Storia di J – Atto Primo

La notte, quando gli esperimenti gli davano tregua, quando era completamente solo, tornava al passato con la memoria, ad un passato molto remoto, quando aveva camminato insieme agli uomini, per cercare di avvertirli, forse di salvarli.

Quando succedeva, alle volte, riusciva ad addormentarsi e a sognare.
Quella notte il ricordo che la sua mente evocò fu particolarmente vivido.

La luce filtrava appena dall’unico spiraglio dal quale, ogni tanto, passava anche un flebile alito d’aria calda profumata di incenso e il suono delle cicale.
Sapeva che sarebbe successo ma ogni volta le sensazioni che provava lo coglievano di sorpresa. Quella volta aveva aperto gli occhi improvvisamente e aveva subito inspirato profondamente riconoscendo all’istante il tepore e la dolcezza dell’aria di quella terra che aveva imparato ad amare durante i trent’anni che vi aveva trascorso.
La grotta era spoglia e nessuno avevo lasciato doni per il momento del suo risveglio. Certo, pensò, nessuno si risvegliava veramente, ma lui si, lui si era risvegliato perché era speciale.
Perfettamente immobile attendeva che il Guardiano luminoso, inviato dal padre venisse a liberarlo. Era troppo debole, dopo l’esperienza traumatica vissuta poco prima sul monte lì vicino, per poter utilizzare qualcuno dei suoi “trucchi”, come li chiamavano i suoi numerosi accusatori.
Le mani gli facevano male e anche i piedi ma più di tutte le sue ferite, sentiva un forte dolore appena sotto la gabbia toracica. Il dolore era quasi insopportabile anche per lui ma sapeva che tra poco, arrivato a casa, il processo di guarigione sarebbe stato completato istantaneamente.
Il rumore sordo del pesante masso che ostruiva l’ingresso che rotolava via come una gigantesca moneta sospinta dalle dita di un colosso, annunciarono che il guardiano era arrivato, finalmente, per portarlo a casa.
“Sai J, ho incontrato delle donne venendo qui” disse entrando nel sepolcro col suo fare strafottente e allegro allo stesso tempo. Penso che la luce che emano le abbia spaventate, Beh comunque tra poco avranno ben altro di cui meravigliarsi, giusto?” Il guardiano riluceva ancora di più nella penombra e i suoi capelli biondi sembravano d’oro splendente.
“Buon giorno guardiano, smettila di fare il gradasso e portami a casa. Sono stanco”
Disse J, un po’ spazientito.
“Va bene, liberati da quel sudario e andiamo, anzi “Alzati e cammina!”, te la ricordi questa?”
“Non perdi mai il tuo senso dello humour guardiano, ne parlerò con mio padre appena lo incontrerò”
“Mio signore, ti prego di scusarmi per la mia indisciplina e ti chiedo di non farne menzione con tuo padre, per favore”
“Vedremo…”
Il guardiano aiutò J ad alzarsi e lo accompagnò alla soglia del sepolcro. Fuori la luce del sole era fortissima e il calore infuse immediatamente nuovo vigore al corpo di J.
Inspirò nuovamente ma non fece in tempo a terminare di distendersi che un colpo fortissimo alla testa lo gettò al suolo.

 


 

J si svegliò improvvisamente scosso da un tremito che percorreva tutti i suoi nervi, come se l’effetto di quel tremendo colpo, subito migliaia di anni prima non fosse ancora svanito.

Si guardò intorno: il sotterraneo era sempre lo stesso, diverso certamente dal suo primo sepolcro ma anche meno ospitale, se possibile. Certo nel corso dei secoli si era modernizzato ma non aveva perso il suo carattere di prigione infernale.
Quanto tempo era passato dal giorno del ricordo del suo sogno? Decine di secoli, sicuramente. Ricordava il viaggio in nave, il rollio della galea, il sole di quella nuova terra e i suoi profumi inebrianti quanto quelli della sua terra natia, anche se diversi e più vari. Ricordava le catene, le lame dei suoi aguzzini e dei torturatori. Ricordava dal primo giorno lo strano amuleto, incastonato nel soffitto antico, sopra la sua testa, raffigurante un occhio che sembrava impedirgli qualsiasi mossa che trascendesse la sua natura umana al di fuori della rigenerazione.

I suoi aguzzini avevano cambiato diversi nomi nel corso dei secoli ma, da quanto aveva potuto capire dai loro discorsi, erano sempre rimasti saldamente al potere, nel mondo là fuori. Purtroppo, anche se contro la sua volontà, ciò era avvenuto soprattutto grazie a lui.
Le domande e le risposte che si era dato nei corso dei secoli erano state moltissime ma solo ad una non riusciva a dare alcuna risposta: perché suo padre o i suoi fratelli non erano venuti a cercarlo e liberarlo? Questo proprio non se lo spiegava.

Mentre era immerso in questi pensieri, la porta blindata scorrevole che era da lungo tempo il confine del suo mondo si aprì improvvisamente. Entrò il capo dei suoi aguzzini. Vestiva, come al solito, completamente in bianco mentre un suo servitore di alto rango lo seguiva un passo indietro, nel suo completo rosso scarlatto. Dietro di loro, due uomini che portavano grosse alabarde affilate.
“Buongiorno J” iniziò l’uomo in bianco, con voce melliflua “come stai oggi? Più che altro è una domanda retorica e di pura cortesia, dato che sappiamo entrambe che tu sei immortale.”
J tentò di rispondere ma il bavaglio che portava davanti alla bocca glie lo impedì. Emise, quindi, solo un grugnito di rabbia.
“Certo, certo. Sappiamo anche che i tuoi poteri possono essere veicolati dalla parola e ci siamo premuniti in tal senso da qualche secolo. L’occhio di Ra, sopra di noi d’altronde non è onnipotente …”
“Lascia che parli io, caro J. Come ho avuto modo di spiegarti la nostra organizzazione sta attraversando un periodo di crisi negli ultimi anni. Sai anche che queste crisi sono cicliche e che ogni volta che si è presentato un periodo negativo abbiamo fatto ricorso al tuo prezioso, benché non spontaneo, aiuto.
Abbiamo una strategia per risalire la china anche questa volta e tu, come al solito, sei il fulcro del nostro piano.”
J guardò l’uomo anziano con disprezzo e pena e si sforzò di ricordare ancora una volta perché aveva deciso, duemila anni prima, di fare del bene a esseri come lui. Per fortuna, pensò, non erano tutti esattamente come lui.
“Prima di proseguire” continuò l’uomo vestito di bianco “devo recitare l’invocazione rituale prevista per questi momenti. Sono ormai settantott’anni che non ricorriamo a questo e, come sai, noi teniamo molto alla nostra tradizione millenaria”

L’ometto si fece improvvisamente serio e assunse una espressione grave e solenne. Il servitore in rosso fece passare la sua mano destra dalla testa al ventre e poi sulle due spalle mentre i due uomini armati si inginocchiarono e abbassarono lo sguardo a terra.

Fu allora che l’uomo in bianco inizio:
“In nome dei Fondatori, Giuda e Pietro, degli antichi faraoni e degli imperatori nostri avi.
Io, Papa Giovanni XXIV, Pontefice di Sacra Romana Chiesa, prendo il tuo sangue, o Mio Signore Gesù Cristo, per il bene dell’Umanità e della Chiesa. Perché questa possa continuare a regnare per sempre sul cuore e sull’anima degli uomini. Amon”
“Amon” rispose il cardinale alle spalle del Papa. Le due guardie batterono forte all’unisono le aste delle loro alabarde sul marmo producendo un suono simile ad una detonazione.

Fu allora che l’uomo in bianco pugnalò J al costato, con uno scatto repentino, per l’ennesima volta e iniziò a raccogliere il suo sangue in una coppa d’oro.

Nessuno sentì le sue urla di dolore provenire dal profondo dei sotterranei della Cattedrale di San Pietro.

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