sano di mente non potrebbe mai elaborare una cosa del genere. Armato di questo sano pregiudizio vediamo di mettere a nudo Quiet cosa si cela dietro all’ultima mastodontica fatica di Hideo Kojima: Metal Gear Solid V: The Phantom Pain.

Spoiler Alert
Questo articolo contiene spoiler per chi non ha ancora finito MGSV, siete stati avvisati.

 

Devo fare una confessione, tutti noi abbiamo un libro che siamo riusciti a terminare solo dopo estenuanti fatiche, ore di sofferenza e “blocco del lettore”. Quello che ci spingeva a continuare era la determinazione o l’orgoglio di non volerci arrendere davanti ad un’opera eterna della letteratura come l’ultimo degli stronzi stronzi, non saprei che altro scrivere. Bene, per me quel libro fu Moby Dick.

Tutti noi abbiamo un libro che siamo riusciti a terminare solo dopo estenuanti fatiche. Per me quel libro fu Moby Dick.

“Chiamatemi Ismaele” e tutto il resto. Pagine e pagine di metafisica e religione, di riflessioni infinite. Quel libro mi ha quasi ucciso.

Bene o male sappiamo tutti di cosa parla, c’è una balena, una nave, il capitano (Uncino) Ahab, senza gamba e occhio, qualche arpione e un finale tragico. Morale: non ci si può vendicare della natura.

Ottimo, ma che ci frega? Cosa c’entra con Metal Gear Solid V? Ora lo vediamo.

Risvegliatosi da un coma lungo anni Big Boss trova il suo corpo straziato e mutilato. I primi momenti di coscienza sono di puro terrore. Il braccio sinistro è stato amputato e il viso deturpato da alcune schegge di metallo. La più grande gli spunta dalla fronte come un corno. Un medico gli si avvicina e gli ricorda il suo nome: Ahab.

Risvegliatosi da un coma lungo anni Big Boss trova il suo corpo straziato e mutilato.

Dopo alcuni momenti di gioco la struttura ospedaliera dove Big Boss è ricoverato viene attaccata da gruppi di forze armate e solo l’intervento di un misterioso uomo dal volto bendato, che dice di chiamarsi Ismaele, salva il nostro claudicante personaggio da morte certa. Mentre fuggono dall’ospedale il cielo notturno viene squarciato da un esplosione. Una visione di una balena infuocata illumina il cielo.

 

Strana forte sta roba.

Strana forte sta roba.

 

Riunito al vecchio amico Shalas Salashssas Revolver Ocelot Big Boss abbandona Cipro alla volta dell’Afghanistan. Il mezzo di trasporto, una vecchia baleniera in disuso.

Armato di braccio bionico, pistola e cavallo Big Boss salva un altro vecchio conoscente per chi ha giocato la saga di MGS, Kahur Kazohir Master Miller. In fin di vita, anche quest’ultimo ha perso un braccio ed una gamba a seguito delle torture subite e dell’incidente della prima Mother Base avvenuto anni prima.

 

 

L’origine del Phantom Pain

Dopo il salvataggio di Master Miller il gioco prende un più ampio respiro. Il gameplay, forse ripetitivo, ci porta a visitare zone di guerra, trasportati a bordo dell’elicottero Pequod, la nave di Ahab, e incontrare personaggi che diventano presto iconici, ma è evidente – soprattutto nel personaggio di Master Miller – che è l’odio e il desiderio di vendetta a dominare questo gioco.

Nessuna balena bianca a cui dare la caccia, solo un villain – Skull Face – che guarda caso ha il volto di questo colore.

L’odio e il desiderio di vendetta dominano questo gioco.

Questo odio e questo desiderio di vendetta, ardente – tanto da riportare in vita i morti -, è il figlio mostruoso del Phantom Pain. Non solo la sofferenza per un arto perduto, ma anche un dolore della mente, oltre che del corpo, per qualcosa che ci è stato strappato in modo violento. Vite segnate dalla violenza e dal dolore che lentamente trasformano l’uomo in un demone.

Big Boss è l’emblema di questo dolore, non più Snake ma Venom Snake, porta in se il veleno che corrompe l’essere umano fino a trasformarlo in un mostro dal profilo luciferino.

 

Come farà a dormire a pancia sotto?

Come farà a dormire a pancia sotto?

 

Kojima è maestro nell’arte di raccontare temi profondi attraverso le sue opere. Durante la saga di MGS ci ha parlato di economia di guerra, di conflitti di procura, dell’ereditarietà dei nostri geni e del futuro che è scritto in essi, della manipolazione del campo di battaglia e dei soldati, dell’amore e del dovere, dei deterrenti nucleari.

Mai però si era spinto così in profondità nell’animo umano. In MGS:V ci mostra le conseguenze di queste guerre che così minuziosamente ci ha raccontato nei giochi passati, porta alla luce le ferite dell’animo, quelle che nessun analgesico è in grado di lenire.

MGS:V porta alla luce le ferite dell’animo, quelle che nessun analgesico è in grado di lenire.

Ogni personaggio principale del gioco è tormentato dal proprio personale dolore fantasma, ognuno di loro ha perso qualcosa. Master Miller e Venom Snake sono stati mutilati, hanno visto distrutto il loro sogno – Outer Heaven – e perso innumerevoli compagni. Su di loro pesa la colpa della loro morte, la loro anima e macchiata come il loro viso dalle ceneri dei defunti.

Lo stesso Skull Face, balena bianca di Venom Snake, è a sua volta dilaniato dal Phantom Pain; condivide lo stesso trauma di Quiet e di Code Talker. Tutti e tre hanno perso la loro identità culturale, strappata via insieme alla loro lingua madre. Kojima ci invita a riflettere, con il suo tocco particolare, su un dramma reale che molti ignorano.

Più crudele degli stermini, delle coperte infette, della sterilizzazione coatta e delle riserve: l’assimilazione di una cultura, del retaggio di un intero popolo. Verso la fine del XVIII secolo si pensava che il “problema degli indiani” potesse essere risolto civilizzandoli, assimilandoli nella cultura dei nuovi americani. I bambini venivano prelevati dalle loro tribù, strappati ai loro genitori, il loro nome indiano veniva sostituito da un più civile nome anglosassone, la loro lingua eliminata in favore dell’inglese. Uomini e donne senza più un identità culturale, stranieri sia per i nativi americani che per i “nuovi” americani.

 

 

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Infine Kojima ci mostra un’altra realtà scomoda della guerra, i bambini soldato. Condividono con Liquid il dolore per un infanzia rubata, la mancanza di una famiglia, dell’affetto di persone care. White Mamba o Liquid Snake diverrà presto il loro capo; la sua balena bianca: gli adulti, il padre.

A Liquid Snake è stata strappata l’anima che appartiene ad ogni essere vivente.

Il suo corpo non presenta certo le mutilazioni di Big Boss, ma il suo animo è profondamente ferito. Il suo dolore, il suo odio nasce per via della sua stessa condizione di essere umano. A Liquid Snake è stata strappata l’anima che appartiene ad ogni essere vivente. Lui non è un uomo, ma un progetto costruito mattone su mattone con uno scopo ben preciso: essere una copia del miglior soldato vivente. Inoltre a Liquid è stata sottratta violentemente la spinta motrice di ogni uomo, la ricerca del proprio posto nel mondo, il libero arbitrio di poter divenire quello che vorrà.

 

 

 

Tirando le somme

MGS:V non è un gioco privo di difetti, il suo gameplay può risultare ripetitivo alla lunga e alcune scelte – come il dover ripetere alcune missioni – può sembrare un mero espediente per allungare il brodo, ma ha anche un profondo bagaglio culturale da esprimere, il merito di portarci a riflettere, rivedere un libro vecchio di più di un secolo sotto una luce completamente nuova.

Ed è così che capiamo come Ahab abbia perso la sua umanità oltre alla sua gamba. La sua nave diventa il suo personale inferno e lui è il demone re che trascina le povere anime dei suoi sottoposti in una caccia effimera, un tentativo di vendetta generato dall’odio nella speranza di recuperare la propria umanità strappata via così violentemente.

 

Lui non c'entra niente con questo articolo.

Lui non c’entra niente con questo articolo.

 

Quello che però Kojima non mostra è l’effetto benefico che il dover affrontare traumi e dolori così intensi può provocare, perché se è vero che il dolore può spezzare gli uomini e altrettanto vero che può crearne di nuovi, di migliori.

Il dolore è uno dei catalizzatori più forti in natura.

Personalmente ho sofferto, e soffro tuttora saltuariamente, di dolori cronici molto forti. Il mio personale dolore fantasma è l’aver perso momenti della mia vita che non torneranno mai più indietro, strappati ingiustamente dal destino. Posso affermare che il dolore è un forte catalizzatore negativo, però può anche essere usato a nostro vantaggio permettendoci di riflettere profondamente su noi stessi e su quello che ci circonda.

Rilegato nella sua dimensione diventa un compagno che ci ricorda quanto siano importanti i piccoli gesti quotidiani, le relazioni, le persone che ci circondano e anche quanto siano effimeri certe banalità, sciocchezze su cui in passato potevamo rimuginare per giorni. Utilizzato nel giusto modo può diventare uno stimolo e una guida a migliorare noi stessi.

Potere del riassunto: MGS:V è un buon gioco

hqdefaultIn definitiva, dovendo riassumere, MGS:V è un buon gioco, per molti sarà il compagno d’avventure per qualche ora in cui staccare il cervello facendo volare nell’aria capre e orsi, ma per me, personalmente, è stata un’esperienza introspettiva notevole.

Quanto al finale, che ci si poteva aspettare da TrollJima?

 

 

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